Rotoli di “ciccia”, pappagorge, cosce extralarge, farmaci dimagranti miracolosi o, al contrario, medicine in grado di provocare solo pericolosi effetti collaterali e che vanno, dunque, tenute rigorosamente alla larga. L’obesità viene spesso accompagnata da una narrazione distorta, pericolosa e fuorviante, che contribuisce a rendere ancora più complesse le cure e a innescare meccanismi di sfiducia in coloro e, sono in tanti, che con questa malattia ci devono fare i conti.
SEI MILIONI DI PERSONE CON OBESITÀ IN ITALIA
Quella dell’obesità è infatti una pandemia silente, non virale. Una malattia cronica a tutti gli effetti, tanto che di recente in Italia è stata approvata alla Camera dei deputati la proposta di legge che ne prevede il riconoscimento come patologia al fine di garantire prevenzione, cura e sensibilizzazione sociale.
Nel nostro Paese le persone obese, cioè con un indice di massa corporea (rapporto tra il peso in chilogrammi e il quadrato dell’altezza in metri, ndr) uguale o superiore a trenta, secondo l’Italian Barometer Obesity Report 2024, sono più di sei milioni, ossia il 12% della popolazione. Il 36,1% degli adulti è in sovrappeso. Anche in età pediatrica i dati devono indurre a riflessioni e azioni concrete, visto che circa il 19% dei bambini di 8-9 anni è in sovrappeso e il 9,8% è obeso. Un quadro preoccupante in costante peggioramento, soprattutto nelle Regioni meridionali e nelle aree economicamente più svantaggiate.
L'OBESITÀ E LE SUE COMORBILITÀ
«Oltre duecento sono le condizioni mediche in qualche modo legate all’obesità, a cominciare dalla malattie metaboliche e da ben 13 forme di tumori. Ci sono poi le malattie cardiovascolari, i problemi respiratori, le artropatie, insomma un elenco molto lungo di patologie che si intersecano con sovrappeso e obesità», spiega Luca Busetto, Professore in Nutrizione del Dipartimento di Medicina Università degli Studi di Padova e Vicepresidente della European Association for the Study of Obesity. «L’obesità è una malattia ingravescente e recidivante. Ciò significa che tende a peggiorare nel corso del tempo, se non adeguatamente curata, e che da un certo punto in poi scattano meccanismi tali per cui il tessuto adiposo non si riesce più a eliminare e controllare» afferma Andrea Lenzi, Professore emerito di Endocrinologia, Dipartimento di Medicina sperimentale presso l’Università di Roma La Sapienza e Presidente del Comitato Nazionale per la Biosicurezza, le Biotecnologie e le Scienze della Vita (CNBBSV) della Presidenza del Consiglio dei Ministri. «Inoltre - prosegue - l’obesità tende a ripresentarsi, anche se apparentemente risolta, ma non monitorata nel modo corretto. È dunque una malattia complessa che richiede uno sguardo attento e articolato e in cui è fondamentale il ruolo di più specialisti, sia per le comorbilità innescate dalla patologia stessa, sia per il suo impatto psicologico. E di nuovo importantissimo è il ruolo della comunicazione: l’obesità non si risolve con affermazioni semplicistiche come “mangia meno e muoviti di più”». E se lo stile di vita resta un caposaldo imprescindibile, il ruolo delle terapie mediche, ed eventualmente di quelle chirurgiche, chirurgia bariatrica in primis, è cruciale e non deve lasciare spazio a equivoci. A cominciare da falsi miti.
LA NARRAZIONE SCORRETTA
«Ritenere che un farmaco sia tanto più efficace quanto maggiore è la perdita di peso garantita costituisce un grosso errore comunicativo. Non tutti i pazienti sono uguali e necessitano di perdere la medesima percentuale di peso. Inoltre maggior peso perso non necessariamente coincide con una migliore qualità di vita. Fondamentali sono infatti i meccanismi di azione dei farmaci che devono essere gestiti e calibrati ad personam» sostengono Busetto e Lenzi. L’ottica del “mio lava più bianco”, tradotto “il tal medicinale fa dimagrire di più” è, quindi, uno stratagemma commerciale che poco ha a che vedere con la salute effettiva del paziente. Anche la comunicazione fuorviante che innesca meccanismi di preoccupazione e paura nel paziente può impattare sull’aderenza terapeutica. Un esempio? “Per dimagrire ho assunto un farmaco contro il diabete e sono finita in ospedale con le convulsioni”. Affermare che la cura consiste in una terapia per un’altra patologia è scorretto perché ci sono farmaci, nel caso specifico il principio attivo “semaglutide”, che nascono per curare una malattia, ma si mostrano poi efficaci anche per altre patologie. Non è affatto raro in medicina, inoltre talvolta (come in questo caso) dipende anche dal dosaggio. Gli effetti collaterali messi in risalto spesso hanno nulla a che vedere con quelli realisticamente possibili e più comuni. Anche la confusione che spesso si fa tra obesità o sovrappeso, e invece il desiderio di magrezza dettato da disturbi dell’immagine corporea, può essere pericolosa. «Un conto sono infatti i disturbi alimentari e psicologici della propria corporeità, un altro è una patologia come l’obesità» precisano i due medici.
LE IMMAGINI HANNO UN RUOLO E… NON DA POCO
Anche le fotografie scelte a corredo di una comunicazione sull’obesità e il sovrappeso giocano un ruolo rilevante. «Perché vengono scelte immagini in cui viene indossata da un corpo senza volto una maglietta corta e troppo attillata da cui fuoriesce un ventre strabordante? Sembra quasi che la persona obesa scelga volontariamente un capo di abbigliamento della taglia sbagliata per mettere in evidenza la sua problematica» si domandano provocatoriamente gli esperti.
Anche i titoli di articoli molto accurati dal punto di vista scientifico e attenti sul piano psicologico rischiano di alterare il senso complessivo della comunicazione perché eccessivamente aggressivi e stigmatizzanti. Spesso il desiderio di catturare l’attenzione si tramuta così in una mancanza totale di tatto con il risultato deleterio di vanificare il senso della comunicazione.
La narrazione dell’obesità richiede, come dovrebbe essere peraltro per la comunicazione in generale, un’attenzione e una chiarezza che siano di stimolo al paziente per iniziare un percorso di cura e mantenerlo nel corso del tempo. La lotta a questa pandemia silente inizia, senza dubbio, dalla scelta delle parole e delle immagini. Perché le parole sono importanti, così come lo sono, sempre di più in questa epoca, le immagini che hanno il grande potere di innescare meccanismi virtuosi o di mortificare chi già cerca di convivere con una malattia spesso faticosa per il corpo e per l’anima.