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Dalle staminali neurali una cura per la sclerosi multipla?

I risultati raggiunti dai ricercatori del San Raffaele di Milano, benché non ancora completi, testimoniano la complessità della ricerca sulle staminali. Un monito da tenere sempre a mente, qualora dovessero ritornare sulla scena casi simil-Stamina

Dalle staminali neurali una cura per la sclerosi multipla?

Quando decide di parlare di staminali, ogni divulgatore scientifico sa che camminerà su un campo minato. Sant’Agostino diceva che «se non mi chiedono cosa sia il tempo, lo so, ma se me lo chiedono non lo so». Quando si parla di cellule staminali, la situazione è simile: tutti pensano di sapere di cosa si stia parlando finché non si chiede una definizione più specifica. Ed è curioso come ogni divulgatore scientifico trovi un modo diverso per spiegare cosa siano queste benedette cellule staminali. A me, che divulgatore non sono (semmai sono un appassionato), piace descrivere le cellule staminali in maniera molto semplice: sono la base della vita. Una cosetta non proprio da niente, insomma. E, per estensione, in molti casi esse rappresentano anche la base della morte.

Prima di addentrarci troppo nella questione, cerchiamo anzitutto di dare una risposta sotto il profilo scientifico alla domanda di fondo: cosa sono davvero queste cellule staminali? Allora, ricordate il DAS? Quel magnifico panetto bianco modellabile, simile all’argilla, che si poteva tagliare, manipolare, unire, piegare e via dicendo per creare le nostre opere d’arte infantili? Personalmente non ero particolarmente portato per l’arte: da lì la mia scelta di dedicarmi alla scienza. Tuttavia, ricordo bene la sensazione di stupore quando mi accorgevo che un parallelepipedo bianco si era trasformato in un (seppur informe) vaso, solo perché io avevo deciso - o il professore di arte alle scuole medie lo aveva deciso per me - che tale doveva diventare. Beh, le cellule staminali sono come il DAS. E il mio professore di arte era il patrimonio genetico che decideva cosa sarebbe dovuto diventare quel DAS.

Usciamo ora dalla metafora. Le cellule staminali sono cellule che, possiamo dire, non hanno ancora una specifica identità e specifiche caratteristiche che ne consentono una immediata classificazione funzionale. Possono intraprendere la strada per diventare qualsiasi tipo di cellula, così come il panetto di DAS può diventare qualsiasi cosa. Sappiamo tutti che nel corpo umano esistono milioni e milioni di cellule. E sappiamo tutti che esse non sono tutte uguali: un neurone sarà morfologicamente e funzionalmente diverso da una cellula del cuore, così come una cellula che produce insulina nel pancreas sarà sempre e comunque diversa da un globulo rosso. Eppure all’inizio erano tutte una sola cellula, chiamata zigote, la madre di tutte le cellule (suona epico, vero?), nata nel momento in cui lo spermatozoo ha fecondato la cellula uovo. E da lì, lo zigote, per ordine del genoma che è nato da questa fusione (nella metafora, il mio professore di arte diventa ora il genoma) ha iniziato a dividersi in due cellule, poi in quattro e così via. Quattro cellule tutte uguali. Quattro cellule staminali. Non erano neuroni o cellule epiteliali, né epatociti né fibre muscolari: erano mattoncini precursori di tutte queste tipologie cellulari. Ogni singola cellula del nostro corpo viene dalla divisione, prima, e dal differenziamento, poi, di una cellula staminale. Per ora mi fermo qui con la teoria con la promessa di tornarci con un post più specifico che tratti dei vari stati e delle relative potenzialità di una cellula staminale. Si può cominciare ad avere un’idea qui, ma per il momento è necessario tenere ben presente un concetto. Sebbene allo stato embrionale e fetale le cellule staminali siano molto più abbondanti, anche gli individui adulti hanno delle cellule, dette cellule progenitrici, in grado di differenziarsi in un numero più limitato di cellule mature. Per fare un esempio, una cellula progenitrice è una cellula staminale neurale, che potrà diventare neurone o astrocito o oligodendrocito ma non potrà mai diventare una cellula che produce acido cloridrico nello stomaco o una cellula della parete intestinale.

Fin qui la teoria, ma certo si è capito che stiamo trattando con uno strumento dal potenziale infinito, il potenziale stesso della vita per come la conosciamo. In virtù di tali potenzialità scaturiscono immediati i quesiti più disparati: come usiamo le cellule staminali? come dovremmo usarle? come non dovremmo usarle? é giusto far uso di cellule staminali e per quali finalità? Tutti argomenti che animano dibattiti, controversie, prese di posizione ideologiche, morali ed etiche che hanno riempito e riempiranno intere biblioteche. Esistono centinaia di laboratori al mondo che lavorano con le staminali, con la speranza di poter utilizzare questo strumento dall’enorme potenziale nei campi più disparati della medicina, dalla riparazione del tessuto nervoso danneggiato, alla prevenzione dei rigetti nei trapianti, dalla cura dei danni cerebrali dopo un’ischemia, alla produzione artificiale di organi umani “su misura”.  Al giorno d’oggi, tuttavia, l’unico vero trattamento terapeutico approvato, basato sull’utilizzo di cellule staminali è il trapianto di cellule staminali ematopoietiche.  Si tratta di cellule progenitrici del sangue che possono poi differenziarsi in una dozzina di tipologie cellulari differenti. Queste cellule progenitrici vengono, nella maggior parte dei casi, da trapianti di midollo osseo e da trasfusioni di sangue da donatori; anche il sangue proveniente dal cordone ombelicale e il fluido amniotico ne sono ricchissimi.

Nel 2009, la Geron Corporation iniziò un trial clinico per testare un prodotto basato su cellule staminali neurali progenitrici di oligodendrociti, cellule del sistema nervoso. Questo prodotto, chiamato GRNOPC1, venne testato per due anni su pazienti con lesioni spinali prima che il trial fosse interrotto. Nel 2013, un’altra impresa, Biotime, ha deciso di acquistare l’intero asset di Geron Corporation e portare avanti il trial. Seppure i risultati fossero poco convincenti, si trattò del primo candidato farmaco basato interamente su cellule staminali ad essere approvato per un trial clinico da un organo di supervisione quale era la Food and Drug Administration (FDA) americana. Esistono altri casi di trial clinici approvati per prodotti a base di staminali embrionali, meno famosi del caso GRNOPC1, come ad esempio quello approvato per la cura della malattia di Stargardt, una maculopatia giovanile, o per il diabete di tipo 1. Entrambi sono molto promettenti e ci si aspettano risultati sempre più incoraggianti negli anni a venire.

A questa lista, possiamo aggiungere da poco anche la terapia STEMS, sviluppata da un team interamente italiano, formato dal gruppo di Gianvito Martino, direttore scientifico dell’Ospedale San Raffaele di Milano e una  delle voci più accreditate quando si parla di sclerosi multipla a livello internazionale, e da Giancarlo Comi, primario e direttore dell’Istituto di neurologia sperimentale: sempre al San Raffaele. Per anni il gruppo di Martino ha lavorato con un modello animale di sclerosi multipla, chiamato encefalite sperimentale autoimmune (Eae) per studiare i meccanismi patologici alla base di questa terribile malattia autoimmune di cui ancora non sono chiare le cause scatenanti. Una volta compreso il funzionamento di questo modello nei roditori, principalmente topi e ratti, il gruppo di Martino ha sviluppato un protocollo di infusione di cellule staminali neurali direttamente nel liquido cerebrospinale degli animali affetti da Eae. Questi animali manifestano sintomi che ricordano molto quelli della sclerosi multipla negli umani, sia a livello clinico (paralisi ascendente) che a livello molecolare (distruzione della guaina mielinica che funziona come nastro isolante per i nervi e conseguente danneggiamento dei nervi) in un processo di continua infiammazione: l’infusione di queste cellule staminali neurali porta alla ricostruzione della guaina mielinica e a una riduzione dell’aggressività dell’infiammazione circostante. Questo avviene perché le cellule staminali neurali vengono attirate verso i siti danneggiati del sistema nervoso da una serie di sostanze che fungono da «briciole di pane» per le cellule stesse. Una volta arrivate in una zona danneggiata e infiammata, le cellule staminali iniziano a liberare sostanze in grado di proteggere e riparare il tessuto nervoso danneggiato. Una parte di esse, tuttavia, si differenzia in oligodendrociti, le cellule che producono la guaina mielinica, ossia la guaina che riveste i nervi e che è stata danneggiata dalla malattia. Questi risultati, assolutamente unici nel loro genere, hanno fatto ben sperare in ottica di una sperimentazione umana. Comi si è quindi occupato di disegnare un protocollo per una corretta infusione di queste cellule in pazienti affetti da sclerosi multipla attraverso puntura lombare. Dopo oltre dieci anni di ricerca, un trial clinico è stato approvato e un paziente affetto da sclerosi multipla ha ricevuto il trattamento sperimentale presso l’ospedale San Raffaele di Milano. Presto altri pazienti verranno aggiunti allo studio che, essendo in fase 1, per ora si concentra sullo studio della sicurezza del trattamento stesso, prima ancora che sulla sua efficacia. Dieci anni di lavoro, effettuato prima su cellule in vitro e, successivamente, anche su animali in vivo. Se ne faccia una ragione chiunque la pensi diversamente. La sperimentazione su animali costituiva un passo obbligatorio per poter dimostrare l’efficacia terapeutica potenziale di queste cellule staminali.

Lavorare con le staminali, come in qualsiasi altro campo della scienza, d’altronde, è di una difficoltà estrema e richiede una grande quantità di ore di lavoro, di sacrifici, di investimenti finanziari che pochi, al di fuori di un laboratorio, possono anche solo immaginare. A distanza di cinque anni, la notizia di un trattamento a base di staminali che ha superato dieci anni di duro lavoro basato sul metodo scientifico ed è approdato alla sperimentazione umana rende ancora più ridicola l’idea che cellule staminali mesenchimali - un altro tipo di cellula progenitrice in individui adulti - possano trasformarsi in neuroni senza alcun tipo di trattamento. E soprattutto rende ancora più surreale l’atmosfera creata dall’utilizzo di metodi totalmente privi del benché minimo supporto scientifico, con l’immancabile ed estenuante seguito di dibattiti nei salotti televisivi o giornalistici, con la presenza di tuttologi, star dello spettacolo, nomi altisonanti, cui purtroppo troppo spesso hanno fatto seguito autorevoli prese di posizioni e importanti pronunciamenti giudiziari e clinici. Sì, sto parlando di Stamina.


@f_mannara

 



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