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Fabio Di Todaro
pubblicato il 04-11-2013

Il donatore non va pagato, ma premiato



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Luisa Berardinelli, direttore del centro trapianti del rene del policlinico di Milano: «È un gesto che, per gli effetti che ha e per l’altruismo di chi lo compie, merita di essere riconosciuto»

Il donatore non va pagato, ma premiato

Luisa Berardinelli, direttore dell’unità operativa di chirurgia generale e dei trapianti del rene del policlinico di Milano: cosa ne pensa della proposta dei suoi colleghi canadesi?

«La vendita degli organi è assolutamente vietata, ma la cifra proposta rappresenta un rimborso, più che un vero e proprio compenso. Da tempo ci si interroga su come gratificare i donatori viventi: non sono molti, ma per il gesto che compiono dovrebbero essere premiati».

Quanti trapianti da donatore vivente si contano ogni anno in Italia?

«Tra il 2000 e il 2012 ne sono stati effettuati 1763. Ovvero: 160 all’anno. Non tantissimi, ma il vantaggio, dal punto di vista economico, c’è. Cito alcuni dati americani. La dialisi di un paziente di mezza età costa oltre 70mila dollari: dal momento in cui inizia e fino alla morte. La gestione del paziente trapiantato da donatore vivente è esosa se il primo non muore entro un anno, ma cala progressivamente tra il secondo e il ventesimo anno successivo all’intervento: fino a 20mila dollari. Se pensiamo che in Italia abbiamo 43mila dializzati, capiamo perché il trapianto da donatore vivente dovrebbe essere più considerato, visto anche l’alto grado di sicurezza raggiunto».

Se di danaro è vietato parlare, come si potrebbe ricompensare un donatore così altruista?

«Oggi gli sono concessi gratuitamente tutti gli esami successivi all’intervento che riguardano l’accertamento della salute del rene, ma sarebbe ora di pensare ad altre agevolazioni, a partire dall’esenzione dal ticket per tutte le visite mediche. Per trapiantare un rene è necessario avere un organo intero e deve esserci anche la compatibilità del gruppo sanguigno: requisiti che non riguardano il fegato e il pancreas. Trovare un rene adatto è molto più difficile».

Perché la donazione samaritana, effettuata senza conoscere l’identità del ricevente, non decolla?

«Sarebbe interessante conoscere persone così benevole, ma nella nostra struttura non ne abbiamo mai vista una. Non credo sia questa la soluzione giusta per aumentare gli organi disponibili».

L’intervento comporta alcuni rischi per il donatore?

«Chi cede l’organo si alza dal letto quattro-cinque ore dopo l’operazione e, nella nostra struttura, trascorre il pomeriggio in compagnia di chi ha ricevuto il suo organo: ci sembra un modo efficace per avvicinare le persone e renderle consapevoli dell’importanza del gesto compiuto. Il donatore potrà andare a casa dopo quattro giorni e riprendere qualsiasi attività nell’arco di due-tre settimane. Un po’ più lunghi, invece, sono i tempi per la persona ricevente. Mai troppo, però, per non rendersi conto di quanto l’intervento sia stato risolutore per la propria vita».

Fabio Di Todaro
@fabioditodaro

Fabio Di Todaro
Fabio Di Todaro

Giornalista professionista, lavora come redattore per la Fondazione Umberto Veronesi dal 2013. Laureato all’Università Statale di Milano in scienze biologiche, con indirizzo biologia della nutrizione, è in possesso di un master in giornalismo a stampa, radiotelevisivo e multimediale (Università Cattolica). Messe alle spalle alcune esperienze radiotelevisive, attualmente collabora anche con diverse testate nazionali ed è membro dell'Unione Giornalisti Italiani Scientifici (Ugis).


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