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Lettera al Presidente del Consiglio

Caro Presidente,

Lettera al Presidente del Consiglio

Caro Presidente,

ho letto la scheda tecnica del caccia di attacco F- 35 della Lockeed Martin, di cui l’Italia dovrebbe comprare 131 esemplari, con una spesa di almeno 15 miliardi di euro in undici anni. E’ un caccia di “quinta generazione”, un vero capolavoro di tecnologia aerospaziale, un fantastico giocattolo di guerra.

Io, signor Presidente, faccio appello al suo buon senso oltre alla sua intelligenza politica e le chiedo di cancellare la decisione presa dall’Italia nel 2002, quando pensò bene di entrare in questo programma militare guidato dagli Stati Uniti, e che risulta essere il più costoso della storia. La protesta, non solo mia, sta montando perché sembra incredibile che in tempi di crisi si voglia fare questa spesa folle, ma essa viene rintuzzata dai fautori del progetto (primo fra tutti il ministro della Difesa, ammiraglio Giampaolo Di Paola) i quali sostengono che la marcia indietro è ormai impossibile: la penale da pagare sarebbe troppo alta, e rinunciare adesso agli aerei ci costerebbe quanto (se non più) che rimanere nel programma.

Ma se Lei Presidente, va a rileggere la documentazione ufficiale dell’accordo scoprirà che qualunque degli otto Stati partner “può ritirarsi dall’accordo con un preavviso scritto di 90 giorni, da notificarsi agli altri compartecipanti”. L’Italia non dovrebbe affatto pagare una penale altissima: se la potrebbe cavare con 904 milioni, che è niente rispetto alla cifra fantascientifica di 15 miliardi che saremmo costretti a spendere nei prossimi anni, prima per comprare e poi per mantenere questi lussuosi strumenti di morte, ognuno dei quali costa 120milioni, ossia l’equivalente di quanto è necessario per costruire e far funzionare 85 asili nido. Non faccio questa citazione a caso, perché è certo che si può dare più occupazione con 85 asili nido che con lo stabilimento di Cameri, in provincia di Novara, dove dovrebbero essere parzialmente assemblati i caccia F-35, e per il quale i fautori del progetto parlavano di diecimila posti di lavoro. Ora il Ministero della Difesa parla più modestamente di circa 600 posti.

Questo discorso, Presidente, ci porta a un punto nodale: investire nella pace (sanità, ricerca scientifica, opere sociali) e non nella guerra con le sue macchine di morte, non è un sogno di “anime belle”. Chiedere la pace e agire per la pace non è utopia, ma è speranza, impegno civile, fede nel futuro. Science for Peace, il movimento per la pace che ho lanciato insieme con molte figure rilevanti della cultura internazionale e con oltre venti Premi Nobel, ha presentato lo scorso anno uno studio effettuato per la Fondazione Veronesi dall’Università Bocconi, (sì proprio la “sua” Università) che verificava le conseguenze economiche nell’ipotesi che alcuni Paesi europei, cioè Italia, Francia, Gran Bretagna, Germania, Spagna e Svezia riducessero del 5% le spese militari. La conclusione dell’analisi fu così sintetizzata da Maurizio Dallocchio, ordinario di finanza aziendale alla Bocconi e coordinatore dello studio: “L’obiettivo di Science for Peace di chiedere la diminuzione graduale del 5% delle spese militari è economicamente legittimo, perché non intacca sostanzialmente la struttura economica delle nazioni che decidessero di prendere questa iniziativa. Ed è eticamente giusto.”

In Europa le spese militari assorbono 300 miliardi di euro all’anno. Noi che ci battiamo per la pace pensiamo che si possano ridurre drasticamente a favore dei bisogni dell’uomo, soprattutto degli strati più poveri della società, e per dare alle nuove generazioni cultura, ricerca e scienza. Non sarebbe un cattivo investimento. Come ha ricordato Francesco Vignarca, coordinatore della Rete italiana per il disarmo, tutti gli studi internazionali fatti sul tema parlano chiaro: se invece d’investire in armi s’investisse in sanità, istruzione ed energie rinnovabili, raddoppierebbero i posti di lavoro e aumenterebbe di una volta e mezzo lo sviluppo economico in generale.

L’Italia è ancora in tempo a non firmare il contratto di acquisto dei caccia F-35. La supplico, signor Presidente, di compiere questo gesto per il bene del nostro Paese. Uscire da questo programma vuol dire non solo risparmiare 15 miliardi che sarebbero buttati via, ma anche incominciare a percorrere la strada della pace. Emanuele Kant, nella sua opera “Progetto per una pace perpetua”, lanciò l’idea-guida che la pace è un ideale regolatore, verso il quale bisogna tendere. E scrisse: “La questione non è più di sapere se la pace perpetua è qualche cosa di reale oppure se è una chimera, ma noi dobbiamo agire come se questa cosa, che forse non sarà, dovesse essere”. E Albert Einstein affermò: “Dobbiamo essere pronti a fare sacrifici in favore della pace più di quanto facciamo di buon grado in favore della guerra. Non esiste dovere che io consideri più importante o al quale tenga di più”. A Lei, signor Presidente, che so anche di ideali cattolici, ricordo quanto ammonì Papa Pacelli: ”Nulla è perduto con la pace, tutto può esserlo con la guerra”

Sì, la pace è un dovere, signor Presidente. Stiamo desolando il mondo con uno stato di guerra continuo e proteiforme, e sembra che le armi più stupefacenti non bastino mai. Ma la guerra non finisce, anzi peggiora e si allarga. Sono passati tanti secoli da quando Tacito scrisse: “Dove fanno il deserto, lo chiamano pace”, e stiamo ancora credendo (o facendo finta di credere) che la pace possa nascere dalla guerra. Facciamo al contrario, e con un atto di fiducia al quale possono e devono partecipare tutte le nazioni, investiamo nella scienza di pace, che può portare il benessere dove c’è la fame, l’acqua dove c’è il deserto, il dialogo dove c’è lo scontro di culture. Cerchiamo finalmente d’immaginare lo splendore di nuove generazioni sottratte all’incubo della guerra e allevate nell’obiettivo della massima realizzazione dell’uomo.   

Umberto Veronesi

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