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Pediatria
Daniele Banfi
pubblicato il 19-05-2025

Prima terapia genica su misura al mondo: base editing in un neonato con CPS1



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Curato con successo grazie ad una tecnica di base editing: corretta una mutazione rara e letale del ciclo dell’urea

Prima terapia genica su misura al mondo: base editing in un neonato con CPS1

Un neonato affetto da una rara malattia letale caratterizzata da un difetto del ciclo dell’urea ha ricevuto una terapia genica su misura che ha corretto la mutazione alla base della patologia. A compierla è stato un team di ricercatori statunitensi guidati da Kiran Musunuru della University of Pennsylvania. Gli scienziati hanno impiegato appena sei mesi per progettare, validare e somministrare una terapia basata sull’adenine base editing, una particolare tecnica per correggere in maniera chirurgica i singoli "difetti" nel Dna. Il caso, primo al mondo, è stato presentato in occasione del congresso dell'American Society of Cell and Gene Therapy (ASGCT) e pubblicato sulle pagine della rivista New England Journal of Medicine.

CHE COS'È IL DEFICIT DI CPS1?

La malattia in questione è il deficit di CPS1, la carbamoil-fosfato sintetasi 1. Nei piccoli affetti da questa malattia viene meno la produzione di questo particolare enzima che trasforma l'ammoniaca in carbamoil-fosfato. In sua assenza l’ammoniaca si accumula nel sangue in quantità tossiche per il cervello, portando rapidamente a coma e morte. Il deficit di CPS1 è una delle forme più gravi e rare di errori congeniti del metabolismo, con un'incidenza stimata tra 1 su 800.000 e 1 su 1.300.000 nati vivi. Ad oggi l'unica terapia risolutiva è trapianto di fegato ma spesso avviene troppo tardi quando il danno è già irreversibile. A questo si aggiunge la difficoltà nel trapiantare un neonato.

CORREGGERE LA SINGOLA MUTAZIONE

Alla nascita il piccolo curato con successo aveva incominciato ad avere tutti i sintomi tipici della malattia. Grazie alla pronta diagnosi e alla conferma grazie all'analisi del Dna, i ricercatori del Children’s Hospital of Philadelphia hanno identificato la specifica mutazione causa della malattia.  In particolare gli scienziati si sono concentrati sulla mutazione eredita dal padre, Q335X. Per cercare di correggere questo difetto, i ricercatori hanno riprodotto in laboratorio la mutazione usando cellule epatiche umane. Su questo modello hanno testato diverse combinazioni di strumenti di base editing, una tecnica in grado di modificare in modo preciso una singola lettera del DNA. Dopo numerosi tentativi, è stata trovata la combinazione più efficace, poi usata per costruire la terapia vera e propria, chiamata k-abe.

LA CURA

Prima di trattare il bambino la terapia è stata testata su topi e primati non umani per verificarne l’efficacia e la sicurezza. A quel punto, il piccolo ha ricevuto due infusioni a distanza di tre settimane, la prima a 7 mesi e la seconda a 8 mesi di età. Dopo la somministrazione è stato possibile aumentare la quantità di proteine nella dieta e ridurre della metà il farmaco usato per tenere sotto controllo l’ammoniaca. Non ci sono stati effetti collaterali gravi e il bambino ha superato senza crisi metaboliche anche due infezioni virali. I medici non hanno effettuato una biopsia al fegato per confermare l'effettiva correzione del difetto ma i miglioramenti clinici indicano che la terapia ha funzionato.

PROSPETTIVE FUTURE

Quanto descritto al congresso ASGCT rappresenta un esempio concreto di terapia genica personalizzata "N-of-1", progettata e realizzata su misura per un singolo paziente con una mutazione unica. Rispetto alle tecniche classiche, il base editing offre il vantaggio di correggere con estrema precisione la singola lettera alterata del Dna, senza introdurre tagli nella doppia elica. Una strategia più pulita e potenzialmente più sicura. Ma si tratta di un primo passo: il bambino dovrà essere seguito nel tempo per valutare la tenuta dell’effetto terapeutico, l’eventuale necessità di ulteriori somministrazioni e l’assenza di effetti a lungo termine. Resta infine il tema cruciale dei costi: sviluppare una terapia del genere richiede risorse ingenti e un’organizzazione altamente specializzata. La sfida, ora, sarà rendere questi approcci ripetibili, accessibili e sostenibili, per non lasciare che restino cure eccezionali per pochi casi fortunati.

Daniele Banfi
Daniele Banfi

Giornalista professionista del Magazine di Fondazione Umberto Veronesi dal 2011. Laureato in Biologia presso l'Università Bicocca di Milano - con specializzazione in Genetica conseguita presso l'Università Diderot di Parigi - ha un master in Comunicazione della Scienza ottenuto presso l'Università La Sapienza di Roma. In questi anni ha seguito i principali congressi mondiali di medicina (ASCO, ESMO, EASL, AASLD, CROI, ESC, ADA, EASD, EHA). Tra le tante tematiche approfondite ha raccontato l’avvento dell’immunoterapia quale nuova modalità per la cura del cancro, la nascita dei nuovi antivirali contro il virus dell’epatite C, la rivoluzione dei trattamenti per l’ictus tramite la chirurgia endovascolare e la nascita delle nuove terapie a lunga durata d’azione per HIV. Dal 2020 ha inoltre contribuito al racconto della pandemia Covid-19 approfondendo in particolare l'iter che ha portato allo sviluppo dei vaccini a mRNA. Collabora con diverse testate nazionali.


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