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Ginecologia
Fabio Di Todaro
pubblicato il 10-12-2014

Gravidanza: è giusto mangiare “per due”?



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Molte donne sono convinte di dover raddoppiare le quantità di cibo mentre aspettano un bambino. In realtà soltanto l’apporto di micronutrienti richiede un sostanzioso aumento

Gravidanza: è giusto mangiare “per due”?

Seguire una dieta equilibrata e priva di eccessi è un consiglio da seguire in qualsiasi momento della vita, ma a maggior ragione a ridosso della gravidanza: prima, durante e subito dopo il parto. In questo periodo ciò che finisce sulla tavola della mamma (ma anche dei papà) ha un’influenza tutt’altro che trascurabile sulla salute del nascituro: giocata attraverso la placenta e per il mezzo dell’allattamento. Gli effetti sono incontrovertibili: nel breve e nel lungo termine. Ma c’è una questione che è ancora parzialmente irrisolta.

 

IN QUANTI A TAVOLA?

Come ricordano alcuni ricercatori dell’università di Southampton in un editoriale pubblicato sull’American Journal of Clinical Nutrition, «la questione della nutrizione in gravidanza è tutt’altro che risolta». Fra i nodi che la ricerca non è ancora riuscita a risolvere, il fatto che le evidenze sono spesso di tipo osservazionale, le azioni riguardano nella maggior parte dei casi singoli nutrienti e coinvolgono donne che, fino a pochi giorni prima, hanno seguito abitudini alimentari del tutto differenti. Difficile, di conseguenza, tirare delle somme valide per tutti.

 

MICRONUTRIENTI ESSENZIALI

Ciò che appare certo è che non serve raddoppiare gli apporti energetici. «La gravidanza richiede soltanto un moderato aumento del fabbisogno: si va da cento chilocalorie in più necessarie nel corso del primo trimestre a 450 necessarie durante l’allattamento - dichiara Irene Cetin, direttore della clinica ostetrica e ginecologica all’ospedale Luigi Sacco di Milano -. Il regime più efficace rimane quello mediterraneo».

Più dei carboidrati, dei lipidi e delle proteine, aumentano i fabbisogni di alcuni micronutrienti: dai folati (efficaci nella prevenzione dei difetti del tubo neurale) al ferro (protegge dalle anemie), dalla vitamina D (contribuisce a una corretta formazione delle ossa) allo iodio (previene l’insorgenza del gozzo nelle aree endemiche). Due i meccanismi di azione delle sostanze sull’embrione: uno sostiene la crescita del feto, per il tramite della placenta, e l’altro interessa il Dna dell’embrione prima dell’impianto nell’utero, con alcuni micronutrienti che risultano fondamentali per evitare mutazioni alla base dei difetti del tubo neurale, come la spina bifida. 

DIETA E GENOMA

La composizione della dieta materna è dunque ciò che determina l’assemblaggio dei nutrienti nel sangue del cordone ombelicale. La tesi, da tempo condivisa, è stata nuovamente esposta in un lavoro pubblicato sul British Medical Journal, che ha confermato l’efficacia di un intervento alimentare e sullo stile di vita effettuato su oltre mille donne in gravidanza. Diminuendo l’apporto di zuccheri raffinati e acidi grassi saturi e garantendo due porzioni di frutta e cinque di verdura al giorno, è stato possibile ridurre del 18% la probabilità di partorire un neonato di peso superiore ai quattro chilogrammi.

«Che vuol dire anche ridurre il rischio di sviluppare in età adulta malattie croniche, come il diabete e l’ipertensione», afferma Jodie Dodd, professore di ginecologia dell’ateneo australiano di Adelaide. Lo sviluppo si completa nei primi mille giorni, ma sono le ore immediatamente seguenti al concepimento le più delicate. «Nelle 72 ore successive si programma l’intero Dna del nascituro - precisa Katia Petroni, ricercatore di genetica al dipartimento di bioscienze dell’Università Statale di Milano -.

In queste prime fasi l’embrione è molto sensibile alla dieta materna e subisce modificazioni epigenetiche del genoma che influenzano la programmazione dell’espressione genica nel nascituro. Ci sono diversi studi che evidenziano una correlazione diretta tra uno stato di scarsa o eccessiva nutrizione materna e lo sviluppo di una condizione di elevato peso del neonato alla nascita».

 

IL CASO OLANDESE

Il cardine è dato dalle ricerche compiute sui nati durante la carestia olandese del 1944. Nonostante durante la Seconda Guerra Mondiale le donne di Amsterdam e dintorni vivessero in condizione di malnutrizione, nei loro figli è aumentata di tre volte la prevalenza di malattie cardiovascolari (angine e infarti del miocardio). Più frequenti, in età adulta, sono state anche le diagnosi di diabete di tipo II, malattie renali e polmonari. 

Fabio Di Todaro
Fabio Di Todaro

Giornalista professionista, lavora come redattore per la Fondazione Umberto Veronesi dal 2013. Laureato all’Università Statale di Milano in scienze biologiche, con indirizzo biologia della nutrizione, è in possesso di un master in giornalismo a stampa, radiotelevisivo e multimediale (Università Cattolica). Messe alle spalle alcune esperienze radiotelevisive, attualmente collabora anche con diverse testate nazionali ed è membro dell'Unione Giornalisti Italiani Scientifici (Ugis).


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