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Pediatria
Fabio Di Todaro
pubblicato il 15-03-2021

Allergie in aumento: colpa anche del cambiamento climatico



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Da anni l'aumento delle temperature rende il periodo dell'impollinazione più lungo e intenso. Così cresce il fronte delle persone sensibili a più allergeni

Allergie in aumento: colpa anche del cambiamento climatico

Primavera, tempo di allergie. Bella per molti, la stagione che è alle porte non è tale per chi è ipersensibile ai pollini. Un fronte costituito da quasi dieci milioni di italiani, da anni abituati a convivere con sintomi più accentuati e duraturi. Al di là della pianta che è causa del problema, infatti, oggi l’impollinazione è un processo più lungo e intenso. La causa è da ricercare (anche) nell’aumento delle temperature durante l’inverno. Quanto meno è rigido il periodo compreso tra dicembre e marzo, tanto più accentuate sono le allergie di primavera. Una (ulteriore) dimostrazione di quanto il cambiamento climatico in atto abbia ripercussioni dirette sulla salute


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PIÙ ALLERGIE INSIEME PER 8 PERSONE SU 10

Quello che si osserva ormai da un paio di lustri è che - parallelamente all’aumento delle temperature medie - è cresciuto il numero di persone allergiche. A provocare le reazioni, in questo periodo, sono soprattutto le graminacee (dei campi), la paritaria (in città), l’ontano e la betulla. Ma a crescere è anche il fronte degli allergici al nocciolo, al cipresso e all’ambrosia. «Queste sono le specie polliniche più frequenti e che generano il maggior numero di casi di allergia», spiega Gianenrico Senna, responsabile del centro asma e allergie del Policlinico Universitario di Verona. Il tasso crescente di anidride carbonica disciolta in atmosfera - frutto soprattutto del ricorso ai combustibili fossili - sta rendendo più lunghi e intensi i periodi di impollinazione. Ma il polline, oltre a essere una tra le più importanti fonti di allergie, è in grado anche di favorire il rilascio di mediatori in grado di stimolare una reazione infiammatoria e una risposta immunitaria nel nostro organismo. La complessità di questa azione sarebbe alla base dell'aumento dei «polisensibili». Si tratta di persone che sviluppano una reazione eccessiva a più specie polliniche, contemporaneamente. Un problema che oggi, in Italia, riguarda 8 allergici su 10. «Sono pazienti che stanno male per un periodo più lungo, talvolta anche da marzo a ottobre».

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IL CAMBIAMENTO CLIMATICO FA CRESCERE I CASI DI ALLERGIA

Sono sempre di più gli studi che ipotizzano che la causa di questo trend possa risiedere (anche, ma non solo) nel riscaldamento del Pianeta, come effetto del crescente inquinamento atmosferico. Nei luoghi in cui la qualità dell’aria è peggiore, d'altra parte, i numeri delle allergie sono più elevati. Le conseguenze sono dirette e indirette. Spiega Senna, che presiede la Società Italiana di Allergologia, Asma e Immunologia Clinica (Siaaic): «Più alte sono le temperature, maggiore è la quantità di ozono che si sviluppa nell’aria. Parliamo di una molecola non allergizzante, ma che è in grado di irritare l’apparato respiratorio. E, dunque, di accentuare i sintomi respiratori di un’allergia primaverile». A partire dall’asma, rilevabile in quasi il 40 per cento delle persone che ne soffrono: da sola o associata alle altre manifestazioni (starnuti, ostruzione nasale, prurito, lacrimazione, congiuntiva arrossata e gonfia). A ciò occorre aggiungere che l’inquinamento veicolare - soprattutto da motori diesel, il problema è crescente soprattutto nelle aree a maggior tasso di urbanizzazione - rende i pollini più allergizzanti. Attenzione va posta anche alla pulizia degli ambienti, visto che 2 italiani su 10 soffrono di allergie agli acari della polvere. Per questo motivo è necessario arieggiare gli ambienti aprendo spesso le finestre e pulire accuratamente la casa (soprattutto letti, divani, moquette e tappeti).


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IN PRIMAVERA UN AIUTO ANCHE DALLE MASCHERINE

L'utilizzo delle mascherine - di cui per diversi mesi ancora faremo uso anche all’aperto - permetterà di essere più protetti dal contagio da coronavirus. Ma non solo. Visto l'«effetto-barriera», l’uso di questi dispositivi (a partire dalle mascherine chirurgiche) può aiutare a evitare che gli allergeni, di dimensioni maggiori a quelle di un virus, possano raggiungere le vie aeree. L’evidenza - seppur ancora in maniera aneddotica - è stata confermata al termine del lockdown dello scorso anno. La comunità degli allergologi è concorde nell’affermare che i pazienti, complici le restrizioni dovute alla pandemia, hanno vissuto la scorsa primavera accusando molti meno sintomi legati alle rispettive allergie. Detto ciò, quando non è possibile evitare il contatto con l’allergene, è comunque importante rispettare (al di là della mascherina) la terapia indicata dal proprio medico, con l'assunzione quotidiana (indipendentemente dai sintomi) di farmaci in grado di alleviare i sintomi (antistaminici cortisonici). Quando questi non bastano, si può ricorrere all'immunoterapia desensibilizzante per spegnere la reazione anomala alla base dei sintomi allergici.

COVID-19: L'ALLERGIA NON È UN BUON MOTIVO PER EVITARE LA VACCINAZIONE 

Dopodiché, quando scoccherà il loro turno, le persone allergiche potranno effettuare la vaccinazione contro Covid-19. A confermarlo sia la Siaaic sia l'Associazione allergologi e immunologi territoriali e ospedalieri (Aaito), che sottolineano come le eventuali reazioni al vaccino possano essere gestite sia in ospedale sia in un centro vaccinale. Sulla stessa lunghezza d’onda l’Agenzia Italiana del Farmaco (Aifa): «Le persone che soffrono o hanno sofferto di un’allergia respiratoria possono vaccinarsi, rimanendo in osservazione per 15 minuti dopo l’iniezione. L’eventuale trattamento antiallergico in corso, inclusa l’immunoterapia specifica, non deve essere sospeso in vista della vaccinazione». Gli unici fattori di rischio sono rappresentati da una pregressa reazione al medesimo vaccino e dalla presenza concomitante di mastocitosi, una malattia rara a rischio di reazioni anafilattiche anche spontanee.


Fabio Di Todaro
Fabio Di Todaro

Giornalista professionista, lavora come redattore per la Fondazione Umberto Veronesi dal 2013. Laureato all’Università Statale di Milano in scienze biologiche, con indirizzo biologia della nutrizione, è in possesso di un master in giornalismo a stampa, radiotelevisivo e multimediale (Università Cattolica). Messe alle spalle alcune esperienze radiotelevisive, attualmente collabora anche con diverse testate nazionali ed è membro dell'Unione Giornalisti Italiani Scientifici (Ugis).


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