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Daniele Banfi
pubblicato il 08-05-2020

Covid-19: prevenire nuovi virus è una questione ecologica



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Una pandemia ampiamente prevista e procurata dal comportamento dell'uomo. Per prevenire le successive occorrerà rimettere al centro la questione ecologica. L'intervista a Carlo Alberto Redi

Covid-19: prevenire nuovi virus è una questione ecologica

Covid-19 non è la prima e non sarà l'ultima pandemia. Da migliaia di anni l'uomo, ciclicamente, è sottoposto all'attacco di virus provenienti dalle specie animali. Un fenomeno del tutto «naturale» - lo spillover, ovvero il salto di specie - su cui però è possibile fare prevenzione. Perché se è vero che un salto di specie può sempre avvenire, la frequenza con cui ciò si verifica dipende molto dal comportamento dell'uomo. Quando l'attuale emergenza sarà alle spalle, occorrerà intraprendere un persorso di cambiamento del nostro modo con cui ci rapportiamo con l'ambiente. Pena l'arrivo della prossima pandemia.

RIFLETTERE SULLE CAUSE

Allo stato attuale il dibattito pubblico su Covid-19 si sta concentrando principalmente sul collasso dei sistemi sanitari, sulla loro riorganizzazione e sulla ripresa delle attività economiche. C'è però un grande assente: come evitare che tutto ciò possa riaccadere? «Ciò che manca totalmente - spiega il professor Carlo Alberto Redi, zoologo dell'Università di Pavia e presidente del Comitato Etico di Fondazione Umberto Veronesi - è una riflessione sulle cause che hanno innescato la crisi. Eppure sarebbe la prima domanda da porsi perché mai come in questi ultimi anni abbiamo assistito a una successione sempre più incalzante di epidemie e pandemie». HIV, Ebola, Marburg, Nipah, Sars, H5N1, H1N1, Mers e Zika sono solo alcuni esempi. 

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Tutte queste malattie appartengono alla categoria delle zoonosi, infezioni dovute ad agenti patogeni che per loro natura vivono ben adattati in altre specie animali. Quando si verifica il salto di specie, spillover è il termine tecnico (è anche il titolo dell’istruttivo romanzo-saggio di David Quammen), il sistema immunitario del nuovo ospite è del tutto sprovvisto di risposte e così si manifesta la malattia in tutta la sua forza. «Circa il 60% delle malattie infettive che ci affliggono - spiega Redi - sono zoonosi e gli esempi scolastici, da manuale, sono le infezioni che ci trasciniamo dalla notte dei tempi geologici del Neocene, quando da raccoglitori e cacciatori siamo divenuti agricoltori, iniziando il processo (inizialmente lentissimo) di uso della superficie terrestre a fini agricoli e di addomesticazione di alcune specie animali. Attraverso il contatto diretto con loro, abbiamo subito un salto di specie a nostro svantaggio: morbillo e la tubercolosi dal bestiame, pertosse dal maiale e l’influenza dalle anatre sono le patologie più famose che ci portiamo dietro da centinaia di anni».

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LA QUESTIONE ECOLOGICA

Ma se tutte queste malattie sono frutto della vicinanza dell'uomo con altre specie animali, l'accelerazione di zoonosi a cui abbiamo assistito negli ultimi anni ci dovrebbe indurre ad una seria riflessione sulla questione ecologica: utilizzo indiscriminato del suolo e vicinanza con altre specie animali che normalmente mai avremmo incontrato sono le principali cause del distatro in cui ci stiamo trovando. «La devastazione di interi ecosistemi -continua Redi - ha come conseguenza sia la distruzione totale di tanti e diversi habitat sia la forzata migrazione di specie in altri luoghi nel tentativo di adattarsi a nuovi ambienti, ammassandosi nelle vicinanze di centri urbani. Ciascuna delle recenti infezioni è causata da spillover riconducibili al progressivo e massiccio sfruttamento degli habitat naturali di diverse specie animali, venute così a stretto contatto con l’uomo». Tradotto: virus che se ne stavano tranquillamente in questi animali, avendo meno «prede» da colpire e stando in prossimità con l'uomo hanno avuto la strada spianata al salto di specie.

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La soluzione, dunque, sulla carta sembrerebbe semplice: «Per le zoonosi dobbiamo prevedere e controllare, non potremo mai eradicarle, salvo l’estinzione degli animali in cui questi patogeni albergano; il suggerimento più sensato è di lasciare questi animali nei loro habitat, preservandoli e non distruggendoli», spiega Redi. Eppure l'applicazione pratica di questo concetto appare assai lontana: «Il nostro stile di vita non è più sostenibile dalla Terra: questa è la riflessione che la politica deve tradurre in azioni già da ora, per quando torneremo là fuori con consapevolezza, aprendo una vera discussione sulle cause delle crisi sanitarie ed ecologiche. Sono tanti i punti su cui lavorare: rispetto della biodiversità e dell’ambiente, regolamentazione del consumo di carni, educazione alimentare e controllo delle attività merceologiche e dei contesti igienici dei wet market (quei luoghi dove animali di specie molto diverse fra loro sono ammassati in attesa di essere venduti a scopo alimentare o «terapeutico», ndr) sono i più urgenti. Questa pandemia non solo ce la siamo procurata ma addirittura era ben prevista. Lavoriamo per prevenire la prossima», conclude Redi.

 

Daniele Banfi
Daniele Banfi

Giornalista professionista è redattore del sito della Fondazione Umberto Veronesi dal 2011. Laureato in Biologia presso l'Università Bicocca di Milano - con specializzazione in Genetica conseguita presso l'Università Diderot di Parigi - ha un master in Comunicazione della Scienza ottenuto presso l'Università La Sapienza di Roma. In questi anni ha seguito i principali congressi mondiali di medicina (ASCO, ESMO, EASL, AASLD, CROI, ESC, ADA, EASD, EHA). Tra le tante tematiche approfondite ha raccontato l’avvento dell’immunoterapia quale nuova modalità per la cura del cancro, la nascita dei nuovi antivirali contro il virus dell’epatite C, la rivoluzione dei trattamenti per l’ictus tramite la chirurgia endovascolare e la nascita delle nuove terapie a lunga durata d’azione per HIV. Dal 2020 ha inoltre contribuito al racconto della pandemia Covid-19 approfondendo in particolare l'iter che ha portato allo sviluppo dei vaccini a mRNA. Collabora con diverse testate nazionali.


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