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Oncologia
Fabio Di Todaro
pubblicato il 17-03-2015

Biopsia della prostata, oggi si fa in 3D



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Con l’ausilio della risonanza magnetica, l’esame è più accurato e meno invasivo. Così si può scegliere subito come curare il tumore

Biopsia della prostata, oggi si fa in 3D

Dal suo esito dipende l’inquadramento della malattia e la definizione della strategia terapeutica, ormai sempre più personalizzata. La biopsia della prostata è lo strumento più efficace per riconoscere in tempo utile un tumore della ghiandola, il più diffuso tra gli uomini: poco più di 43mila le diagnosi effettuate nel 2014. La sua efficacia non è mai stata in discussione. Tutt’al più, finora, ci si è interrogati sull’attendibilità.

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TROPPI FALSI NEGATIVI

Il mancato riconoscimento del test del Psa come valida metodica di screening ha fatto sì che la biopsia prostatica guidata dall’ecografia rimanesse l’unico esame in grado di confermare una diagnosi di tumore, oltre a rilevarne la gravità (classificazione attraverso il punteggio di Gleason).

Sulla sua qualità, però, non c’è mai stata omogeneità. Negli anni è stato necessario aumentare la mappatura - dunque il numero di prelievi dall’organo - per ridurre il rischio di non individuare un tumore già presente: i cosiddetti falsi negativi. Ma l’eventualità, con gli strumenti tradizionali, non può ancora essere esclusa: «Fatte cento biopsie in un mese, in 58 casi l’esito è negativo.

In un 15% di questi, però, l’esito del secondo rilievo può essere ribaltato - spiega Sisto Perdonà, direttore della struttura complessa di urologia dell’Istituto Tumori Fondazione Pascale di Napoli -. Il problema, dunque, esiste, ma l’esame va ripetuto a distanza di tempo soltanto se il valore del Psa continua ad aumentare o se ci sono dei cambiamenti morfologici delle cellule della prostata che non permettono di escludere la presenza del tumore».

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BIOPSIE IN 3D

Vista la diffusione della neoplasia, ma anche le elevate chance di cura, individuare un approccio diagnostico dall’esito pressoché certo è divenuto una priorità. Oggi si effettuano biopsie mirate guidate dalla risonanza magnetica, in grado di restituire un’immagine tridimensionale dell’organo che permette di meglio distinguere il tessuto sano da quello malato e di individuare anche tumori di piccole dimensioni. La conferma di una maggiore efficacia di questo approccio giunge da uno studio pubblicato sul Journal of the American Medical Association, al termine del quale la biopsia mirata (con risonanza magnetica ed ecografia) ha identificato una quota superiore del 30% di tumori ad alto rischio, che necessitano dell’intervento chirurgico, negli oltre mille uomini osservati. Come questo riscontro si traduca nella pratica clinica, rimane ancora da capire. Ma il dato, in quanto tale, è promettente.

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MENO EFFETTI COLLATERALI

Il reale vantaggio della metodica “combinata”, diffusa in circa quindici centri in Italia, è quello di eseguire uno studio mirato sulla neoplasia prostatica e non una mappatura “alla cieca”.  La nuova tecnica lavora in tre dimensioni, con la possibilità di simulare il tragitto della biopsia, e di modificarlo all’occorrenza. La zona segnalata come la più sospetta compare come bersaglio, in modo da indirizzare verso il punto preciso da esaminare, senza colpire altre zone.

Al momento non ci sono linee guida ad hoc, ma è opinione piuttosto diffusa tra gli specialisti che in futuro si possa arrivare a una riduzione del numero di prelievi bioptici: dai 12-24 eseguiti oggi a non più di due. Di conseguenza calerebbero anche gli effetti collaterali dell’accertamento: come la presenza di sangue nelle urine o nel liquido seminale e la ritenzione d'urina.

Quanto alla diffusione dell’esame, il problema, al momento, è rappresentato dai costi elevati. Impossibile pensare alla biopsia mirata per lo screening della popolazione. Al momento si ricorre a questo esame quando il paziente presenta già lesioni precancerose, se l’esito della prima biopsia è dubbio o nei casi trattati con la sorveglianza attiva.

Fabio Di Todaro
Fabio Di Todaro

Giornalista professionista, lavora come redattore per la Fondazione Umberto Veronesi dal 2013. Laureato all’Università Statale di Milano in scienze biologiche, con indirizzo biologia della nutrizione, è in possesso di un master in giornalismo a stampa, radiotelevisivo e multimediale (Università Cattolica). Messe alle spalle alcune esperienze radiotelevisive, attualmente collabora anche con diverse testate nazionali ed è membro dell'Unione Giornalisti Italiani Scientifici (Ugis).


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