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Neuroscienze
Serena Zoli
pubblicato il 10-03-2013

Con la diagnosi precoce fermi l'Alzheimer



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Comincia la «settimana del cervello» che mobilita i neurologi di tutto il mondo per far sapere che oggi si riescono a individuare le malattie degenerative cerebrali molto prima dei sintomi esterni. E in questa fase le cure si dimostrano utili

Con la diagnosi precoce fermi l'Alzheimer

Da oggi a domenica 17 marzo “settimana del cervello” in tutto il mondo. Sette giorni dedicati a informare il pubblico su problemi e progressi della medicina del nostro organo più delicato e più complesso.

In Italia a promuovere iniziative di vario genere è la Società italiana di neurologia (Sin), presieduta dal professor Giancarlo Comi del San Raffaele di Milano. «Abbiamo scelto di puntare sul messaggio che le diagnosi precoci sono, oggi, importanti anche in questo campo», spiega Comi. «Infatti oggi per la prima volta è possibile trattare precocemente le malattie degenerative del cervello con vari esiti. Perché quando il loro decorso è scattato, siamo in fase di malattia conclamata,  il decorso di Alzheimer e Parkinson è inarrestabile. Non si modifica, evolve comunque».

FASE PRECLINICA - Le stesse medicine ora in uso inutilmente, continua il professore, perché quasi sempre prescritte quando la malattia è manifesta, se somministrate in fase preclinica si sono dimostrate efficaci. Quando cioè il malato non presenta ancora sintomi. Ma di quali malattie del cervello è oggi possibile fare una diagnosi precoce? «Nella Sclerosi multipla, nella malattia di Alzheimer, nella malattia Corea di Huntington e nel morbo di Parkinson. Ci sono esami specifici per cogliere dentro il cervello segnali premonitori, soprattutto esami con neuroimmagini». Quale metodo si usa per ciascuna di queste malattie degenerative? E che cosa si “vede”? «Per l’Alzheimer oggi è possibile vedere con il Pib, un marcatore radioattivo dell’amiloide, e attraverso la Pet  (tomografia a emissione di positroni), i depositi di questa sostanza nel cervello già in fase pre-clinica. Per la Corea di Huntingon, che è un malattia a carattere familiare, la diagnosi precoce si fa su base genetica e l’individuazione delle persone che svilupperanno la malattia può dare il via a un programma di intervento anni prima che la malattia si manifesti. Un programma specifico di ricerca in questo ambito è in corso in Nord America».

SINTOMI RIVELATORI - «Per il Parkinson i disturbi olfattivi (“cacosmia”: sentire odori strani, cattivi o riduzione dell’olfatto) possono precedere di molto tempo la comparsa della malattia. Inoltre per tutte le patologie sopra indicate sono in corso studi genetici che potrebbero consentire di individuare presto le persone a maggiore rischio. Per quanto concerne poi la Sclerosi Multipla sono già in corso interventi preventivi che si basano sulla somministrazione di vitamina D in chi risulta essere carente. Altro fattore di rischio è considerato l’essere un familiare di una persona con la sclerosi. E la risonanza magnetica può evidenziare la presenza di placche riferibili alla sclerosi multipla anche prima che la malattia si manifesti con un disturbo clinico». 

DAI 55 ANNI IN SU - La sclerosi multipla può dare anche “attacchi”  isolati molto tempo prima che inizi la fase degenerativa, la fase “clinica”? «Sì, questi attacchi sono indicatori precocissimi. Può trattarsi di offuscamento della vista, dolore a muovere gli occhi, blocchi motori, particolare formicoli agli arti o al viso. E proprio per la sclerosi oggi possiamo constatare risultati incoraggianti dalla terapia precoce. A distanza di 5 anni, un quarto dei pazienti non ha più avuto nulla. Altri, in numeri significativi, a 10 anni di distanza. Guariti? Eh, per dire questo dobbiamo aspettare tutto il possibile decorso della sclerosi, tra vent’anni…». Quali segnali devono spingere a cercare una diagnosi precoce – che si fa anche con sistemi sofisticati e costosi quale la Pet  - una persona? E a che età? «Diciamo dai 55 anni in su per cogliere l’eventuale fase preclinica. Quanto ai segnali, per l’Alzheimer può trattarsi di perdite di memoria, ma bisogna controllare con esami specifici se sono indizi del male o dovuti al normale invecchiamento. Per il resto, non ci sono segnali che possono allarmare il pubblico. Solo, se si è familiari di persone con la malattia, è opportuno un’adeguata valutazione genetica da parte di un medico genetista per determinare il rischio individuale. E vedere se è il caso di intervenire. Time is brain! Il tempo è cervello, anche per un ictus è preziosissimo l’intervento più precoce possibile».

 

Serena Zoli
Serena Zoli

Giornalista professionista, per 30 anni al Corriere della Sera, autrice del libro “E liberaci dal male oscuro - Che cos’è la depressione e come se ne esce”.


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