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Alimentazione
Redazione
pubblicato il 14-01-2014

Si chiama acrilamide il rischio dei cibi fritti


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Il composto, potenziale cancerogeno, si forma durante le cotture ad alte temperature. Meglio evitare quindi cibi fritti dorati e croccanti. Attenzione a patate, caffè e prodotti farinacei

Si chiama acrilamide il rischio dei cibi fritti

Non se ne sentiva parlare da un po’, anche se l’attenzione della comunità scientifica non è mai scemata. L’acrilamide, una sostanza tossica che si forma durante i processi di cottura ad alte temperature, è nuovamente al centro del dibattito. A riportarla d’attualità, nelle ultime settimane, sono state l’Unione Europea e la Food and Drug Administration, l’ente governativo statunitense che si occupa della regolamentazione degli alimenti e dei farmaci. Se la raccomandazione 647 diffusa da Bruxelles al fine di «modificare alcuni valori indicativi per il composto forniti in base ai dati del monitoraggio dell’Efsa, l’Euopean Food Safety Autorithy, è passata quasi sotto traccia, lo stesso non è avvenuto per il documento emesso oltreoceano: un progetto di orientamento rivolto soprattutto ai produttori, che hanno modo di misurare la quantità di acrilamide presente negli alimenti. Si legge nel testo: «Ridurne la concentrazione nella dieta è possibile: basta innanzitutto limitare il consumo di cibi fritti». Un consiglio che, nel ricordare i potenziali effetti dannosi del composto sulla salute dell’uomo, in molti hanno letto come un ulteriore sostegno alle iniziative che puntano a ridurre drasticamente i numeri dell’obesità.

L’ACRILAMIDE - Chili in eccesso a parte, il dibattito sull’acrilamide - considerato un potenziale cancerogeno dall’Agenzia internazionale di ricerca sul cancro - è tutt’altro che concluso. Premesso che gli studi che ne hanno provato la cancerogenicità e gli effetti dannosi a carico del sistema nervoso hanno riguardato principalmente i ratti, le ricerche sugli effetti indotti dalla presenza del composto nell’alimentazione proseguono. «Azzerarne la concentrazione, in molti casi, è impossibile, ma sarebbe importante conoscere quali dosi possono essere pericolose per l’uomo», spiega Marina Marinovich, docente di tossicologia all’Università Statale di Milano. È l’obiettivo che si è posta l’Efsa, che da luglio sta revisionando centinaia di studi scientifici a caccia di una verità univoca sull’acrilamide, per determinare un limite di contaminazione. Già fissata per il secondo semestre del 2014 la scadenza per eventuali aggiornamenti. «Per ora non resta che seguire l’indicazione di ridurre al massimo il consumo di cibi fritti per abbattere l’esposizione all’acrilamide - commenta Alberto Ritieni, docente di chimica degli alimenti all’Università Federico II di Napoli -. Detto ciò, riconoscendo al gusto un ruolo importante nella dieta, ci sono alcuni semplici accorgimenti da adottare a difesa del nostro organismo. Fare attenzione al colore degli alimenti è un valido aiuto: meglio evitare cibi fritti troppo dorati e croccanti. È bene, poi, che questi siano sempre accompagnati con verdura e frutta, ricche di antiossidanti che contrastano l’effetto tossico dell’acrilamide».

ATTENZIONE A TAVOLA - Sul banco degli imputati, tra le fonti alimentari, ci sono soprattutto le patatine fritte, ma anche il caffè e tutti i farinacei: dal pane ai toast, dai cracker ai biscotti e ai cereali per la prima colazione. A scatenare la sintesi dell’acrilamide, i cui effetti tossici a carico del sistema nervoso centrale e dell’apparato riproduttivo, prima del 2002, erano stati associati soltanto all’alta esposizione al composto per motivi professionali, è una particolare reazione (di Maillard) che avviene tra un amminoacido, l’asparagina, e i monosaccaridi, in seguito a una cottura a elevate temperature: fritture e grigliate, purché si vada oltre i 120 gradi. Anche il tempo gioca la sua parte: più lungo è il processo, maggiore è la quantità di composto che si forma.  «Tutti gli alimenti a cui occorre prestare attenzione hanno un’abbondante quota di amido che, durante la cottura, si scompone in glucosio e si lega all’asparagina libera - prosegue Ritieni -. Si ha così una reazione di imbrunimento, dovuta alla sintesi delle melanoidine: motivo per cui il colore della frittura è un parametro da tenere in considerazione. La carne e il pesce, che hanno una quota di zuccheri di molto inferiore rispetto agli amidacei, non danno alcun problema, purché non siano impanati: in questo caso è l’aggiunta del pangrattato a rendere più probabile la reazione che porta alla sintesi dell’acrilamide».

I CONSIGLI - In attesa che si pronunci l’Efsa, la ricerca in ambito biotecnologico, nell’intento di ridurre la sintesi del composto, procede spedita. Si sa, e la Food and Drug Administration lo ribadisce nel proprio documento, che le patate non dovrebbero essere conservate a basse temperature, per evitare di aumentarne la dolcificazione: e dunque la quota di zuccheri liberi in grado di reagire con l’asparagina. Quanto alla cottura, conviene dare la precedenza alla bollitura e a quella a vapore. Infine alcuni consigli pratici: meglio cuocere le patate dopo averle tenute in acqua per 15’-30’, non farle germogliare prima di portarle a tavola, evitare le fritture prolungate con lo stesso olio.  

Fabio Di Todaro
@fabioditodaro


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