Chiudi
Oncologia
Fabio Di Todaro
pubblicato il 17-05-2017

«Dobbiamo imparare ad ascoltare e a comunicare meglio con i pazienti»



Aggiungi ai preferiti

Registrati/accedi per aggiungere ai preferiti

Filippo de Braud dirige il dipartimento di oncologia medica all’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano: «Quando illustriamo una terapia, ricordiamoci che chi è seduto di fronte vuole comprenderla e condividerla»

«Dobbiamo imparare ad ascoltare e a comunicare meglio con i pazienti»

«Il nostro approccio nei confronti dei pazienti deve cambiare: servono meno pregiudizi e più chiarezza per comunicare e condividere la strategia terapeutica». L’«empowerment» è il pane quotidiano di Filippo de Braud, direttore del dipartimento di oncologia medica all’Istituto Nazionale dei Tumori, ordinario all’Università degli Studi di Milano e membro del comitato scientifico della Fondazione Umberto Veronesi. «Ogni giorno cerco di spiegare ai miei studenti come occorre approcciare al paziente. La comunicazione di una diagnosi e di una prognosi non possono essere più unidirezionali - ha dichiarato lo specialista nel corso del primo forum internazionale sull’«empowerment» dei pazienti oncologici -. Oggi chi è di fronte a noi è molto più informato rispetto al passato. Ed esige la condivisione di più informazioni».

 

Riuscite a garantire tutto ciò in un’epoca in cui è richiesto di ridurre i tempi di visita e aumentare il numero dei pazienti trattati?

«Tutti gli oncologi sono consapevoli di dover far fronte a questa necessità. Il sistema sanitario non si è ancora aggiornato, ma stiamo provando a farlo a livello di singoli reparti e ambulatori. Durante il percorso terapeutico, almeno nei momenti in cui si assumono le decisioni più importanti, un paziente deve sempre avere una figura di riferimento a cui poter fare affidamento».

 

Cosa occorre per sviluppare l’«empowerment» tra il medico e il paziente?

«La capacità d’ascolto, da parte nostra, è la prima qualità richiesta. Quella di comunicazione deve venire di conseguenza. I pazienti si presentano nei nostri studi molto più informati, rispetto al passato. Ma le nozioni di cui dispongono possono non essere corrette o necessitare comunque di un approfondimento. Quando illustriamo una terapia, dobbiamo ricordarci sempre che chi è seduto di fronte non vuole più subirla, ma comprenderla e condividerla».



Vuol dire questo mettere il paziente al centro del processo decisionale?

«Significa rispondere a tutte le sue esigenze: c'è chi chiede rimedi al dolore, chi pretende di comprendere a fondo la strategia terapeutica, chi non vuole sentire parlare di prognosi. Dobbiamo saper agire di conseguenza, andando incontro ai bisogni del singolo malato. Un atteggiamento uguale per tutti non è più sufficiente».

 

Nel 2017 questo approccio è garantito a tutte le latitudini?

«Esistono delle differenze tra i singoli Stati. In Italia, per esempio, serve più tempo perché un nuovo farmaco venga messo a disposizione da parte dell’Agenzia del Farmaco. Da quel momento in avanti, però, risulta passato dal Servizio Sanitario Nazionale a tutti i pazienti: cosa che non avviene invece in Gran Bretagna e nei Paesi scandinavi. La differenza emerge anche sul piano tecnologico e di accesso ai trial clinici, che rappresentano ormai una nuova opportunità di cura».

 

Chi è il destinatario dei messaggi che sono stati diffusi durante il Forum?

«I professionisti in formazione: medici, infermieri e psicologi. E il paziente, naturalmente. L’empowerment è un processo educazionale, che di conseguenza deve essere garantito a chi s’appresta ad affacciarsi al mondo del lavoro. Gli specialisti del futuro dovranno sempre tenere a mente che il paziente vuole essere parte attiva del proprio percorso terapeutico. La transizione richiede del tempo, ma è partita. Il Forum ha rappresentato un’occasione per dare impulso in questo senso. Guai ad abbandonare ancora anche un solo altro paziente».

 


 

Fabio Di Todaro
Fabio Di Todaro

Giornalista professionista, lavora come redattore per la Fondazione Umberto Veronesi dal 2013. Laureato all’Università Statale di Milano in scienze biologiche, con indirizzo biologia della nutrizione, è in possesso di un master in giornalismo a stampa, radiotelevisivo e multimediale (Università Cattolica). Messe alle spalle alcune esperienze radiotelevisive, attualmente collabora anche con diverse testate nazionali ed è membro dell'Unione Giornalisti Italiani Scientifici (Ugis).


Articoli correlati


In evidenza

Torna a inizio pagina