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Neuroscienze
Serena Zoli
pubblicato il 06-11-2019

La dieta yo-yo che "droga" il cervello



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Spiegati gli effetti sul cervello di una dieta yo-yo: agisce sul circuito della ricompensa in modo simile a quello della dipendenza da droga

La dieta yo-yo che "droga" il cervello

Le riviste femminili da anni lanciano l’allarme contro le diete yo-yo, così battezzate perché come l’omonimo gioco vanno giù (di peso) e tornano su (di peso) in un rapido alternarsi di gioia e disperazione del soggetto. Il più delle volte, donne. Ma non mancano gli uomini prigionieri di questa trappola. Il cui esito finale - avvisano sempre le riviste - è un pressoché immancabile aumento di chili. Ora dalla Boston University (Usa), e in gran parte ad opera di due ricercatori italiani, Valentina Sabino e Pietro Cottone, viene la spiegazione degli effetti negativi della dieta yo-yo e non riguardo solo il peso forma.

DIETE YO-YO E DISORDINI ALIMENTARI

Addirittura hanno dimostrato, sia pure con un modello animale, che il cibo diventa droga e crea assuefazione spingendo al mangiare compulsivo. Senza freni. Il lavoro è stato pubblicato sulla rivista Neuropsychopharmacology. Solo negli Stati Uniti sarebbero 15 milioni le persone “malate di abbuffate”. E’ una caratteristica diffusa in cui all’obesità si affiancano disturbi alimentari, in particolare il binge eating disorder, cioè la perdita di controllo nel mangiare.

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MANGIO TANTO, MANGIO POCO, POI ESAGERO

Il meccanismo è questo: nel breve termine si ingolla più cibo perché è molto gustoso, dopo si cerca di compensare mettendosi a dieta con meno calorie e con alimenti meno appetitosi. Spesso questi regimi restrittivi non durano ed ecco la ricaduta su piatti più golosi ricchi di grassi e di zucchero. «Stiamo cominciando soltanto ora a capire le proprietà capaci di creare dipendenza dal cibo - spiega Pietro Cottone, professore associato di Farmacologia e condirettore del laboratorio sui disturbi di dipendenza - e come ripetute abbuffate ricche di zuccheri (in modo analogo all’assunzione di droghe) possano influire sul nostro cervello e causare comportamenti compulsivi». Per approfondire il tema il gruppo di Boston ha condotto esperimenti sui topi dividendoli in due gruppi: al primo fu dato cibo al sapore di cioccolata ricco di zuccheri per due giorni la settimana e i restanti giorni una normale dieta standard (gruppo ciclico), al secondo gruppo sempre e soltanto la dieta standard (gruppo di controllo).


CAVIE DIPENDENTI DALLO ZUCCHERO

Si è visto che i topi che ciclicamente venivano fatti passare dal cibo “goloso” a quello normale sviluppavano una pulsione irrefrenabile ad abbuffarsi dei cibi zuccherini mentre rifiutavano gli alimenti dei giorni a dieta normale. Successivamente ambedue i gruppi sono stati sottoposti a un’iniezione di amfetamine, uno psicostimolante che rilascia dopamina e produce senso di gratificazione. Conseguenza: il gruppo di controllo è diventato iperattivo, come ci si aspettava, mentre il gruppo ciclico no. In un’altra prova, nel misurare gli effetti dell’amfetamina nella stimolazione del circuito del piacere, detto anche “circuito della ricompensa”, il gruppo di controllo è apparso attivo, rispondente, mentre il gruppo ciclico no.

COME LA DROGA NEL PIATTO

Con altri esami si è verificato che le cavie sottoposte a diete alternate disponevano a livello cerebrale di tassi minori di dopamina. Spiega ancora Pietro Cottone: «Abbiamo visto che questo gruppo mostrava cambiamenti comportamentali e neurobiologici tipici della dipendenza da droga: e precisamente un crollo nel sistema di ricompensa del cervello dove è implicata la dopamina. Questo studio ci fa capire di più sulla neurobiologia del comportamento alimentare compulsivo. E cioè che la spinta all’abbuffata può dipendere da una ridotta capacità di provare gratificazione a causa di una diminuita “sensibilità” al piacere del cervello, Questi risultati danno forza alla teoria che sostiene una somiglianza tra il meccanismo che spinge al mangiare sfrenato e la dipendenza da droga».

MENO SENSIBILI ALLA DOPAMINA

Lo yo-yo da cui siamo partiti si rivela, dunque, un circolo vizioso che “segna” il cervello, provocando disfunzioni nei centri nervosi del piacere. «In effetti le persone che seguono le cosiddette diete yo-yo tendono a essere meno sensibili alla dopamina, che si può definire il neurotrasmettitore del benessere», spiega Stefano Erzegovesi, primario del centro per i disturbi alimentari dell’ospedale San Raffaele di Milano e blogger di Fondazione Umberto Veronesi. «Se facciamo qualcosa di gratificante, tendiamo a produrre più dopamina. Questo è uno studio molto interessante, anche se condotto solo a livello animale, quando dice che una dieta drastica poi abbandonata può far sì che una funzione del cervello cominci a non funzionare più bene. Per fortuna, viene da dire, noi umani abbiamo anche la corteccia cerebrale che non rende tutto così automatico…».

COS'E' IL BINGE EATING DISORDER? 

LA CURA? ALMENO UN ANNO SU DUE BINARI

«Accade - continua Erzegovesi - di sentire pazienti che hanno seguito diete molto sbilanciate, per esempio quelle con solo proteine, e riferiscono che dopo un paio d’anni hanno cominciato ad abbuffarsi, compulsivamente, come mai gli era successo prima. Sono arrivati cioè al binge eating disorder (Bed) dove si perde il controllo sul cibo». Uno squilibrio non da poco e, dicono a Boston, simile alla dipendenza dalla droga. Si può tornare indietro? Come? «Sì, ma è complesso e lungo. Occorre seguire un regime alimentare equilibrato e, insieme, fare un lavoro psicologico sul disturbo del binge eating. E’ indispensabile agire sui due piani. Le tecniche psicologiche sono diverse, la cognitivo-comportamentale e la dialettica comportamentale per dirne due. L’importante - raccomanda il docente - è che si parta sapendo che i tempi di cura saranno lunghi. Almeno un anno».

Serena Zoli
Serena Zoli

Giornalista professionista, per 30 anni al Corriere della Sera, autrice del libro “E liberaci dal male oscuro - Che cos’è la depressione e come se ne esce”.


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