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Cardiologia
Serena Zoli
pubblicato il 17-10-2012

Lo stress post-traumatico colpisce anche chi ha avuto l'infarto



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Il disturbo da stress post-traumatico (Ptsd), individuato tra i reduci da guerre, è in realtà frequente nella vita "normale". Dopo i 60 anni colpisce il 5% delle persone e ne soffre 1 su 8 di quanti hanno avuto un grave attacco cardiaco. Allora il rischio di una ricaduta raddoppia: ma i cardiologi sono poco consapevoli

Lo stress post-traumatico colpisce anche chi ha avuto l'infarto

Non è raro. Non è un’esclusiva dei reduci da guerre o dei sopravvissuti a tsunami, cadute di aereo e catastrofi varie, come si pensa. Appartiene, anzi, alla vita comune secondo quanto rivelano due nuovi studi: ne soffrono parecchi anziani e uno su 8 di quanti hanno avuto un serio attacco di cuore. Parliamo del disturbo da stress post-traumatico (Ptsd), nome complicato di un problema psichiatrico ancora poco noto, ma di cui si parla sempre di più. «Ed è un’emergenza psichiatrica per le donne che hanno subito violenza, o anche solo un tentativo gravissimo. “Emergenza” per il frequente istinto suicidario che lo accompagna», afferma la professoressa  Diana De Ronchi, direttrice dell’Istituto di psichiatria dell’Università di Bologna, che è una specialista nello studio del Ptsd e che si è occupata molto delle donne violentate. Ed è proprio tra le vittime di stupro che si ritrova la più alta percentuale di insorgenza del disturbo da stress post-traumatico, precisa.

DOPO I 60 ANNI - Lo studio sugli anziani, pubblicato sulla rivista Geriatric Psychiatry, è stato condotto su 9.500 persone dai 60 anni in su e tra loro i ricercatori del Dipartimento di Psichiatria dell’Università di Yale hanno diagnosticato il disturbo pieno nel 4,5% dei casi e la presenza significativa di alcuni sintomi nel 5,5%. I valori sono più alti tra le donne. La spiegazione cui si sono appellati gli studiosi Usa sono quelle che possiamo chiamare le normali catastrofi della vita, che, con l’avanzare degli anni si accumulano e anche intensificano: morte improvvisa del coniuge e di persone care, gravi malattie proprie o di parenti e amici, incidenti vari.

L’altro terreno “minato” dal Ptsd e chiamato sotto il riflettore della consapevolezza dai ricercatori del Columbia University Medical Center  è quello di quanti hanno subito gravi attacchi cardio-vascolari, per cui si sono sentiti in pericolo di vita. Ben il 12% dei 2.383 casi esaminati, vale a dire 1 su 8 pazienti, ha mostrato sintomi clinicamente significativi di Ptsd e un 4% il disturbo pieno.

DALLA PAURA UN NUOVO ATTACCO - Ma questa indagine, una meta-analisi di 24 studi precedenti, costituisce anche un grido di allarme: perché quanti soffrono di Ptsd corrono un rischio doppio degli altri di un nuovo attacco o di morire entro 1-3 anni. «Esistono cure efficaci per il disturbo e, dunque, di prevenzione rispetto a nuovi attacchi cardio-circolatori», commenta la professoressa De Ronchi, «ma, come hanno dimostrato varie riviste internazionali, il Ptsd è sotto-diagnosticato in ambito cardiologico. Occorre sensibilizzare i cardiologi affinché controllino questo aspetto nei loro pazienti una volta superata la fase acuta, per esempio dell’infarto. Aggiungo che i sintomi del Ptsd più implicati nel provocare un secondo attacco cardiaco sono i “sintomi intrusivi”». Questi sintomi si manifestano in due modi diversi: c’è chi ricorda vividamente l’attacco, come se stesse ri-accadendo, e queste immagini-sensazioni lo perseguitano; altri non rammentano il fatto, ma il ricordo c’è, inconscio, e riemerge con improvvisi flash-back e incubi notturni.

UN DISTURBO “POLITICO”? - Va detto però, in aggiunta a questo quadro che porta il Ptsd nella vita di tutti i giorni, che c’è chi contesta l’esistenza stessa del disturbo. Normale da vecchi star peggio perché si accumulano lutti e dolori, normale aver paura se si è stati malati di cuore, sostengono. Per non parlare dei reduci da combattimenti. «Si vuole psichiatrizzare la vita», è l’accusa di questi contestatori. Accusa che, come ricorda la De Ronchi, ha una colorazione politica: il Ptsd fu individuato e codificato sull’esperienza dei soldati mandati in Vietnam, guerra contestata dalla sinistra e dai pacifisti. E sarebbe stata la loro influenza a caricare di un peso psichiatrico il malessere dei reduci.

PER I MILITARI UNA “FERITA” -Per intanto il Ptsd resta, sarà anche nella quinta edizione del Manuale diagnostico e statistico (Dsm-V), ma spostato: non più sotto il capitolo “ansia”. La nuova “bibbia” della psichiatria, compilato dalla Associazione degli psichiatri americani (Apa), uscirà  nella primavera 2013. Senza raccogliere la richiesta delle autorità militari di sostituire “disease”, disturbo, con “injury”: perché injury (lesione, ferita) si dice anche di un colpo da arma da fuoco o di una gamba rotta. Invece “disease” rimanda alla psiche e, dunque, alimenta la paura di essere considerati dei deboli. Lo stigma è duro a morire e spinge a non cercare i medici e la cura.

Serena Zoli
Serena Zoli

Giornalista professionista, per 30 anni al Corriere della Sera, autrice del libro “E liberaci dal male oscuro - Che cos’è la depressione e come se ne esce”.


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