Modulare la poliadenilazione per colpire gli RNA messaggeri del gene tumorale NFYA: una strategia innovativa contro il carcinoma prostatico. La ricerca di Giulia Pagani

Capire come una cellula decide quanta proteina produrre da un gene può sembrare una questione complicata, ma per Giulia Pagani, ricercatrice dell’Università di Milano è il cuore di una sfida molto concreta: fermare il tumore alla prostata. Il suo progetto, sostenuto da Fondazione Umberto Veronesi, infatti, si concentra su un meccanismo poco noto ma cruciale, la poliadenilazione alternativa. Questo processo regola la lunghezza della “coda” degli RNA messaggeri e in particolare quello del gene chiave NFYA, associato a caratteristiche tumorali aggressive.
Comprendere meglio questi meccanismi potrebbe essere la base per trovare approcci innovativi per nuove terapie, là dove le cure tradizionali non bastano più. Con determinazione, entusiasmo e una buona dose di caffè, Giulia Pagani racconta la sua ricerca e il suo percorso professionale.
Giulia, cominciamo dall’inizio: quando hai capito che volevi fare ricerca?
Deriva tutto dal fatto che sono sempre stata affascinata e incuriosita dal capire come un essere vivente funziona: poter capire cosa succede all’interno dell’organismo e delle singole cellule è meraviglioso. La ricerca mi è sembrata la strada migliore per poterlo comprendere sempre di più.
Perché proprio questo progetto sulla poliadenilazione alternativa?
L’idea è nata nel nostro laboratorio, che studia gli RNA non codificanti in vari tumori. La poliadenilazione alternativa è un meccanismo che determina la lunghezza delle “code”, chiamate 3'UTR, degli RNA messaggeri. Queste regioni, situate alla fine degli RNA messaggeri, non vengono tradotte in proteine, ma hanno un ruolo cruciale nel controllare la quantità di proteina prodotta. In particolare, vorremmo concentrarci sulla proteina dell’oncogene NFYA, che è molto attivo nel carcinoma prostatico e sembra favorire maggior aggressività al tumore.
Ci sono aspetti ancora poco chiari che vuoi approfondire?
Sì, in particolare voglio capire come la lunghezza del 3'UTR influenzi davvero la quantità di proteina prodotta e se, modificandola, possiamo concretamente cambiare il comportamento delle cellule tumorali. Ci sono tanti piccoli pezzi del puzzle ancora da mettere insieme.
E adesso, come stai portando avanti questo lavoro?
Utilizzo oligonucleotidi antisenso per modificare il meccanismo di poliadenilazione alternativa e in modo da avere versioni più lunghe del 3'UTR di NFYA. Valuterò quindi gli effetti sulla crescita tumorale delle cellule, e le capacità di migrazione e invasività.
Se questo approccio funzionasse, che prospettive potrebbe aprire?
I risultati attesi potrebbero ridurre l’aggressività del carcinoma prostatico, aprendo la strada a terapie mirate che modificano la poliadenilazione alternativa per trattare forme di cancro resistenti ai trattamenti convenzionali, come il carcinoma prostatico resistente alla castrazione.
Hai mai pensato di fare un’esperienza all’estero?
Mi piacerebbe fare un’esperienza all’estero principalmente per imparare tecniche e aspetti nuovi della ricerca, ma anche per approcciarmi a uno stile di vita e mentalità diverse da quello a cui sono abituata. Mi piacerebbe andare ovunque ci sia la possibilità di imparare cose e vivere esperienze nuove, se potessi scegliere andrei in un laboratorio in Spagna.
Ti va di raccontarmi un episodio curioso dal laboratorio?
Una delle esperienze che ricordo volentieri, che mi è capitata durante il lavoro, è stata quella volta in cui io e una collega siamo rimaste tutta la notte in laboratorio per seguire un esperimento che prevedeva diverse analisi scandite fino al mattino. È stato impegnativo ma anche molto divertente, un po’ fuori dall’ordinario: tra un campionamento e l’altro cercavamo di tenerci sveglie con caffè, musica e chiacchiere. Alla fine, eravamo stanchissime, ma soddisfatte del lavoro fatto. È uno di quei momenti che ti restano impressi, sia per l’aspetto scientifico sia per il lato umano.
Un momento della tua vita professionale che vorresti incorniciare e uno invece da dimenticare.
Sembrerà banale, ma il giorno della discussione del dottorato è stato un bel momento che vorrei incorniciare, perché è stato il giorno il cui effettivamente ho portato a termine un percorso molto faticoso e pieno di sacrifici, ma anche un percorso molto bello in cui ho imparato tante cose dal punto di vista scientifico e in cui ho conosciuto tante persone.
Come ti immagini tra dieci anni?
Non ho piani definiti sul mio futuro. Potrei restare nella ricerca accademica o passare al settore privato. L’importante per me è che il mio lavoro abbia un impatto concreto sulla comunità scientifica e sulla società.
Cosa ti piace di più della ricerca?
Quando penso a scienza e ricerca, mi viene in mente curiosità e voglia di capire come funzionano le cose. È un ambiente molto giovane e dinamico e mi piace la possibilità di studiare la biologia sempre più nel dettaglio. Si possono approfondire temi complessi, fare domande, e cercare risposte in modo rigoroso ma anche creativo. Mi affascina l’idea di contribuire, anche in piccolo, alla comprensione di un fenomeno, e il fatto che ogni giorno io possa imparare qualcosa di nuovo. Mi piace che sia un ambiente stimolante e amo collaborare con persone con background scientifici e culturali diversi.
La passione a volte non basta, com’è fare il ricercatore?
È un settore in cui è difficile avere stabilità, soprattutto dal punto di vista contrattuale, e dove spesso le prospettive di crescita di ruolo sono limitate o molto competitive, rendendo difficile fare progetti a lungo termine. Credo che in Italia ci sia scarsa valorizzazione da parte delle istituzioni: pochi investimenti, carriere precarie, mancanza di riconoscimento del ruolo sociale del ricercatore. La passione non sempre basta a compensare la mancanza di stabilità e di prospettive chiare, ma è un lavoro stimolante, che ti spinge a metterti in gioco ogni giorno. Penso che, nonostante tutto, se si potessero fare più collaborazioni tra i vari laboratori, aumentando il networking e l’interazione nella comunità scientifica, molti progetti potrebbero essere più facili e veloci e questo aiuterebbe a far avanzare la ricerca.
E fuori dal laboratorio? Come ricarichi le batterie?
Sono una persona sportiva, mi piace l’arrampicata e lo yoga. Mi piace fare lunghe camminate in montagna e mi piace viaggiare, anche se ho sempre poco tempo a disposizione. Nel tempo libero ascolto tanta musica: mi piace molto perché esiste sempre una canzone adeguata a ogni momento. Inoltre, sono un’amante degli animali, in particolare dei cani; infatti, faccio volontariato in un canile, dove un giorno a settimana i volontari si occupano di fare una passeggiata con i cagnolini.
Perché è importante sostenere la ricerca scientifica con una donazione?
Donare alla ricerca scientifica è importante perché permette di finanziare scoperte che migliorano la salute, la tecnologia e l'ambiente. Le donazioni supportano innovazione, risolvono problemi globali e aiutano giovani ricercatori a portare avanti progetti di cui beneficiamo tutti. Senza questi fondi, molti progressi cruciali potrebbero essere rallentati o impossibili. In sostanza, è un investimento per un futuro migliore.
Cosa diresti a chi ha scelto di donare?
A chi sceglie di donare alla ricerca scientifica, vorrei dire grazie: il vostro supporto è fondamentale per il progresso. Ogni contributo, grande o piccolo, aiuta a trovare soluzioni a sfide globali, migliora la vita di tutti e rende possibile un futuro più sano e innovativo.