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La pandemia ha realmente migliorato l'aria che respiriamo?

In lockdown meno emissioni legate al traffico. Ma è presto per essere certi dei benefici per la salute

La pandemia ha realmente migliorato l'aria che respiriamo?

Si è molto discusso, anche in Italia, sul possibile ruolo dell‘inquinamento atmosferico nella velocità di trasmissione della malattia Covid-19 o nell’aggravare le condizioni cliniche in persone con malattie pregresse. L’ipotesi non è affatto peregrina, sappiamo ormai che l’inquinamento ha effetto sulla saluta umana, ed in particolare sulle malattie dell’apparato respiratorio, ma gli studi disponibili sul possibile legame col Sars-Cov-2 non sono ancora sufficientemente accurati.

Un documento appena pubblicato sul sito della Commissione Europea indirizzato al Parlamento Europeo conclude che:

  1. L'inquinamento atmosferico causa malattie croniche come asmaBPCO, cancro ai polmoni, malattie cardiovascolaridiabete. Molte di queste condizioni predispongono al ricovero per Covid-19, anche in terapia intensiva, e al decesso. Esiste dunque una plausibilità dell’impatto negativo dell'inquinamento atmosferico sulla pandemia Covid-19.

 

  1. È stato dimostrato che l'inquinamento dell'aria riduce la resistenza alle infezioni respiratorie, batteriche e virali, diverse dalla Sars-CoV-2. Mentre le prove riguardanti l’ultimo coronavirus sono ancora limitate. Alcuni studi suggeriscono che le persone che vivono in zone ad alto inquinamento potrebbero essere contagiate in misura maggiore da Sars-CoV-2, e più spesso sviluppano la malattia Covid-19. Finora, tuttavia, quasi tutti gli studi sono stati condotti a livello aggregato di Comuni, province, regioni e sono stati di bassa qualità. Abbiamo dunque bisogno di studi più accurati per testare questa ipotesi a livello individuale.

Durante il periodo di lockdown abbiamo vissuto dei mesi con una drastica diminuzione delle emissioni inquinanti, a causa della riduzione del traffico, in primo luogo, ma anche di molte attività. A questo ha corrisposto un miglioramento della qualità dell’aria? E se c’è stato un miglioramento della qualità dell’aria, vi è stato un beneficio di salute?


Gli studi finora disponibili hanno valutato l'inquinamento atmosferico sulla base delle misure di qualità dell’aria delle centraline di monitoraggiomisure satellitari, simulazioni modellistiche del trasporto chimico nell’atmosfera. Per stimare l'impatto del lockdown sui livelli di inquinamento atmosferico sono stati fatti confronti con la qualità dell’aria in anni precedenti il 2020 o confronti diretti tra i mesi del lockdown e quelli immediatamente successivi, tenendo conto delle condizioni meteorologiche (venti, stabilità atmosferica) che hanno ovviamente molta importanza nel contesto della dispersione degli inquinanti.

I rapporti pubblicati fino a oggi hanno fornito un quadro relativamente coerente, documentando una riduzione dei livelli di biossido di azoto durante il lockdown nei Paesi europei compresi tra i 30 e il 50 per cento. La diminuzione del PM2.5 è stata meno pronunciata (5-20 per cento), mentre le concentrazioni di PM10 sono diminuite solo marginalmente. Al contrario, l'ozono è aumentato leggermente. Simile situazione – come documenta l’ultimo rapporto del Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente - si è osservata anche in Italia. Le riduzioni dell'inquinamento legate ai periodi di blocco Covid-19 sono quindi più pronunciate per gli inquinanti legati al traffico come conseguenza di una mobilità ridotta, in tutta Europa, di circa il 60 per cento nei mesi di marzo, aprile e maggio. Possiamo pertanto essere certi di trovarci di fronte a un risvolto «positivo» - se così si può dire - della pandemia? Non proprio, leggendo le conclusioni di uno studio appena pubblicato sulla rivista Science Advances.


Utilizzando metodi più complessi per il controllo delle condizioni climatiche e lo studio delle emissioni, i ricercatori dell’Università di Birmingham hanno sì registrato delle variazioni nei livelli di inquinanti presenti in atmosfera, ma di portata inferiore rispetto a quanto previsto. Nel dettaglio, è quanto si legge nel lavoro, il biossido di azoto è calato di poco meno del 30 per cento. Al contrario, invece, si è osservato un aumento nella concentrazione dell’ozono. Così, se il primo indicatore potrebbe aver determinato dei benefici sulla salute pubblica, è vero anche che questi sono stati in parte attenutati dall'aumento dell'ozono. Insomma, la chimica dell’atmosfera è più complessa del previsto e per dare un giudizio sulla qualità dell’aria durante la pandemia è necessario considerare sia le emissioni primarie sia i processi secondari di trasformazione chimica che avvengono in atmosfera.

Alcuni studi hanno tentato di quantificare gli impatti sulla salute dovuti alla riduzione dell'inquinamento atmosferico come risultato del contenimento Covid-19 con stime dell’ordine di migliaia di decessi evitati grazie alla riduzione delle concentrazioni di PM 2.5. Queste indicazioni sono del tutto preliminari perché l’impatto effettivo sulla salute dovrebbe tenere conto di molti cambiamenti indotti dal lockdown, come il diverso stile di vita (per esempio l'attività fisica), lo stress e la salute mentale, la crisi economica e il ritardo nel trattamento di altre malattie. Questi cambiamenti potrebbero compensare o superare le riduzioni del carico di malattie osservate a causa della riduzione dei livelli di inquinamento atmosferico durante i periodi di blocco Covid-19.

Il messaggio da portare a casa è dunque che l'inquinamento atmosferico può e deve essere controllato e che si deve ridurre la combustione di combustibili fossili attraverso l’introduzione di tecnologie industriali carbon free, attività umane sostenibili e trasporti pubblici più accessibili ed ecocompatibili. Questo messaggio è lo stesso di sempre. E rimane immutato anche in tempi di pandemia. Con un pensiero in più: la crisi economica prodotta dalla pandemia potrebbe avere successivamente conseguenze disastrose per la transizione energetica globale, perché l'impoverimento a livello globale determinerà una minore disponibilità di risorse da investire in fonti di energia alternativa.


A questo punto, è necessaria (e non rimandabile) una presa di consapevolezza del nostro Governo. Con l’auspicio che i fondi del Next Generation EU vengano impiegati per applicare tutti gli strumenti a disposizione per favorire un miglioramento della qualità dell’aria sul territorio nazionale.




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