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Dalle razze ai genomi

Si dovrebbe passare da un vocabolo all'altro, ma ciò non ci porrebbe al riparo dalle discriminazioni

Dalle razze ai genomi

Negli ultimi giorni si è tornati a parlare della proposta di eliminare la parola «razza» dalla Costituzione italiana. Il primo comma dell’articolo 3 infatti recita: «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali». 


Il punto è che, stando a quanto la scienza ha oramai dimostrato, il concetto di razza umana appare del tutto superato. Comparando i genomi di persone diverse, per esempio, si è potuto dimostrare che la varianza genetica tra due individui appartenenti alla stessa popolazione può essere superiore alla varianza genetica tra due individui appartenenti a due popolazioni differenti. Per fare un esempio concreto, adottando lo sguardo molecolare proprio della genomica odierna, esiste la concreta possibilità che voi siate più simili a un eschimese piuttosto che a quel compagno di scuola con il quale la maestra era solita confondervi da piccoli. Quindi, secondo la scienza contemporanea, le differenze tra individui che sono state tradizionalmente attribuite all’esistenza di razze umane diverse non sono invece altro che differenze superficiali tra  membri di quella che è invece una sola ed unica specie: quella degli homo sapiens.


Da qui la proposta, sostenuta da più parti, di eliminare la parola razza dalla Costituzione italiana. Questa possibilità, però comporta alcune scelte non facili e diversi studiosi hanno avanzato proposte differenti in merito a quello che si potrebbe e si dovrebbe fare. Alcuni hanno sostenuto che il vocabolo debba essere comunque mantenuto, perché anche se il concetto di razza è privo di significato, il razzismo rappresenta ancora una fonte concreta di discriminazione. Per chi sostiene questa posizione, togliere la parola razza dalla Costituzione potrebbe far passare il messaggio errato che non vi siano più discriminazioni su base razziale. Altri hanno invece sostenuto che la parola razza vada sostituita con altre perifrasi o eliminata del tutto, mantenendo cioè solo la parte iniziale del primo comma dell’articolo 3. Per chi fosse interessato, su questo tema è appena stato pubblicato un volume - intitolato «No razza, sì cittadinanza» -, il quale raccoglie una serie di contributi a firma di studiosi, scienziati e intellettuali sulla questione.


In questo testo, in un articolo scritto assieme Cinzia Caporale, ho avanzato la proposta di valutare l’opportunità di cancellare la parola razza dall’articolo 3 della Costituzione e di sostituirla con la parola genoma. Senza ripercorrere tutto l’argomento dell’articolo, in questa sede vorrei sottolineare l’idea di fondo che ha motivato questa proposta, e cioè l’idea che la scienza non elimina semplicemente il concetto di razza umana, ma lo sostituisce con un nuovo concetto, quello di variabilità genetica, il quale apre però a una nuova serie di possibili discriminazioni. 


Se infatti da un lato il concetto di razza umana è stato sconfessato dalle nuove conoscenze della genetica e dell’antropologia biologica, dall’altro queste stesse discipline ci hanno permesso di comprendere le differenze esistenti tra gli individui sotto una lente molecolare e fino a poco tempo fa inedita. Quella, cioè, della variabilità genetica. Variabilità che pur non dando luogo a differenze tassonomiche rigide e tali da giustificare l’utilizzo del concetto di razza, può egualmente essere fonte di nuove discriminazioni, minando così la pari dignità sociale di alcuni cittadini e compromettendone l’eguaglianza davanti allo Stato e alla legge secondo il principio affermato dall’articolo 3 della Costituzione.


Già oggi esiste la possibilità concreta che le persone siano discriminate non in base alla propria razza, ma in base al proprio genoma. Per esempio, il fatto di essere geneticamente predisposti a sviluppare alcune patologie piuttosto che altre potrebbe portare a discriminare gli individui nei confronti della possibilità di sottoscrivere un’assicurazione sanitaria. Oppure, il possedere alcuni tratti a livello genetico potrebbe favorire alcune persone in ambiti quali la selezione per un posto di lavoro. Inoltre, esistono già alcuni precedenti, anche in Italia, in cui le differenze a livello genetico tra gli individui hanno portato a prendere alcune decisioni invece che altre in sede di giustizia penale.


Alla luce di queste possibilità, non sorprende come a livello internazionale esistano già delle norme in materia di non-discriminazione genetica. Per esempio, nel 1997 l’Unesco ha promulgato la «Dichiarazione Universale sul Genoma Umano e i Diritti Umani», sottoscritta l’anno successivo anche dall’assemblea delle Nazioni Unite. Nel preambolo di tale Dichiarazione si legge che «il riconoscimento della diversità genetica dell'umanità non deve dar luogo ad alcuna interpretazione di ordine sociale o politico tale da rimettere in causa la dignità inerente a tutti i membri della famiglia umana e dei loro diritti uguali ed inalienabili». Sempre nel 1997 è stata approvata dal Consiglio d’Europa anche la cosiddetta «Convenzione di Oviedo», e cioè la «convenzione per la protezione dei diritti dell’uomo e della dignità dell’essere umano nei confronti dell’applicazioni della biologia e della medicina». All’articolo 11 la Convenzione di Oviedo specifica che «ogni forma di discriminazione nei confronti di una persona in ragione del suo patrimonio genetico è vietata». L’Italia ha recepito la Convenzione attraverso la legge 145 del 28 marzo 2001, impegnandosi quindi a predisporre gli strumenti per adattare il proprio ordinamento giuridico ai principi e alle norme contenuti nella Convenzione.


La possibilità di operare discriminazioni su base genetica, quindi, è oggi più concreta che mai. E gli stessi strumenti conoscitivi che hanno reso possibile il dissolvimento del concetto di razza umana rendono possibile nuove forme di possibili discriminazioni tra gli individui. Forse la discussione che sta cominciando nel nostro paese in merito alla proposta di eliminare la parola razza dalla Costituzione potrebbe essere una buona occasione per pensare anche ad altri tipi di discriminazioni rispetto ai quali faremmo meglio a salvaguardarci con debito anticipo.



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