Due nuovi studi associano l’uso abituale di cannabis a un aumento significativo del rischio cardiovascolare nei giovani sotto i 50 anni

L’idea che la marijuana sia “naturale” e quindi innocua è ancora molto diffusa. Ma sempre più evidenze scientifiche mostrano una realtà diversa. Due recenti studi -uno pubblicato su JACC Advances, l’altro presentato all’annuale sessione dell’American College of Cardiology- mettono in guardia rispetto all’aumento del rischio cardiovascolare legato all’uso abituale di cannabis. Soprattutto nei più giovani.
SOTTO I 50 ANNI MA RISCHIO SEI VOLTE PIÙ ALTO
Nello studio retrospettivo i ricercatori hanno trovato che i consumatori di cannabis di età inferiore ai 50 anni hanno sei volte più di probabilità di un attacco di cuore rispetto a chi non ne fa uso. La metanalisi ha mostrato un aumento del 50 per cento del rischio cardiaco. «Domandare se si fa uso di cannabis dovrebbe far parte del lavoro del medico per avere una visione d’insieme sul rischio cardiovascolare del paziente, così come normalmente si chiede se si fumano sigarette», ha dichiarato il dottor Ibrahim Kamel, della Boston University e primo autore dello studio. Da parte della politica, ha aggiunto, occorrerebbe informare il pubblico così chi fa uso di questa sostanza sappia che corre dei rischi.
ICTUS E INSUFFICIENZA CARDIACA TRA I PERICOLI
Kamel e il suo gruppo per la loro retrospettiva hanno usato i dati di TriNetX, un network di ricerca globale che dà accesso a cartelle cliniche elettroniche. I loro risultati indicano che oltre i tre anni i consumatori di cannabis hanno un rischio più di sei volte maggiorato di infarto, di quattro volte accresciuto di ictus ischemico, di raddoppiato rischio di insufficienza cardiaca, un rischio triplicato di morte per problemi cardiovascolari. Tutti i partecipanti allo studio erano di età inferiore ai 50 anni e senza significativi disturbi cardiovascolari, con pressione sanguigna e livelli di colesterolo entro i limiti di salute, niente diabete, niente fumo di tabacco.
IL CONSUMO DI PIÙ SOSTANZE È USUALE
I ricercatori segnalano un aspetto spesso trascurato: chi consuma cannabis, in molti casi, utilizza anche altre sostanze. Cocaina, alcol e droghe sintetiche sono frequentemente associate, rendendo più difficile attribuire con precisione gli effetti al solo uso di cannabis. Questo complica l’interpretazione dei dati e solleva ulteriori interrogativi sulla sicurezza complessiva del mix.
DAL MEDICO UNA DOMANDA DI ROUTINE
Secondo il dottor Gianmaria Zita, primario del SerD all’Ospedale Fatebenefratelli di Milano, i risultati di questi studi dovrebbero spingere i medici a inserire nella visita la domanda: “fa uso di cannabis?”. Una domanda semplice ma necessaria, come già avviene per il fumo di sigaretta. «Il fenomeno è esteso e ha delle conseguenze. Resta però difficile capire se il paziente associa anche altre sostanze, come alcol o cocaina, e questo rende la valutazione più complessa».
ATTENZIONE ALL’EREDITARIETÀ
Il dottor Zita sottolinea anche un aspetto spesso ignorato: l’interazione tra cannabis e predisposizione genetica. «In alcuni giovani che sviluppano psicosi dopo un uso precoce e intenso di cannabis, gioca un ruolo la predisposizione biologica. Una vulnerabilità che non possiamo conoscere a priori, ma che può essere attivata dall’uso». Il luogo comune secondo cui la cannabis è “naturale” e quindi priva di effetti collaterali è, secondo Zita, fuorviante: «Sarà anche naturale, ma contiene principi attivi che agiscono sul nostro organismo. E se agiscono anche sul sistema cardiovascolare, come molti dati suggeriscono, chi ha già qualche fattore di rischio dovrebbe pensarci due volte».

Serena Zoli
Giornalista professionista, per 30 anni al Corriere della Sera, autrice del libro “E liberaci dal male oscuro - Che cos’è la depressione e come se ne esce”.