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Chiara Segré
pubblicato il 06-10-2014

Troppi grassi “infiammano” l’organismo



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Michele Vacca, medico e ricercatore di 35 anni, grazie a una borsa di Fondazione Veronesi studia in Inghilterra la relazione tra obesità, infiammazione e malattie metaboliche

Troppi grassi “infiammano” l’organismo

L’obesità nel mondo occidentale è un problema sociale di dimensioni epidemiche che aumenta il rischio per malattie croniche, come diabete, infarto del miocardio e tumori. I fattori che ne determinano l’insorgenza sono ormai ben noti: inattività fisica e adozione di profili nutrizionali errati.  Ma cosa succede esattamente nell’organismo quando si ingrassa troppo? È quello che sta cercando di capire Michele Vacca, medico e ricercatore di origini pugliesi, che grazie a una borsa di ricerca di Fondazione Veronesi sta svolgendo una ricerca nei prestigiosi Institute of Metabolic Science e Human Nutrition Research dell’Università di Cambridge, in Inghilterra.

Il percorso che ha portato Michele nelle terre di Sua Maestà inizia 2000 km più a sud, in Puglia, sua terra natale. Dopo il liceo classico, Michele ha intrapreso la carriera di medico: una laurea in Medicina e Chirurgia e una Specializzazione in Medicina Interna, entrambe conseguite cum laude all’Università di Bari, e un Dottorato di Ricerca in Oncologia e Patologia Molecolare e Clinica all’Università di Chieti-Pescara.

 

LIPIDI E INFIAMMAZIONE

Michele lavora in un ambito di punta della ricerca biomedica: quello che cerca di capire quali sono le risposte dell’organismo a comportamenti scorretti, come un’errata alimentazione.

«Un’alimentazione ipercalorica e ricca di zuccheri e grassi promuove disfunzioni metaboliche e stimola una risposta infiammatoria nel tessuto adiposo» spiega Michele «Man mano che il tessuto adiposo si dilata, aumenta anche il numero di cellule pro-infiammatorie che si infiltrano all’interno del tessuto stesso, e che, a loro volta, contribuiscono a promuovere alterazioni metaboliche».

All’inizio queste alterazioni non costituiscono una condizione patologica ma possono, alla lunga, favorire lo sviluppo di malattie più gravi, tra cui complicanze cardio-metaboliche. Sono, in un certo senso, l’anticamera di patologie più serie e gravi. «Abbiamo verificato che alcuni recettori presenti sulle cellule immunitarie, sensibili al livello dei lipidi, hanno livelli alterati nei pazienti con disordini metabolici. Analizzando pazienti obesi con e senza sindrome metabolica, stiamo studiando se la presenza di scompensi metabolici indotta da abitudini alimentari errate, inducono un circolo vizioso che può portare a sua volta a ulteriori complicazioni future» continua Michele.

L’obesità è infatti associata a un basso ma persistente livello di infiammazione cronica del tessuto adiposo e l’infiammazione cronica è un processo che è coinvolto, con meccanismi ancora non del tutto compresi, nell’insorgenza di diverse malattie, tra cui anche i tumori.  Lo scopo dello studio di Michele è quello di esaminare tutti gli aspetti molecolari del fenomeno onde avere a disposizione il quadro più completo possibile ed elaborare un modello dell’infiammazione del tessuto adiposo in risposta ai nutrienti. L’obiettivo finale è individuare marcatori biologici precoci di rischio metabolico e strategie nutrizionali, ed eventualmente anche farmacologiche, orientate alla prevenzione dell’obesità e delle sue complicanze.

Michele ha una strana e curiosa “abitudine”:  «A volte i pazienti esprimono dubbi sulla “sicurezza” delle procedure proposte. Per rassicurarli, spesso io sono il controllo numero 1 delle mie ricerche». Recentemente Michele, insieme alla sua compagna Simona, anche lei medico e ricercatore, dovevano confrontare i livelli di espressione genica delle cellule infiammatorie dei controlli e dei pazienti obesi con patologia metabolica. «Abbiamo analizzato anche l’espressione genica delle mie cellule” confessa Michele “nonostante i miei esami ematochimici fossero assolutamente normali, ho scoperto che la carta di identità genetica delle mie cellule infiammatorie era molto più vicina ai soggetti malati che ai controlli. Un po’ di dieta ed esercizio fisico e tutto è tornato nella norma» La medicina preventiva personalizzata è già realtà?

 

ECCELLENZA IN ITALIA, SI PUO’?

Michele è una testimonianza diretta che anche in Italia si fa ricerca di eccellenza, competitiva a livello internazionale «Mi reputo molto fortunato. Ho lavorato per cinque anni in una delle migliori istituzioni italiane per la ricerca scientifica, la Fondazione Mario Negri Sud, in Abruzzo, nel laboratorio del Metabolismo Lipidico e Tumorale diretto da un giovane talento della ricerca italiana, il professor Antonio Moschetta»

«Nel nostro gruppo l’età media era abbondantemente sotto i 30 anni; “volere” con facilità si trasformava in “potere”. Possibilità? Infinite! Ho avuto a disposizione strumenti all’avanguardia per condurre le mie ricerche e quando qualcosa non era disponibile la mentalità era “compriamo lo strumento” o “collaboriamo con”. Una strategia vincente».

Certo, non sono mancate anche le difficoltà contro le quali remare: «All’estero tutto ciò di cui hai bisogno di solito lo trovi sotto lo stesso tetto: noi per poter aver lavorare abbiamo dovuto allestire il laboratorio in Abruzzo, e la clinica e i pazienti a 300 km di distanza, a Bari. Il risultato? 50000 km all’anno, due affitti da pagare, e tanto tempo speso in viaggi che sarebbe potuto essere investito in altro! Lo rifarei? Altre mille volte: il grado di autonomia, indipendenza e professionalità scientifica che questi sacrifici hanno generato hanno un valore impagabile!»  

E allora come mai ha deciso di andare a Cambridge? Non è la prima volta che Michele fa un’esperienza all’estero. Ha trascorso sei mesi in Olanda, nel Laboratorio di Gastroenterologia dell’Università di Utrecht come studente Erasmus «L’esperienza è stata a dir poco illuminante: l’Olanda è una nazione multietnica, e vivere li mi ha insegnato il significato delle parole “tolleranza”, “integrazione”, e “scambio culturale”, oltre che aver rappresentato una svolta dal punto di vista professionale».

Per Michele, una (o più) esperienza all’estero è fondamentale per uno scienziato e andrebbe incentivata per garantire ai ricercatori del futuro un network internazionale di collaborazioni e scambi professionali. La vera domanda a cui si dovrebbe dare risposta è la seguente: l’Italia è pronta a reinserire chi ha il coraggio di osare? C’è un mercato per professionisti di così alto livello?

Michele ha dei dubbi: «Al momento, gli scienziati di alto livello in Italia hanno un “mercato” molto limitato: profilo troppo specifico per un ospedale di provincia, impossibilitati a entrare in ambiente accademico che deve fare i conti con esuberi e riduzioni di budget. Anche gli istituti di ricerca privati “no profit” stanno attraversando una crisi profonda per la riduzione del gettito dei finanziamenti alla ricerca».

Michele non perde però il suo ottimismo, e cerca di vedere il bicchiere mezzo pieno «Qualche piccolo segnale di ripresa si vede: ci sono alcuni progetti regionali come il “Future In Research” della Regione Puglia che finanzia sulla base di un criterio meritocratico progetti presentati da giovani ricercatori non strutturati nelle università italiane, il programma MIUR SIR che premia i più promettenti “cervelli” sulla base di progetti ad alto rischio, oltre che le alle ben consolidate opportunità offerte da Fondazione Veronesi e da altre charities italiane che favoriscono il rientro in Italia di giovani talentuosi scienziati. Speriamo di essere ancora in tempo».

Perché, nonostante tutte le difficoltà, Michele ha deciso di dedicare la sua vita alla ricerca? Semplice: amore a prima vista. «Tutta “colpa” dell’Olanda: fino ad allora volevo diventare un “semplice” clinico; non avevo mai avuto alcun contatto con la ricerca scientifica. Poi a Utrecht ho iniziato a frequentare il laboratorio e da allora la ricerca è divenuta un chiodo fisso».

Ecco perché Michele, con l’ottimismo che lo caratterizza, spera in cuor suo di poter, un domani, rientrare dall’Inghilterra come ricercatore affermato trovando le risorse per dirigere un suo gruppo e condurre in autonomia le sue linea di ricerca in Italia.

 

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Chiara Segré
Chiara Segré

Chiara Segré è biologa e dottore di ricerca in oncologia molecolare, con un master in giornalismo e comunicazione della scienza. Ha lavorato otto anni nella ricerca sul cancro e dal 2010 si occupa di divulgazione scientifica. Attualmente è Responsabile della Supervisione Scientifica della Fondazione Umberto Veronesi, oltre che scrittrice di libri per bambini e ragazzi.


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