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Alimentazione
Francesca Morelli
pubblicato il 16-02-2014

Gli acidi grassi che salvano il cuore



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Una dieta che privilegia alimenti vegetali, ricchi di omega 6 e 3, abbassa sensibilmente il rischio di infarto. Le conferme da un ampio studio italiano su cinque città

Gli acidi grassi che salvano il cuore

Non tutti i grassi sono uguali. Alcuni sono buoni e potrebbero contribuire a migliorare lo stato di salute del cuore, abbassando le probabilità di incorrere in un infarto. Lo evidenzia l’AGE-IM (Acidi Grassi Essenziali e Infarto Miocardico), uno studio italiano condotto dalla Nutrition Foundation of Italy (NFI) nelle unità coronariche di Bologna, Cremona, Ancona, Napoli e Palermo e i cui risultati sono stati recentemente pubblicati sulla rivista internazionale Atherosclerosis

Dieta, si riapre il confronto tra grassi saturi e insaturi?


GLI ACIDI GRASSI POLINSATURI

Sono meglio conosciuti come omega-3 e omega-6. Sono contenuti in cibi piuttosto comuni: i primi nel pesce (pesce azzurro, salmone, merluzzo, trota), nei vegetali a foglia e nelle noci; i secondi negli oli vegetali (mais, girasole, soia, vinacciolo) e in tutta l’altra frutta secca (mandorle, pistacchi, nocciole, arachidi).

Ma sono due grassi particolari: non vengono prodotti naturalmente dall’organismo, ma devono essere assunti con l’alimentazione e per questo sono definiti “essenziali”.

Sulle tavole italiane, però, entrambi sono meno presenti di quanto si pensi, nonostante svolgano un’azione preventiva in difesa della salute del cuore. «La nostra ricerca – spiega la dottoressa Franca Marangoni primo autore della pubblicazione – ha dimostrato che alti livelli di omega-3 (misurati nel sangue) possono ridurre il rischio di infarto del 65% e, nel caso degli omega-6, fino all’85%».

 

A COSA SERVONO I GRASSI? 

 

I RISULTATI DELLO STUDIO AGE-IM

«Nel nostro studio abbiamo potuto constatare – aggiunge Andrea Poli, direttore scientifico di NFI – che i grassi saturi, di origine animale, presentavano concentrazioni più elevate nel sangue di soggetti colpiti da infarto, mentre quelli polinsaturi (omega 6 e 3, appunto) erano più rappresentati nel sangue dei soggetti sani di controllo».

Una differenza che si spiega facilmente, in quanto gli omega-6 abbassano il tasso di colesterolo LDL (che i saturi invece tendono a alzare), mentre gli omega-3 svolgono un’azione antiaritmica, antinfiammatoria e antiaggregante.

Considerati nel loro insieme, si tratta di meccanismi che prevengono l’infarto.

Ciò che più conta, inoltre, è che il loro effetto positivo è sinergico, viene cioè potenziato quando possono funzionare in combinazione. «Lo studio AGE-IM - sottolinea la dottoressa Marangoni - è importante anche perché indebolisce ulteriormente l'ipotesi, tuttora piuttosto diffusa, secondo cui l'apporto corretto dei polinsaturi va calcolato come rapporto omega-6/omega-3, da mantenere il più basso possibile».

 

I RISVOLTI PRATICI

Come emerge anche dallo studio AGE-IM, solo pochi italiani sembrano però trarre vantaggio dai benefici preventivi combinati che gli acidi grassi polinsaturi esercitano sul cuore. «I consumi totali di omega-6 e omega-3 tra la popolazione presa in esame – conclude il dottor Poli – sono infatti risultati pari solo a 9 grammi al giorno (corrispondenti al 5% delle calorie).

È una soglia molto inferiore a quella raccomandata dalle linee guida nutrizionali che suggeriscono addirittura, per i soli omega-6, valori dal 5 al 10% delle calorie totali». Conclusione: la strategia per salvaguardare il cuore è a portata di ‘piatto’: è scritta in una dieta mediterranea da seguire giorno per giorno, ricca di vegetali e di pesce, bilanciata e  rispettosa del corretto apporto calorico, che includa frutta secca e piccole quote di oli vegetali ricchi in omega-6.

 


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