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Fabio Di Todaro
pubblicato il 24-09-2014

L'elettrostimolazione contro l'obesità



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La procedura, che consiste nel paralizzare il nervo vago, è stata testata negli Stati Uniti: confortanti i risultati, con meno rischi per i pazienti

L'elettrostimolazione contro l'obesità

La procedura, testata in ambito sperimentale, è destinata a essere scandagliata a fondo. Paralizzare le due fibre del nervo vago potrebbe diventare una soluzione in più per contrastare l’obesità in sala operatoria. Pur non comportando una perdita di peso almeno pari al dieci per cento di quello di partenza - obiettivo primario che s’erano posti i ricercatori del Minnesota, autori dello studio pubblicato sul Journal of the American Medical Association -, la sperimentazione ha evidenziato una discreta efficacia e soprattutto una buona tollerabilità da parte dei pazienti: bruciore di stomaco e dolore addominale, quasi sempre in forma lieve, erano gli effetti collaterali più spesso riscontrati.

 

UN NUOVO APPROCCIO PER PERDERE PESO?

Nessuno dei centri pubblici specializzati in chirurgia bariatrica presenti in Italia utilizza la paralisi del nervo vago per trattare i propri pazienti. Ma sull’elettrostimolazione, almeno negli Stati Uniti, ci sono diversi gruppi di ricerca attivi da qualche anno. Il ruolo del nervo vago, d’altronde, è fondamentale: gli impulsi che arrivano dall’apparato digerente agiscono sui centri della fame e della sazietà, mentre l’informazione che viaggia in senso opposto regola la contrazione della parete muscolare degli organi coinvolti nella digestione e l’assorbimento. Così i ricercatori hanno deciso di valutare gli effetti di un simile trattamento su grandi obesi (con indice di massa corporea compreso tra 40 e 45) o su obesi di seconda classe (Bmi tra 35 e 40, affetti anche da diabete, ipertensione, dislipidemia o sindrome da apnea notturna): a 239 di essi - selezionati tra otto ospedali degli Stati Uniti e due dell’Australia - è stata applicata la paralisi del nervo vago, prima del confronto con 77 pazienti a cui era stato impiantato un dispositivo placebo. L’intervento è stato effettuato in laparoscopia: in questo modo sono stati inseriti due elettrodi sulla giunzione tra esofago e stomaco, controllati attraverso uno stimolare inserito sotto la cute del torace.

 

I RISULTATI

Dal confronto - effettuato un anno più tardi, dopo aver sottoposto il campione di studio anche a controlli periodici e interventi di counselling nutrizionale - è emersa una perdita di peso del 24,4%, in media, nei soggetti del primo gruppo: di quasi  dieci punti percentuali superiore rispetto a quelli inseriti nel gruppo di controllo, tenuti a dieta controllata. Sebbene gli obiettivi posti dai ricercatori non siano stati soddisfatti, il risultato non è comunque da trascurare. «Adesso servirà un confronto con le altre metodiche chirurgiche in uso, ma sicuramente potrebbe divenire una procedura più semplice e meglio tollerata dai pazienti», afferma Andrea Formiga, responsabile dell’unità operativa di chirurgia generale e del servizio di endoscopia digestiva dell’istituto Auxologico di Milano.

 

SOLUZIONI IN SALA OPERATORIA

Per poter curare l’obesità sul lettino operatorio, il paziente maggiorenne deve rispettare alcuni requisiti: innanzitutto possedere un indice di massa corporea uguale o superiore a 40 (anche inferiore, se associato ad altre malattie), poi dimostrare di non avere tratto benefici da precedenti approcci dietetici, avere un basso rischio operatorio e un’alta componente motivazionale. Le metodiche, applicate quasi sempre in laparoscopia, sono quattro, se si esclude il pallone intragastrico: di silicone e forma sferica, è inserito per via endoscopica nello stomaco con lo scopo di preparare l’obeso all’intervento. «È un primo approccio che si utilizza quando il rischio operatorio è elevato: viene rimosso dopo sei mesi, con l’obiettivo di procedere all’operazione a stretto giro», chiarisce Marcello Lucchese, direttore dell’unità operativa di chirurgia bariatrica e metabolica del policlinico Careggi di Firenze. Il bendaggio gastrico, reversibile, è un anello di silicone che viene stretto come un cinturino d’orologio attorno alla parte alta dello stomaco, allo scopo di rallentare l’ingresso di cibo. Provvisorio è anche l’Endobarrier, l’ultimo approccio ancora in fase di sperimentazione. Definitive, invece, sono le altre metodiche: il bypass gastrico (si crea una tasca che permette al bolo di “saltare” parte dello stomaco e il primo tratto dell’intestino tenue) dimostra una percentuale più alta di riduzione del peso in eccesso dopo cinque anni (62%). La gastroplastica verticale, con una riduzione di due terzi della superficie dello stomaco, è in crescita, pur registrando ancora qualche effetto avverso. Più invasiva è la diversione biliopancreatica: una volta asportati una parte dello stomaco e l’intera colecisti, viene creato un secondo canale che ritarda l’incontro tra gli alimenti e le secrezioni digestive. La riduzione di assorbimento è accompagnata da un notevole calo ponderale: fino al 70% del peso in eccesso. 

Fabio Di Todaro
Fabio Di Todaro

Giornalista professionista, lavora come redattore per la Fondazione Umberto Veronesi dal 2013. Laureato all’Università Statale di Milano in scienze biologiche, con indirizzo biologia della nutrizione, è in possesso di un master in giornalismo a stampa, radiotelevisivo e multimediale (Università Cattolica). Messe alle spalle alcune esperienze radiotelevisive, attualmente collabora anche con diverse testate nazionali ed è membro dell'Unione Giornalisti Italiani Scientifici (Ugis).


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