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I nostri ricercatori
Chiara Segré
pubblicato il 16-06-2014

Le cure materne da piccoli ci fanno stare bene anche da adulti



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Paolo Mele, scienziato torinese, studia l’adattamento dei circuiti nervosi del cervello agli stimoli dell’ambiente esterno e come questi influenzano i comportamenti cognitivi

Le cure materne da piccoli ci fanno stare bene anche da adulti

Le coccole fanno stare bene, ci rendono più forti e più sicuri, soprattutto quelle che ci faceva la mamma quando eravamo piccoli. È esperienza comune di tutti, quasi una considerazione ovvia: eppure ancora non sappiamo di preciso come fa il cervello a “tenere traccia” di questi stimoli esterni anche a distanza di anni, contribuendo a determinare il nostro comportamento e la nostra capacità di gestire emozioni come lo stress e la paura.

Paolo Mele, ricercatore di Torino, è al lavoro per gettare luce sugli affascinanti misteri del cervello. Paolo si è laureato in Scienze Biologiche e ha conseguito un Dottorato in Farmacologia e Terapia Sperimentale e Clinica. Attualmente è un ricercatore senior e lavora all’Istituto di Neuroscienze Cavalieri-Ottolenghi di Orbassano, vicino a Torino, sotto la guida della professoressa Carola Eva.

 

I SEGRETI DEL CERVELLO

Tra microscopi ed esperimenti, tra una docenza universitaria e un lab meeting, Paolo conduce un progetto di ricerca estremamente innovativo a cavallo tra neuroscienze e psicologia cognitiva.

«La caratteristica principale, e anche la più affascinante, del cervello è la sua plasticità, cioè la capacità di modulare i circuiti neurali per adattarsi agli stimoli dell’ambiente esterno» spiega Paolo.

Tra i fattori esterni più importanti, soprattutto nelle prime settimane di vita, ci sono le cure materne «Sono uno strumento potente capace di influenzare lo sviluppo del cervello» continua Paolo «e hanno effetti a lungo termine sulla memoria, sull’apprendimento e sulla capacità di gestire l’ansia e lo stress anche nella vita adulta».

Paolo è interessato soprattutto a specifici circuiti di neuroni, le reti peri-neurali, che circondano e stabilizzano alcuni neuroni in regioni del cervello collegate al comportamento emotivo, in particolare il sistema limbico. «Abbiamo scoperto che nei topi alcuni geni vengono accesi o spenti nei neuroni a seconda della qualità e della quantità di cure materne ricevute nei primi giorni di vita» spiega Paolo. «In particolare, la proteina-recettore Y1R, codificata dal gene Npy1r, è più abbondante negli animali che ricevono migliori e maggiori cure materne da piccoli».

Y1R ha un ruolo nella formazione delle strutture neurali alla base dell’apprendimento, dell’ansia e della paura. «Questi animali avranno quindi minori livelli di ansia da adulti» conclude Paolo.

Più la mamma coccola, più aumentano i livelli di Y1R nei neuroni del sistema limbico, contribuendo alla sua plasticità.

Qualcuno potrebbe commentare che non serviva la scienza per dimostrare che le cure materne fanno bene; in realtà i risultati che derivano dalla ricerca di Paolo hanno un grande potenziale terapeutico.

«Conoscere le proprietà molecolari dei circuiti cerebrali e come sono influenzati dagli stimoli esterni è essenziale per comprendere diversi disturbi comportamentali del sistema nervoso centrale come la suscettibilità ad ansia e stress e i disturbi di memoria».

Molte patologie come ansia e depressione sono spesso causate da traumi o avvenimenti negativi accaduti durante l’infanzia; chiarire alcuni degli aspetti “biologici” di come il cervello “ricorda” questi avvenimenti è il primo, fondamentale passo per prevenire e curare queste malattie.

 

RICERCA: VOLANO PER IL FUTURO

Paolo è tornato nella sua città natale, Torino, dopo due anni di lavoro all’estero, nei prestigiosi laboratori del Max Planck Institute for Medical Research di Heidelberg, in Germania. «Ho avuto l’occasione di andare al Max Planck grazie a una collaborazione tra il mio capo italiano e quello tedesco» racconta Paolo. «È stata un’esperienza che ancora oggi costituisce un punto di confronto costante con la vita scientifica italiana. Se in Italia avessimo le stesse risorse e l’impianto scientifico della Germania saremmo i primi al mondo. Noi italiani siamo molto flessibili, spesso durante la nostra carriera ci troviamo a ricoprire mansioni che non ci spetterebbero; questo è un vantaggio quando ti trovi in mezzo a persone non abituate ad adattarsi, e viene molto apprezzato all’estero».

Quali sono, per Paolo, le risorse che l’Italia dovrebbe mettere in campo per migliorare l’efficienza del suo “sistema ricerca”, e offrire opportunità di carriere soddisfacenti ai ricercatori senza snaturarne le competenze? «Una migliore organizzazione, la possibilità di uscire dalla ricerca pubblica per confluire in quella privata, settore che in Italia non esiste, e investimenti nella ricerca, che rappresenta un volano per il futuro».

In Italia, si investono molti soldi per la formazione scolastica e professionale di ricercatori che andranno all’estero perché non hanno alternativa, arricchendo il futuro di altri paesi dai quali saremo obbligati un domani a ricomprarne i frutti. All’Italia manca una politica capace di chiudere i rubinetti degli sprechi ed aprire quelli degli investimenti. La ricerca è uno degli investimenti meno redditizi sul breve periodo e ha quindi bisogno di grandi risorse a lungo rientro: si tratta di avere una visione globale e proiettata in avanti.

 

SCIENZA E SOCIETA’

Per portare avanti la sua ricerca sui processi neuronali e cognitivi, Paolo deve necessariamente impegnare modelli animali murini, ed è quindi particolarmente attento alle implicazioni sociali che il nostro paese sta vivendo sul delicato tema della sperimentazione animale. «Credo che il pensiero comune sulla sperimentazione animale sia dovuto alla poca conoscenza di come funziona la ricerca scientifica e medica; la maggior parte delle persone ignora che ogni farmaco che ha consumato in vita sua sia stato, al tempo, sperimentato sugli animali».

Per Paolo, quindi, la poca informazione, insieme all’impatto emotivo di termini inappropriati ma forti come “vivisezione” sono la base dei pregiudizi sulla ricerca scientifica; parte della responsabilità è anche, secondo Paolo, dello stesso mondo scientifico che non ha mai sistematicamente affrontato la questione nell’arena della società.

Tuttavia il dibattito tra le differenti posizioni non necessariamente deve passare dalla scontro e dalla violenza verbale e mediatica, e Paolo ce ne porta testimonianza: «Alcuni anni fa ho avuto un lungo scambio di mail con un esponente di un’associazione animalista: ricordo il grande rispetto che entrambi avevamo per l’altro, nonostante le posizioni contrapposte e la passione con cui difendevamo le nostre idee. Nessuno dei due alla fine ha convinto l’altro, ma entrambi eravamo stupiti dell’utilità dello scambio di idee».

Questo dimostra che è possibile trovare, se non un punto di incontro, almeno un terreno di confronto anche su argomenti controversi come la sperimentazione animale; ci auguriamo che in futuro l’esperienza di Paolo non rappresenti più un’eccezione ma la regola.


@ChiaraSegre

Chiara Segré
Chiara Segré

Chiara Segré è biologa e dottore di ricerca in oncologia molecolare, con un master in giornalismo e comunicazione della scienza. Ha lavorato otto anni nella ricerca sul cancro e dal 2010 si occupa di divulgazione scientifica. Attualmente è Responsabile della Supervisione Scientifica della Fondazione Umberto Veronesi, oltre che scrittrice di libri per bambini e ragazzi.


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