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Il capitale umano della scienza italiana

Il vero dramma della scienza in Italia? Non è la mancanza di validi ricercatori, ma l’assenza di investimenti adeguati e di serie politiche della ricerca.

Il capitale umano della scienza italiana

Il 20 gennaio 2014 il Sole 24Ore ha pubblicato online un’intervista a Raffella De Vita, ingegnere biomedico di 37 anni che riceverà nientemeno che dalle mani di Barack Obama il Presidential Early Career Awards for Scientists and Engineers: il più prestigioso premio che la Casa Bianca conferisce ai giovani che si sono distinti per la loro carriera scientifica. Raffella è nata a Caserta e si è laureata con lode alla Seconda Università di Napoli, ma come molti altri si è trasferita negli Stati Uniti per sfuggire alla palude della ricerca italiana: l’ennesimo caso nell’infinita storia dei “cervelli in fuga”.

ll mio collega blogger Francesco Mannara ha pubblicato sul suo blog una cruda ma veritiera panoramica sulle principali motivazioni che rendono il nostro paese decisamente NON “science-friendly”. Condivido l’analisi, tranne quando Francesco afferma che “l'Italia non è mai stata un paese di geni e di scienza.  

Non sono d’accordo. L’Italia, al contrario, è una fucina di scienziati; sarà parte del nostro multiforme substrato culturale e storico, sarà forse anche conseguenza della tenacia e dell’impegno che gli italiani devono impiegare per fare bene in un paese che non riconosce adeguatamente la meritocrazia, fatto sta che i nostri scienziati sono tra i più apprezzati fuori dai nostri confini, e la storia di Raffaella ne è uno dei tanti esempi.

Possiamo guardare al nostro passato con orgoglio scorrendo l’elenco degli scienziati e dei ricercatori che si sono distinti nei più diversi campi del sapere. Per citare “solo” i premi Nobel: Giulia Natta per la Chimica; Guglielmo Marconi, Enrico Fermi, Emilio Segré, Carlo Rubbia e Riccardo Giacconi per la Fisica; Camillo Golgi, Salvatore Luria, Renato Dulbecco, Rita Levi-Montalcini e Mario Capecchi per la Fisiologia e la Medicina.

E il nostro presente? Non è certo da meno. É proprio di pochi giorni fa la pubblicazione dei vincitori del ERC Consolidator Grant  promosso dal Consiglio Europeo delle Ricerche: un bando che ha stanziato 575 milioni di euro per borse di ricerca su progetti promettenti e innovativi. Su 312 progetti premiati, ben 46 sono stati assegnati a ricercatori italiani: prima di noi, con solo due progetti in più, ci sono i tedeschi. Al terzo posto i francesi, ben distanziati con “solo” 33 progetti, e via via le altre nazionalità. Se però si guarda a dove i vincitori impiegheranno i soldi per le loro ricerche, oltre la metà degli italiani le condurranno fuori dall’Italia: nessun’altra nazione ha una percentuale “di fuga” così alta.

Ecco dunque il vero bandolo della matassa: l’Italia produce scienziati di altissimo livello, ma non li mette in condizione di poter concretizzare le potenzialità nel proprio paese. E così quasi i tutti i premi Nobel italiani l’hanno vinto per ricerche condotte all’estero e la metà dei vincitori italiani del bando ERC non porterà mai quei finanziamenti in Italia.

Marco Cattaneo, direttore de Le Scienze, ha definito la vicenda con le parole “La Rabbia e l’Orgoglio”: l’orgoglio per i risultati ottenuti dai ricercatori italiani, che hanno studiato e si sono formati nelle Università e nei centri di ricerca italiani.  La rabbia perché, ancora una volta, emerge un dato drammatico e desolante: l’Italia non valorizza il suo capitale umano, e così facendo letteralmente manda in fumo il proprio futuro. Francesco Mannara ha scritto una sacrosanta verità: “un Paese non fa ricerca perché è ricco, ma è ricco perché fa ricerca”. Fino a che non lo capiremo, saremo destinati ad arrancare a piedi dietro al treno del progresso e dello sviluppo.

É fuori discussione che una gran parte della responsabilità ricada sulle Istituzioni e sui Governi, sempre pronti a elargire parole e buone intenzioni ma estremamente carenti quando si tratta di concretizzare le promesse mettendo in atto serie politiche a sostegno della scienza e dell’innovazione.

Tuttavia, spesso si tende a dimenticare un fattore importante: la politica non è qualcosa di staccato dalla società civile, ma ne è una rappresentazione. I politici sono eletti dal popolo italiano, e ne sono lo specchio. Quello che occorre è un cambio di mentalità collettiva: abbattiamo il luogo comune che l’Italia sia solo una terra d’arte, di turismo, di gastronomia e di creativi. L’Italia ha a disposizione un capitale umano di ricercatori e scienziati da fare invidia al resto del mondo, e che rappresenta la chiave per lo sviluppo economico del prossimi decenni. Vogliamo o no imparare a valorizzarlo?



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