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Il caso di Mario e il riconoscimento del suicidio assistito in Italia

Non è "il via libera al suicidio assistito" come alcuni scrivono. Ma è un passo avanti. La vergogna di un paese in cui diritti e bioetica vivono nei tribunali mentre il Parlamento tace

Il caso di Mario e il riconoscimento del suicidio assistito in Italia

Nelle ultime ore è successo qualcosa di importante che riguarda il dibattito italiano sul fine vita e, nello specifico, il dibattito sulla possibilità di ricorrere al suicidio medicalmente assistito.

Partiamo dall’inizio. “Mario” è il nome di fantasia di un uomo di 43 anni divenuto tetraplegico in seguito a un incidente stradale. Nelle sue condizioni non può muoversi in modo autonomo, necessita di assistenza continua ed è affetto da dolori e sofferenze. In assenza di una nuova legge sul suicidio medicalmente assistito o sull’eutanasia, per Mario le uniche alternative sono o aspettare, o recarsi in un Paese dove qualcuno di queste pratiche è invece consentita, per esempio in Svizzera.

Poi, nel 2019, la Corte Costituzionale stabilisce in una sentenza storica sul caso “Cappato e Dj Fabo” che aiutare qualcuno a ricorrere al suicidio medicalmente assistito non è più un reato punibile qualora tale persona sia:

  1. tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale;
  2. affetta da una patologia irreversibile;
  3. e da sofferenze fisiche o psicologiche che reputa intollerabili;
  4. pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli.

Sulla base di questa sentenza, Mario decide di chiedere all’azienda sanitaria competente e al giudice di prima istanza di poter ricorrere al “suicidio medicalmente assistito”. Dopo un primo rifiuto, il collegio infine accoglie la richiesta di Mario in appello.

Il Tribunale di Ancona ordina quindi all’ASUR Marche di verificare le condizioni di Mario, per accertare che possegga i requisiti individuati nella sentenza della Corte Costituzionale. Qui sorgono però alcuni grossi problemi. A oltre un anno dalla sentenza, infatti, l’ASUR delle Marche non solo non ha ancora proceduto a verificare le condizioni di Mario, ma non ha nemmeno inviato altro genere di comunicazione. Da parte delle istituzioni c’è solo silenzio.

Per questo motivo l’11 agosto Mario scrive direttamente al Ministro della Salute Roberto Speranza, che risponde il giorno dopo su vari quotidiani esprimendo la sua solidarietà.

Si arriva così alla decisione del Comitato Etico dell’Asur delle Marche datata 9.11.2021, e resa nota nelle ultime ore, nella quale si accerta che la condizione di Mario soddisfa tutte e quattro le condizioni identificate dalla Corte Costituzionale.

Un passo avanti importante, come si diceva. Ci sono però altri aspetti importanti che è però doveroso sottolineare prima di poterne dare una valutazione ragionata.

Il primo aspetto è che, al momento, non esiste una legge sul suicidio medicalmente assistito in Italia. La legge del 2019 del 2017 in materia di “Dichiarazioni anticipate di trattamento e consenso informato” consente di rifiutare e interrompere dei trattamenti salva-vita, ma non di assumere un farmaco letale, tanto meno di ricorrere all’eutanasia attiva, e cioè a una pratica attraverso cui la morte non viene procurata dal paziente stesso (come nel suicidio medicalmente assistito), ma da qualcun altro (verosimilmente un medico palliativista qualificato). Pertanto, non è affatto chiaro se e come si potrà procedere a dare seguito alla volontà di Mario di ricorrere al suicidio medicalmente assistito.

Per di più, il Comitato Etico, nel parere citato sopra, nota che la richiesta di valutare le modalità che sono state presentate “non può essere soddisfatta”. Questo perché sia il protocollo che è stato sottomesso manca di alcune informazioni essenziali a detta del Comitato, sia perché tale valutazione non è “di sua competenza”. Al momento, quindi non è ancora chiaro se, quando e come Mario potrà davvero accedere al suicidio medicalmente assistito.

Il secondo aspetto importante, dunque, è che questo caso segnerà comunque un precedente importante. Le modalità che saranno individuate - si spera in un tempo ragionevole - costituiranno una base importante per orientare anche le future decisioni su molti casi simili.

Infine, questo caso sottolinea di nuovo come in Italia la bioetica non viva tanto nella società, nelle aule di università o nei reparti di medicina, ma nei tribunali. Come ci ricorda il caso di Mario, però, procedere solo a colpi di sentenze e di appelli non è né sufficiente né degno di un Paese civile.

É tempo che sui diritti delle persone nei confronti del fine vita si compia finalmente un passo decisivo e coraggioso, approvando finalmente una legge che non lasci più spazi d’ombra. Ogni minuto che passa dal raggiungimento di questo obbiettivo ci sono persone come Mario che devono continuare a soffrire contro la propria volontà. Non possiamo davvero più permetterlo. 



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