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Antonella Cremonese
pubblicato il 30-07-2012

Le nuove cure dell'emicrania



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E’ una malattia invalidante ma ci sono i famaci efficaci per combatterla, però la terapia deve essere costante per aver successo

Le nuove cure dell'emicrania

Un domenica mattina all’Istituto Neurologico Besta di Milano, per un’iniziativa che sarebbe utilissima in tutti gli ospedali: far parlare gli esperti di una malattia, spiegarla ai cittadini e rispondere alle loro domande. Il tema è stato l’emicrania, «che è una vera malattia, come il diabete, ed è molto invalidante. Ma che normalmente suscita nei parenti e negli amici dello sfortunato che ne soffre, solo il semplicistico consiglio di prendersi un’aspirina»,  ha detto lo psicologo Alberto Raggi del Besta.

SFUGGENTE E MALINTENZIONATA- Il professor Gennaro Bussone, presidente dell’Associazione neurologica italiana per la ricerca sulle cefalee, ha riassunto così le  modalità di azione dell’emicrania: «Poiché nel cervello, e precisamente nell’ipotalamo, c’è una specie di orologio biologico che regola l’equilibrio del nostro organismo, se  cambiano i ritmi di quello che facciamo, ecco che può scoppiare l’attacco di emicrania: succede nei fine settimana, quando si va a fare una bella passeggiata, succede nei primi giorni di un viaggio tanto desiderato. Con l’emicrania, non si riesce nemmeno a guidare l’auto» E succede anche con lo stress, informa Raggi, il quale valutando in termini di danni indiretti (perdita di giorni di lavoro) l’impatto sociale dell’emicrania, riferisce i risultati di alcuni studi, ricavati dalla distribuzione di un questionario internazionale, il questionario Midas: una perdita di 27 miliardi di euro all’anno in Europa, di 5 miliardi all’anno in Italia. 

PAGANO I MALATI- Una paziente osserva: «Ma vi rendete conto che molte volte questo danno lo paghiamo noi malati? La regola che ci affibbia i primi tre giorni di malattia  ci fa smaltire un attacco di emicrania a spese nostre, oppure ci costringe ad andare al lavoro pur soffrendo da impazzire.» Andare al lavoro ammalati  ha portato a  coniare un neologismo, il «presenteismo»: vuol dire che uno è presente al lavoro, ma rende poco. Spiega Alberto Raggi: «E’ un problema importante, perché in pratica non ce la si fa a lavorare. Non si resiste al computer, non si riesce a leggere, il rumore è una tortura,  dà fastidio anche la tosse del vicino. E l’attenzione, la capacità di concentrazione e la memoria subiscono un calo spaventoso.»  L’emicrania non risparmia nemmeno il rendimento della casalinga, che non riesce a pulire la casa e a cucinare i pasti.  Perciò  la malattia va sempre valutata in correlazione agli ambienti di lavoro e di vita. Un dirigente potrà magari fare uno stacco dal lavoro e starsene tranquillo per un po’ nel suo ufficio in penombra, ma non chi è alla catena di montaggio, o sta guidando il tram. Le speranze che l’attacco duri poco sono malriposte. Spiega il professor Domenico D’Amico, del Besta: «E’ raro che duri un paio d’ore, è più comune che duri anche due-tre giorni. Non solo c’è il dolore dell’emicrania, ma ci sono mancanza d’appetito, nausea, brividi, malessere. E grande fiacca. Più della metà dei soggetti non riesce a sollevare e a trasportare un oggetto pesante.»

LE CAUSE- Ma perché viene l’emicrania? Risponde D’Amico: «Non lo sappiamo ancora con precisione. Spesso l’emicrania compare nell’infanzia, e a volte tende a scomparire (ma non è una regola) verso i 50-60 anni. Un grande passo avanti l’abbiamo fatto con la possibilità di una classificazione internazionale per la diagnosi di emicrania, che fa parte delle cefalee primarie. Le tecniche diagnostiche tipo Tac e Pet servono solo ad escludere che l’emicrania non sia primaria, ma sia invece secondaria a qualche altra patologia.» Gli analgesici combattono il dolore, ma la terapia si fa con i farmaci. I farmaci per curare l’emicrania ci sono, e sono efficaci. «Bisogna però usarli con costanza e con regolarità, senza scoraggiarsi se non diventano attivi prima di un periodo anche abbastanza lungo» dice il professor Bruno Colombo, direttore del Centro Cefalee dell’Istituto Scientifico San Raffaele di Milano. «Il farmaco va preso subito, prima che il dolore peggiori, altrimenti il cervello si sensibilizza e si va oltre il punto di non-ritorno. Ci sono ormai farmaci per tutte le esigenze. Quelli transdermici col cerotto, quelli che si mettono sotto la  lingua, quelli che contengono una sostanza contro nausea e vomito.»

I CENTRI DI CURA- Il professor Gennaro Bussone conclude raccontando come vengono seguiti i pazienti al Centro Cefalee del Besta e negli altri Centri specializzati della Lombardia: «La Lombardia è finora l’unica Regione che riconosce e tutela le cefalee:  ha stabilito numerosi centri ospedalieri, che sono in rete sotto il coordinamento del nostro Istituto. Si seguono gli stessi protocolli. Dando a tutti i pazienti un diario in cui segnare non solo la cronaca  dell’episodio di cefalea, ma anche cosa hanno fatto poco prima dell’attacco, che cosa hanno mangiato, se hanno avuto uno stress, e così via. E chiediamo la collaborazione dei medici di famiglia, per i quali stiamo facendo anche informazione e formazione.»

 


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