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Neuroscienze
Serena Zoli
pubblicato il 20-05-2025

Binge-eating: efficace la combinazione di psicoterapia e farmaco



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Uno studio mostra che combinare psicoterapia e lisdexamfetamina riduce drasticamente gli episodi di binge-eating

Binge-eating: efficace la combinazione di psicoterapia e farmaco

Abbuffate compulsive, perdita di controllo, senso di colpa. È il quadro tipico del binge-eating disorder, un disturbo alimentare sempre più diffuso e riconosciuto solo di recente come entità clinica autonoma. Ora, uno studio condotto alla Yale University School of Medicine mostra che la combinazione tra psicoterapia cognitivo-comportamentale e lisdexamfetamina (Ldx) può ridurre drasticamente la frequenza degli episodi.

CHE COS’È IL BINGE-EATING

Classificato nel DSM-5 solo dal 2013, il binge-eating si distingue per episodi ricorrenti di alimentazione incontrollata, in assenza di condotte compensatorie regolari. A differenza di anoressia e bulimia, questo disturbo colpisce trasversalmente e può portare a obesità, isolamento e comorbidità psichiatriche.

PSICOTERAPIA COGNITIVO-COMPORTAMENTALE E LISDEXAMFETAMINA

Ora dal campo della ricerca arriva una notizia molto positiva: combinando insieme sedute di terapia cognitivo-comportamentale e dosi di lisdexamfetamina (Ldx) si arriva a una diminuzione del binge-eating, negli adulti, di oltre il 95 per cento. Lo studio è stato condotto alla Yale University School of Medicine, di New Haven, Connecticut (Usa), sotto la guida del professor Carlos M. Grilo, e pubblicato sull’American Journal of Psychiatry. «La superiorità dei risultati nasce dall’aver combinato due trattamenti, in parte complementari e dall’effetto sinergico, che agiscono per vie distinte – commenta il professor Grilo. – La psicoterapia affronta il disturbo fondamentale dell'immagine corporea mentre il Ldx riduce l’impulsività e solletica il senso di gratificazione».

141 PERSONE CON TRE TRATTAMENTI DIVERSI

La ricerca è stata condotta in questo modo: si sono arruolate 141 persone (l’83,7 per cento donne) di età 18-64 anni col disturbo di binge-eating e obesità e le si sono divise in tre gruppi con tre diversi trattamenti per 12 settimane: un gruppo solo psicoterapia cognitivo-comportamentale, un secondo gruppo solo il farmaco Ldx (dosaggio da 50 a 70 mg al giorno), infine il gruppo di psicoterapia e farmaco.

IL 70 PER CENTO IN PIENA REMISSIONE

Alla fine delle 12 settimane, calcolando i risultati delle ultime quattro, il gruppo col doppio trattamento aveva riportato una diminuzione di attacchi di binge-eating del 96,1 per cento e, tra questi, il 70,2 per cento non ne aveva avuto nessuno. Anche gli altri pazienti avevano registrato significative diminuzioni nelle abbuffate, però la piena remissione, con zero episodi di ingozzamenti, si era verificata per le persone seguite solo con la psicoterapia nel 44,7 per cento dei casi e per quanti avevano preso solo il farmaco nel 40,4 per cento.

IL MAGGIOR CALO DI PESO COL SOLO FARMACO

I pazienti arruolati erano anche obesi e c’era da registrare la perdita di peso. Quanti avevano seguito psicoterapia e lisdexamfetamina avevano perso il 4,8 per cento dei chili iniziali, di più avevano perso, il 5,5 per cento, quelli trattati col solo Ldx mentre, comprensibilmente, i partecipanti che avevano ricevuto solo sedute di un’ora di psicoterapia risultavano aver perso appena lo 0,5 per cento.

UN DISTURBO IN LINEA COL VISSUTO “TUTTO SUBITO”

«Il binge-eating è un disturbo sempre più importante, in espansione – interviene il professor Stefano Pallanti, direttore dell’Istituto di Neuroscienze all’Università di Firenze. – In parte conta che sia in sintonia con un vissuto collettivo che non valorizza il desiderio, sentimento sano, ma pretende compulsivamente la soddisfazione immediata. È il tutto subito. È quello che fa chi si ingozza: o mangiando irrefrenabilmente di più oppure il più rapidamente possibile. Lo spirito del tempo si riflette in questo disturbo e, forse, lo alimenta».

SENSO DI VERGOGNA E VOMITO INDOTTO

Spiega il professor Pallanti che l’abbuffata patologica può coesistere con l’anoressia oppure con la bulimia e che quasi sempre è seguita dal vomito indotto, accompagnata dall’uso di lassativi fino a sfinirsi, «c’è chi si rovina i denti per i vomiti continui». Per queste pratiche, non è detto che ci sia sovrappeso. Di sicuro c’è un sentimento di vergogna, di biasimo per se stesso che non aiuta lo stato dell’umore.

COMPULSIVITÀ COME NELL’ABUSO DI SOSTANZE

Riprende Pallanti: «All’inizio c’è l’immagine corporea, non approvata. La persona aspira alla magrezza. Il problema si colloca tra la dipendenza dal cibo e la compulsività, che richiama l’abuso di sostanze. C’è un disturbo della gratificazione, sono stati fatti studi sulla dopamina che può dare più stabilità alla persona, fermando la frustrazione prima». Il farmaco dell’esperimento di Yale in effetti agisce sulla dopamina, il neurotrasmettitore della gratificazione, importante anche nel trattamento dei disturbi dell’attenzione (Adhd), con cui il binge-eating potrebbe condividere alcuni tratti. Conclude Stefano Pallanti: «Lo studio di Yale è interessante, va approfondito. In particolare, occorre vedere se i risultati resistono nel tempo, è necessario un follow-up da lontano. Sono risultati verificati poi anche negli animali da laboratorio, non si tratta dunque di suggestione».

Serena Zoli
Serena Zoli

Giornalista professionista, per 30 anni al Corriere della Sera, autrice del libro “E liberaci dal male oscuro - Che cos’è la depressione e come se ne esce”.


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