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Chiara Segré
pubblicato il 20-05-2014

Studio come riparare i danni dell’infarto



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Silvia Dragoni, ricercatrice lombarda, negli Stati Uniti studia come si formano i nuovi vasi sanguigni, processo implicato sia nelle conseguenze di ischemie e infarti sia nei tumori

Studio come riparare i danni dell’infarto

Silvia Dragoni è una giovanissima ricercatrice di 28 anni: ha appena concluso il suo dottorato di ricerca in Fisiologia e Neuroscienze all’Università degli Studi di Pavia, svolto nel laboratorio di Biologia Vascolare sotto la guida dei Professori Franco Tanzi e Francesco Moccia.

Da marzo, è ricercatrice post-dottorato a Lowell (Boston) presso il Department of Biological Sciences della University of Massachusetts, nel laboratorio del Professor Matthew Nugent, dove ha iniziato la ricerca finanziata da Fondazione Veronesi.

 

TRA MALATTIE CARDIOVASCOLARI E TUMORI

La ricerca di Silvia è al confine tra malattie cardiovascolari e tumori e studia un tipo particolare di cellule, poco conosciute ai più ma importantissime nel nostro organismo: i progenitori delle cellule che formano colonie endoteliali (ECFC). Le cellule endoteliali costituiscono le pareti dei vasi sanguigni e derivano da cellule progenitrici immature del midollo osseo. In caso di necessità, ad esempio per riparare una ferita, i progenitori vengono mobilitati dal midollo osseo verso il sito dove devono differenziarsi in cellule endoteliali mature e riparare il danno. «Questi progenitori sono mobilitati anche in situazioni patologiche, come in caso di ischemia o verso i tumori per sostenerne la crescita», spiega Silvia. Le cellule ECFC, infatti, sono le uniche in grado, differenziandosi, di generare nuovi vasi sanguigni. Ma come avviene tutto ciò?

«Un importante ruolo in questo processo è giocato da un fattore di crescita, detto fattore endoteliale vascolare (VEGF), che promuove la proliferazione e la migrazione delle cellule ECFC e il loro differenziamento, interagendo col microambiente del tessuto», continua Silvia.

Si tratta di meccanismi molto sofisticati e complessi, e la ricerca di Silvia vuole proprio gettare luce sulla relazione tra cellule endoteliali immature (ECFC), fattore di crescita VEGF e microambiente per comprendere come si originano nuovi vasi sanguigni.

La applicazioni terapeutiche che potrebbero derivare da questo studio sono duplici e molto interessanti. «Le cellule ECFC da una parte potrebbero essere utilizzate per stimolare la riparazione dei tessuti nella malattie cardiovascolari, dall’altra comprendere i meccanismi di formazioni di nuovi vasi può fornire un’arma in più per combattere la vascolarizzazione tumorale». I tumori, infatti, stimolano lo sviluppo di nuovi vasi sanguigni per nutrirsi e crescere, fenomeno chiamato angiogenesi tumorale.

Tuttavia, prima di poter passare alla sperimentazione di terapie cliniche basate sulle cellule ECFC è necessaria ancora tanta ricerca. «Una delle principali limitazioni è il differenziamento incerto delle cellule ECFC che può portare a calcificazione e ossificazione invece di contribuire alla formazione di vasi sanguigni». Per questo è così importante continuare a ricercare e proseguire su quella che sembra, a oggi, una strada promettente. Il progetto di Silvia è un esempio di come spesso, in medicina, le conoscenze che derivano da una ricerca di base possono avere importanti applicazioni in ambiti diversi, in questo caso nella cura dei tumori e delle malattie vascolari.

CERVELLO IN FUGA? Silvia è consapevole, come molti suoi colleghi, delle grandi opportunità di crescita professionale che offre un’esperienza di lavoro e ricerca fuori dai confini italiani.

«Fare ricerca all’estero per molti aspetti è molto più semplice» spiega Silvia, che già durante il dottorato di ricerca ha trascorso sei mesi all’Università di Cambridge (UK) nel laboratorio del Professor Colin Taylor «Vengono stanziati molti più fondi. Di contro, avere risorse limitate come in Italia ti spinge maggiormente ad ingegnarti e sviluppi la tua capacità di risolvere i problemi: questo è uno dei motivi per cui i ricercatori italiani sono particolarmente brillanti e apprezzati all’estero».

Silvia è determinata a proseguire nella carriera scientifica: il suo obiettivo è diventare professore all’Università; se esserlo in Italia o all’estero, ancora non lo sa, ma la sua avventura oltreoceano è appena cominciata. «Non ho ancora deciso dove mi trasferirò definitivamente in futuro, credo che in parte dipenderà dai risultati che otterrò qui  in America e anche da come si evolverà la situazione in Italia. In America ci sono di sicuro più possibilità ma anche maggiore competizione».

Anche Silvia infatti vive con preoccupazione l’annoso problema della ricerca scientifica in Italia, che non manca di un capitale umano di ottimi scienziati. «I veri nodi da sciogliere sono l’assenza di fondi adeguati e spesso, anche di meritocrazia». «Molti validi ricercatori non riescono ad ottenere posti di lavoro che meriterebbero, assegnati invece a chi  poi non contribuisce adeguatamente alla ricerca scientifica».

Non c’è da stupirsi poi se molti ricercatori sono costretti ad andare in altri stati, dove le loro idee vengono prese in considerazioni e dove il loro lavoro viene adeguatamente retribuito.

 

SCIENZA PER IL PROGRESSO

Quello del ricercatore è un lavoro duro e che richiede sacrifici. «Non si hanno orari e spesso è frustrante quando gli esperimenti non vanno come avevi sperato. D’altro canto, sapere che, con la pubblicazione di un tuo lavoro, stai contribuendo in qualche modo al progresso scientifico e alla lotta contro le malattie è una grande soddisfazione».

Silvia è convinta che la scienza stia alla base della vera conoscenza e che rappresenti una possibile, concreta soluzione a molti problemi che affliggono la società. «La scienza ci ha dimostrato che siamo tutti uguali, e che le differenze tra gli uomini basate sulla razza, sulla religione, sulla classificazione sociale, in realtà non significano niente. Se ci affidassimo alla scienza, vivremmo in un mondo migliore».


@ChiaraSegre

Chiara Segré
Chiara Segré

Chiara Segré è biologa e dottore di ricerca in oncologia molecolare, con un master in giornalismo e comunicazione della scienza. Ha lavorato otto anni nella ricerca sul cancro e dal 2010 si occupa di divulgazione scientifica. Attualmente è Responsabile della Supervisione Scientifica della Fondazione Umberto Veronesi, oltre che scrittrice di libri per bambini e ragazzi.


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