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Neuroscienze
Donatella Barus
pubblicato il 08-11-2018

«Senza ricerca non c'è crescita e non c'è equità»



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Avere come stella polare l'evidenza scientifica è necessario per garantire la sostenibilità della sanità pubblica: Silvio Garattini «anticipa» il suo intervento a «Science for Peace»

«Senza ricerca non c'è crescita e non c'è equità»

Fino al mese di luglio di quest’anno, Silvio Garattini ha diretto l’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri, che contribuì a fondare all’inizio degli anni Sessanta e di cui oggi è Presidente. Cinquantacinque anni di lavoro ai massimi livelli nella ricerca farmacologica, di battaglie spesso impopolari e di posizioni schiette (sull’appropriatezza dei farmaci e dei trattamenti, sul conflitto di interessi, sull’omeopatia e le cure alternative, sulla sperimentazione animale, tanto per citarne alcune), che lo hanno portato a essere un punto di riferimento per la scienza indipendente e per la cultura scientifica italiana. Garattini parteciperà all’edizione 2018 della Conferenza internazionale Science for Peace, dedicata al tema delle disuguaglianze.

Professor Garattini, in che modo le disuguaglianze sociali intersecano le disparità in tema di salute?

«Sono fattori intrecciati in modo evidente. La povertà e lo svantaggio sociale sono fattori importanti, sono correlati a un rischio più alto di ammalarsi per un insieme complesso di ragioni. Da un lato c’è disparità nell’accesso alle condizioni che determinano uno stile di vita sano: mi riferisco a fattori come dieta, fumo, sedentarietà, che cambiano anche a seconda del reddito e del livello di istruzione. Dall’altro lato ci sono le disparità nell’accesso alle cure. A volte per i costi, ma spesso per una minore coscienza e minor prontezza nel capire che c’è un problema e nel cercare aiuto da chi è competente».


Il Sistema sanitario nazionale dovrebbe essere lo strumento per tutelare un diritto costituzionalmente garantito, il diritto alla salute. Eppure le disparità restano.

«Dobbiamo sapere che il Servizio Sanitario Nazionale è un bene capillare, universalistico e ispirato a principi di solidarietà, che arriva dappertutto. Con tutti i suoi difetti, ci permette di fare cose prima impensabili».


Già, il “prima”. Lei ha spesso sostenuto che la scienza ha bisogno anche di memoria storica.

«Certamente. Io, che non sono più proprio di primo pelo (Silvio Garattini ha 90 anni, ndr), ricordo che mio padre dovette cercare un secondo lavoro, perché dopo sei mesi non c’era più l’Inam, il vecchio Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro le Malattie, per curare mio fratello. Io ho visto l’avvento del Sistema sanitario nazionale, è stato un evento epocale per il nostro paese. Le persone spesso non ne hanno contezza, tante cose sono sottovalutate: ci si lamenta, anche a ragion veduta, per i ticket e per i temi d’attesa, ma non si sa quanto costano i macchinari, le persone preparate a usarli, quanto costano i farmaci che ci vengono prescritti. Ci sono terapie innovative che costano anche centomila euro l’anno e che altrove i cittadini devono potersi pagare. Non c’è la cognizione del valore del Sistema Sanitario Nazionale».

Quest’anno il Sistema Sanitario Nazionale spegne 40 candeline: a chi spetterebbe far capire quanto vale?

«Spetterebbe al Ministero e alle Regioni che oggi hanno la responsabilità amministrativa in sanità. Sono loro che dovrebbero far sapere quante cose fanno e dire ai cittadini: potremmo fare di più se si facesse più prevenzione».


Come vede il futuro della sanità pubblica in Italia?

«Il futuro? Lo vedo male, se non si interverrà per la sostenibilità del sistema sanitario, oggi in crisi per tante ragioni: sprechi, corruzione, mancanza di risorse sufficienti, operatori sanitari sottopagati. Alcuni prospettano la necessità del cosiddetto secondo pilastro, ovvero le assicurazioni sanitarie. Io penso che questa prospettiva sia disastrosa, ritorneremmo al passato a un diritto alla salute diviso fra chi può e chi non può. Ecco perché bisogna lavorare e agire in tempo per la sostenibilità e l’efficienza del nostro sistema sanitario».


Quali sarebbero gli ambiti più importanti su cui intervenire?

«Secondo me bisogna agire su tre pilastri. Il primo pilastro è la prevenzione, che può ridurre l’impatto delle malattie anche del 50-80 per cento. Non dimentichiamo che le malattie non piovono sempre dal cielo, ma dipendono per una parte importante da fattori di rischio evitabili. E non è solo un problema dei medici o del ministero, ma della collettività intera. La prevenzione è responsabilità di tutti. Tutti siamo chiamati a contribuire, compresa la società civile. Pensiamo alla riduzione del rischio ambientale, alle vaccinazioni: serve la collaborazione fra decisori politici, organizzazioni sanitarie e cittadini».


A proposito, quale idea si è fatto del dibattito sulle vaccinazioni nell’ultimo anno e mezzo?

«Penso che la gente non vede più le malattie che preveniamo grazie alle vaccinazioni, e che un tempo mietevano vittime. Allora pensa che prevenirle con i vaccini sia inutile. È un problema peculiare in Italia, un po’ perché è diventato terreno di scontro politico, un po’ per una cronica carenza di cultura scientifica. La prevenzione è molto più facile fra le persone che sono in grado di capire la necessità di tutelare la salute. Finché a scuola non si insegnerà scienza come strumento di conoscenza, per capire come è fatto il mondo, e non solo come tecnologia portatrice di benefici, avremo sempre un problema di comprensione reciproca fra comunità scientifica e collettività. Bisogna che la scienza faccia parte della cultura, l’alfabetizzazione scientifica è fondamentale, soprattutto oggi che la rete dà diritto di parola a tutti».


Torniamo ai tre pilastri per salvare il servizio sanitario nazionale

«Bisogna curare meglio la validità scientifica delle cure e delle prestazioni erogate dal Sistema sanitario nazionale, che deve rimborsare solo ciò che è scientificamente validato. Bisogna appurare se un farmaco è davvero meglio di quelli che già esistono, se una terapia è davvero efficace. È probabile che una buona parte dei farmaci approvati oggi non rappresentino un valore terapeutico aggiunto. Il prontuario farmaceutico andrebbe rivisto come facemmo nel 1993, risparmiando miliardi di lire. Oggi nei Lea, i livelli essenziali di assistenza che determinano quali trattamenti debbano essere garantiti e coperti dal sistema sanitario, sono incluse terapie che andrebbero perlomeno rivalutate, perché le prove della loro efficacia sono inadeguate».


Per esempio?

«Le cure termali, alcune terapie riabilitative come l’ozonoterapia o le camere iperbariche. Ma anche farmaci innovativi come certi antitumorali che consentono di migliorare la sopravvivenza magari di alcune settimane. Sono importanti, ma non dobbiamo dimenticare che per finanziare queste cure si utilizzano risorse che mancheranno altrove. Anche la mancanza di appropriatezza e di evidenza scientifica crea disuguaglianze. Per questo ci vuole la ricerca, il terzo pilastro».


Il terzo pilastro?

«Oggi una scienza medica così complessa ha bisogno di ricerca, per capire dove stiamo andando, per correggere il percorso, per anticipare i bisogni. In Italia si continua continua a considerare la ricerca una spesa, mentre è un investimento, che ha un rapporto lineare non solo con il tasso di crescita di un paese, ma anche con il tasso di equità fra i suoi cittadini».


Per iscriversi a Science for Peace: http://www.scienceforpeace.it/la-conferenza-2018/come-iscriversi-1


Donatella Barus
Donatella Barus

Giornalista professionista, dirige dal 2014 il Magazine della Fondazione Umberto Veronesi. E’ laureata in Scienze della Comunicazione, ha un Master in comunicazione. Dal 2003 al 2010 ha lavorato alla realizzazione e redazione di Sportello cancro (Corriere della Sera e Fondazione Veronesi). Ha scritto insieme a Roberto Boffi il manuale “Spegnila!” (BUR Rizzoli), dedicato a chi vuole smettere di fumare.


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