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Agnese Collino
pubblicato il 26-09-2016

I microRna nelle neoplasie mieloproliferative



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L’obiettivo di Francesca Pagano è definire il ruolo di queste piccole molecole nell’insorgere e nel progredire di un gruppo di tumori del sangue

I microRna nelle neoplasie mieloproliferative

Le neoplasie mieloproliferative sono un gruppo di malattie caratterizzato da una crescita eccessiva delle cellule del sangue a causa di una cellula staminale malata. Si tratta di patologie rare, ma la cui incidenza sta crescendo e per le quali purtroppo ancora oggi non esiste una terapia specifica. Ecco perché è di fondamentale importanza espandere la conoscenza dei meccanismi molecolari che scatenano queste neoplasie. Su questo sta lavorando Francesca Pagano (nella foto), biologa molecolare di Latina, che grazie al contributo della Delegazione di Venezia della Fondazione Umberto Veronesi, svolge un’attività di post-dottorato in Inghilterra, a Cambridge. Francesca è particolarmente interessata a studiare i microRna, piccole molecole con caratteristiche regolatorie coinvolte nell’instaurarsi e nella progressione di molte malattie, tra cui le leucemie. Il suo progetto si prefigge di capire quale sia il ruolo dei microRna nelle neoplasie mieloproliferative, focalizzando l’attenzione su due di esse: la policitemia vera e la trombocitemia essenziale.

Francesca, di cosa si occupa il tuo progetto di ricerca?

«Le neoplasie mieloproliferative possono essere di diverso tipo, ma alcune hanno una cosa in comune: una mutazione del gene per la proteina Janus Chinasi 2 (JAK2), che fa sì che le cellule staminali ematopoietiche (ovvero le capostipiti di tutta la famiglia delle cellule del sangue) vadano incontro in maniera eccessiva a maturazione, diventando globuli rossi, globuli bianchi o piastrine. Questo fenomeno perturba l’equilibrio del midollo osseo, e provoca manifestazioni cliniche di diversa entità. In questo progetto punterò a studiare i microRNA alterati dall’attività aberrante della proteina JAK2 mutata, e cercherò di capire in particolare quale sia il loro ruolo nel differenziamento delle cellule staminali ematopoietiche nella patogenesi delle malattie».

A quali prospettive per la conoscenza biomedica può portare questo tuo lavoro?

«Capire nei dettagli un meccanismo molecolare patogenetico porta al disegno di nuove strategie per contrastarlo. I microRna possono essere inibiti mediante la somministrazione di molecole specifiche che ne bloccano l’attività. Dal momento che le malattie mieloproliferative non hanno ancora terapie mirate, questo progetto potrebbe aprire una strada in più per la ricerca di una terapia selettiva ed efficace».

Stai svolgendo un’esperienza di ricerca a Cambridge: cosa ti ha motivata ad andare?

«Mi ha spinta l’atmosfera che si respira qui, dove tutto succede e ti senti nel mezzo del progresso scientifico globale».

Cosa ti sta lasciando questa esperienza? Ti manca l’Italia?

«Questa occasione mi sta permettendo di acquistare tanta esperienza e competenze che sto cercando di trasmettere al mio lab in Italia. Del nostro paese mi manca il cibo, il sole, l’odore dell’aria e il paesaggio delle mie parti, dove mare e montagna sono a meno di mezz'ora di macchina».

 Perché hai scelto di intraprendere la strada della ricerca?

«Non mi ricordo il momento esatto ma ho capito che questa era la mia strada molto presto, credo alle medie. Già a quei tempi avevo una grande curiosità, e mi risultava facile apprendere e fare miei i concetti di natura scientifica-biologica».

Al di là dei contenuti scientifici, qual è per te il senso profondo che ti spinge a fare ricerca?

«Il poter aiutare lo sviluppo della conoscenza del genere umano».

Dove ti vedi fra dieci anni?

«Spero di riuscire a fare parte dell’università italiana e poter dare il mio contributo per migliorarla».

 Raccontaci una “pazzia” che hai fatto.

«Tatuarmi una fenice di quaranta centimetri su un fianco. Ma è una pazzia di cui, ancora oggi, vado fiera».

Cosa fai nel tempo libero?

«Ballo la salsa, ricamo e cucino».

Hai un ricordo a te caro di quando eri bambina?

«I saggi di danza».

Qual è il film che più ti piace o ti rappresenta?

«Il film cult della mia adolescenza: “Dirty dancing”».

Cosa ti piace di più della ricerca?

«La sfida».

E cosa invece eviteresti volentieri?

«La precarietà e l'incertezza economica. A 33 anni iniziano ad essere pesanti e ad avere un forte impatto su decisioni di vita come l’avere dei figli».

Quando è stata l’ultima volta che ti sei commossa?

«Per la nascita della figlia della mia migliore amica. È stata una forte emozione».

Tu hai famiglia?

«No, purtroppo».

Se un giorno tuo figlio/a ti dicesse che vuole fare il ricercatore, come reagiresti?

«Lo manderei a fare il dottorato in Inghilterra, in modo che possa abituarsi fin da giovane a vivere in un altro Paese. Ma solo se si mostrasse davvero convinto: questo tipo di lavoro è davvero una sorta di scelta di vita».

@AgneseCollino

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