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Chiara Segré
pubblicato il 29-02-2016

Strategie per colpire il rabdomiosarcoma



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Si tratta di uno dei tumori solidi tipici dell’età pediatrica: Alberto Gualtieri è uno dei ricercatori al lavoro per capirne la biologia e individuare bersagli per sviluppare nuove cure

Strategie per colpire il rabdomiosarcoma

Sono 1600 i bambini tra zero e 14 anni e gli adolescenti tra 15 e 19 anni che ogni anno in Italia ricevono una diagnosi di tumore: i più diffusi sono le leucemie, seguite dai tumori cerebrali, i linfomi, il neuroblastoma e i tumori solidi come i sarcomi. A oggi la probabilità di guarigione è del 70% (e arriva fino al 90% per alcune leucemie) ma l’obiettivo è, naturalmente arrivare al 100%. Nell’ultimo giorno di febbraio, mese che Fondazione Veronesi ormai dal 2014 dedica al progetto Gold for Kids a sostegno dell’oncologia pediatrica italiana, presentiamo un altro dei 10 ricercatori che nel 2016 sono al lavoro su tumori che colpiscono bambini e ragazzi. Alberto Gualtieri è un biologo 32enne originario del Molise ma che da anni vive a Roma, dove lavora come ricercatore all’Ospedale Pediatrico Bambin Gesù e si occupa del rabdomiosarcoma, un tumore dei tessuti molli le cui cellule sono incapaci di maturare definitivamente in muscolo scheletrico e crescono senza controllo. Rappresenta l’8% dei tumori solidi in età pediatrica e ne esistono due sottotipi principali: quello alveolare e quello embrionale.

Alberto, di cosa si occupa precisamente la tua ricerca?

«Io studio il rabdomiosarcoma alveolare nelle cui cellule maligne è presente una proteina di fusione, PAX3-FOXO1, che deriva dall’unione anomala di due proteine normalmente separate, PAX3 e FOXO1. È questa “super-proteina” che consente alle cellule maligne di sopravvivere e riprodursi, ma ce ne sono anche altre, come le proteine BET, che sono coinvolte nella patogenesi del rabdomiosarcoma. L’obiettivo della mia ricerca è comprendere l’interazione tra PAX3-FOXO1 e le proteine BET nella progressione e nel differenziamento delle cellule di rabdomiosarcoma alveolare, utilizzando sia approcci genetici che farmacologici». 

Quali prospettive apre a lungo termine per le eventuali possibili applicazioni alla salute umana?

«I rabdomiosarcomi positivi per PAX3-FOXO1 non rispondono bene alle terapie convenzionali e sono ad alto rischio di recidiva, con un tasso di sopravvivenza a 5 anni di circa il 20%. La comprensione dei meccanismi molecolari sottostanti sono la base per il disegno e lo sviluppo di nuovi farmaci e per implementare la sperimentazione clinica di farmaci già in uso per altri tumori e che agiscono su meccanismi simili o condivisi».

Un momento della tua vita professionale da incorniciare…

«Indubbiamente la pubblicazione del mio primo lavoro scientifico ma anche quando ho ricevuto la comunicazione dalla Fondazione Veronesi che mi informava del sostegno al mio progetto: un bel riconoscimento, sia professionale che personale».

Cosa ti piace di più della ricerca?

«Dietro ogni esperimento c’è una sfida alla comprensione di meccanismi complessi e spesso sconosciuti, il che rende questo lavoro difficile ma estremamente stimolante».

Quale figura ti ha ispirato nella tua vita professionale?

«La dottoresssa Paola Ballario, una donna speciale e una ricercatrice brillante, che mi ha accolto nel suo laboratorio durante la tesi. Le sarò sempre grato per avermi trasmesso la sua passione e dedizione e avermi insegnato che con la determinazione si possono superare tanti ostacoli che, inevitabilmente, si trovano in questo lavoro».

Qual è il senso profondo che dà un significato alle tue giornate lavorative?

«La ricerca racchiude tante cose che ritengo fondamentali per un essere umano: la curiosità, la voglia di capire e di sapere. Inoltre, lo studio di una patologia pediatrica mi stimola quotidianamente a lavorare al meglio per dare un contributo alla lotta contro i tumori che colpiscono i più piccoli».

 


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Chiara Segré
Chiara Segré

Chiara Segré è biologa e dottore di ricerca in oncologia molecolare, con un master in giornalismo e comunicazione della scienza. Ha lavorato otto anni nella ricerca sul cancro e dal 2010 si occupa di divulgazione scientifica. Attualmente è Responsabile della Supervisione Scientifica della Fondazione Umberto Veronesi, oltre che scrittrice di libri per bambini e ragazzi.


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