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Neuroscienze
Fabio Di Todaro
pubblicato il 13-01-2014

E se la depressione dipendesse anche dal nostro intestino?



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Aumentano gli studi che indagano la comunicazione in atto tra l’apparato digerente e la sua flora batterica con il cervello. Diverse ricerche condotte sui topi dimostrano come i due organi siano tutt’altro che distanti

E se la depressione dipendesse anche dal nostro intestino?

Per Antonio Gasbarrini, responsabile dell’unità operativa complessa di medicina interna e gastroenterologia del Policlinico universitario Gemelli di Roma, «tutto parte dal nostro intestino, a cui dovremmo guardare con lo stesso interesse riposto nei confronti del cervello». L’affermazione, per molti azzardata, in realtà non lo è, se si guarda al microbiota - l’insieme dei miliardi di microrganismi che abitano l’intestino umano - anche alla ricerca di potenziali fattori scatenanti la depressione. Tra il tubo digerente e il cervello, dunque, ci sarebbe un canale di comunicazione fatto di segnali chimici in grado di modulare alcuni comportamenti.

INTESTINO E CERVELLO - L’ipotesi, non del tutto nuova, è portata avanti dai ricercatori dei dipartimenti di medicina e farmabiotica alimentare dell’università di Hamilton, in Canada. In una ricerca pubblicata su Neurogastroenterology & Motility, infatti, gli scienziati hanno confermato l’esistenza di una fitta rete di scambi, in entrambe le direzioni, tra l’intestino e il cervello, in grado di modulare il rilascio di citochine e neurotrasmettitori che influenzano i comportamenti dell’uomo. Se le evidenze degli effetti della comunicazione in senso opposto erano già chiari - non mancano i riscontri di pazienti con disturbi psichiatrici che avvertono sintomi a livello dell’apparato digerente -, più interessanti e da esplorare sono gli effetti causati dall’intestino sul cervello.  

LA RICERCA - Nei pazienti depressi spesso si riscontrano disordini dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene, con un’elevata concentrazione nel sangue del cortisolo (ormone dello stress) e di alcune citochine infiammatorie, ritenute marker attendibili della malattia. Partendo da queste certezze, i ricercatori hanno indotto una lesione bilaterale del bulbo olfattivo nei topi, per misurare l’attività del colon e dell’asse ipotalamo-ipofisario: prima e dopo l’intervento. Si è così notato che i topi su cui si era intervenuti, a differenza del gruppo di controllo, avevano un’elevata concentrazione dell’ormone Crh - fattore di rilascio della corticotropina, abbondante in condizioni di stress - in circolo, associata a un’aumentata motilità intestinale e a un alterato profilo microbico nel tubo digerente. «Questi risultati rappresentano una base tramite cui collegare le manifestazioni comportamentali alla sindrome del colon irritabile - hanno spiegato gli autori della pubblicazione -. Sebbene nessuno abbia ancora indagato come sia composta la flora intestinale di un paziente depresso, in molti studi oltre il 50% di chi soffre di disturbi del tratto digerente ha già ricevuto anche una diagnosi psichiatrica».

L’INPUT PARTE DALL’INTESTINO? - Sebbene la maggior parte delle ricerche sui possibili campi d’azione della flora intestinale siano ancora compiuti sui topi, non mancano le evidenze che lasciano presagire un ruolo da parte dei batteri intestinali sul comportamento. L’ultimo riscontro è arrivato da uno studio pubblicato su Molecular Psychiatry, che ha evidenziato come topi sterili (privati della flora batterica intestinale) evitassero di socializzare ed entrare in ambienti nuovi rispetto a quelli fino a quel momento frequentati. Un insieme di dati che lascia la porta aperta a interessanti applicazioni terapeutiche: tra cui l’uso di antibiotici e probiotici per la cura dei disturbi psichiatrici.

Fabio Di Todaro
Fabio Di Todaro

Giornalista professionista, lavora come redattore per la Fondazione Umberto Veronesi dal 2013. Laureato all’Università Statale di Milano in scienze biologiche, con indirizzo biologia della nutrizione, è in possesso di un master in giornalismo a stampa, radiotelevisivo e multimediale (Università Cattolica). Messe alle spalle alcune esperienze radiotelevisive, attualmente collabora anche con diverse testate nazionali ed è membro dell'Unione Giornalisti Italiani Scientifici (Ugis).


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