Possiamo prevenire il cancro attraverso ciò che mangiamo? La risposta potrebbe arrivare combinando la saggezza millenaria delle piante medicinali con le potenzialità dell’intelligenza artificiale. Dal suo laboratorio all’Istituto Mario Negri di Milano, la ricercatrice indiana Priyanka De lavora per creare un database accessibile a tutti, capace di mappare gli alimenti di origine vegetale con proprietà antitumorali, individuando anche nuove combinazioni promettenti, e valutando anche le differenze su donne e uomini grazie a strumenti computazionali avanzati. Un progetto che fonde innovazione digitale e conoscenze botaniche per rendere il cibo un alleato della salute.
Priyanka, come è nata l’idea alla base del tuo progetto?
Tutto è partito da un’intuizione semplice: molti rimedi naturali usati tradizionalmente hanno un potenziale concreto nel prevenire il cancro, ma i dati sono sparsi e difficili da interpretare. Con l’avanzare dell’AI, mi è sembrato il momento giusto per creare un ponte tra questi due mondi, per costruire un archivio affidabile, aggiornabile e facilmente consultabile, che raccogliesse le evidenze scientifiche esistenti e aiutasse a trasformarle in strumenti utili per ricercatori, medici e cittadini.
Cosa cerchi di capire esattamente con il tuo lavoro?
Voglio rispondere a domande molto concrete: quali piante o alimenti hanno davvero proprietà antitumorali? Come agiscono a livello molecolare? Esistono differenze tra uomini e donne nella risposta a queste sostanze? Come la dieta può influire sulla prevenzione del cancro? E soprattutto: possiamo usare l’AI per scoprire nuove combinazioni efficaci che non abbiamo ancora studiato a fondo?
Come funziona, nella pratica, il tuo progetto?
Raccogliamo dati da database esistenti, analizziamo migliaia di articoli scientifici usando strumenti di intelligenza artificiale come AOP-helpFinder. Questo strumento verrà utilizzato per esplorare i meccanismi attraverso cui i composti delle piante possono interferire sullo sviluppo dei tumori in entrambi i sessi. In questo modo possiamo mappare le sostanze collegandole alle fonti alimentari e, infine, usiamo algoritmi di similarità per scoprire piante meno studiate ma potenzialmente efficaci. Tutto questo confluirà in una piattaforma web aperta a tutti, per i dettagli botanici, le fonti di cibo e quali tumori potrebbero prevenire e i loro meccanismi di azione.
Quali applicazioni future immagini per la tua ricerca?
Sicuramente sarebbe bello estendere l’archivio a più tumori possibili e poterlo usare per creare raccomandazioni dietetiche basate sul rischio individuale, la propria genetica e lo stile di vita. Inoltre, le aziende farmaceutiche potrebbero utilizzare i dati disponibili per creare nutraceutici, derivati da sostanze naturali con proprietà antitumorali. Oltre alla prevenzione personalizzata e allo sviluppo di cibi funzionali, mi piacerebbe che questo strumento diventasse parte integrante delle strategie di salute pubblica. Penso anche a una app per il grande pubblico, dove ognuno possa trovare suggerimenti alimentari basati sulla propria salute e sul rischio oncologico.
Com’è la tua giornata tipo in laboratorio?
Inizia alle 9, con il solito controllo delle mail, e poi si entra nel vivo del lavoro fino alle 18.00. La pausa pranzo è il momento importante: è lì che ci confrontiamo davvero, non solo sui risultati ma anche sulle idee.
C’è qualcosa che ti ha fatto sorridere in laboratorio?
Il pranzo, appunto! È quasi un rituale di condivisione: raccontiamo i nostri esperimenti, gli imprevisti, ci scambiamo consigli. È quel momento informale che spesso genera anche intuizioni brillanti.
Perché hai scelto l’Italia per il tuo postdoc, nonostante le difficoltà?
L’Italia ha un ritmo tutto suo: la burocrazia è lenta, è vero, ma le persone sono molto più aperte alla collaborazione rispetto ad altri contesti in cui ho lavorato. E questo, per chi fa ricerca, è oro.
Quali differenze hai notato rispetto al tuo Paese d’origine?
Più spazio al networking, più voglia di creare sinergie. E una cultura del “fare insieme” che mi ha colpito fin dall’inizio.
Cosa ti dà più soddisfazione del lavoro in laboratorio? E cosa ti mette alla prova?
Le collaborazioni, la capacità di risolvere i problemi, e le nuove idee! Ma ci sono anche giornate frustranti: esperimenti che non funzionano e che non riesco a replicare, mancanza di fondi, tempi lunghi. Serve tanta pazienza.
Cos’è per te la scienza?
È uno strumento potente per capire il mondo e migliorarlo e risolvere problemi complessi come la prevenzione delle malattie. È un mix di curiosità, logica, e innovazione per migliorare la salute degli esseri viventi.
Hai la sensazione che oggi ci sia sfiducia verso la scienza?
Sì, purtroppo. Per questo penso che dobbiamo comunicare meglio, uscire dai laboratori e raccontare la scienza in modo accessibile, con seminari aperti a tutti per cercare di coinvolgere i cittadini.
Come vedi te stessa tra dieci anni?
Di nuovo in India, a capo di un mio gruppo di ricerca collaborando con ricercatori importanti nel mio ambito, portando avanti progetti e creando nuovi ponti tra paesi e discipline.
Ci racconti chi sei, cosa ti piace fare e che carattere hai?
Amo viaggiare e dipingere. Mi ritengo una persona curiosa, con pensiero critico, e capace di lavorare in squadra. Invece purtroppo sono anche impaziente, perfezionista e un po’ troppo dipendente dai metodi consolidati.
Perché è importante sostenere la ricerca?
Perché ogni scoperta parte da un’intuizione, ma ha bisogno di risorse per diventare realtà. I finanziamenti fanno la differenza tra un’idea e un risultato che può cambiare la vita delle persone, e assicurano alle nuove generazioni di scienziati di avere le risorse per esplorare sfide complesse.
Vuoi dire qualcosa a chi sostiene la tua ricerca?
Provo la più profonda gratitudine nei vostri confronti. La vostra generosità è molto più di un gesto: è un investimento in un futuro più sano e consapevole. Senza il vostro supporto, la scienza resta solo una possibilità.