Dona ora
Altre News

Ricerca clinica in Italia: eccellenza scientifica, fragilità strutturale

L’Italia è tra i primi Paesi in Europa per numero di studi clinici, ma investe poco in ricerca, penalizza la sperimentazione indipendente e sconta gravi ritardi nell’accesso ai farmaci

Con 2.674 studi clinici avviati dal 2022 a oggi, l’Italia si conferma quarto Paese in Europa per numero di sperimentazioni, alle spalle di Spagna, Francia e Germania. Un risultato importante, soprattutto se confrontato con il limitato investimento pubblico in ricerca biomedica: appena 2,86 miliardi l’anno, pari all’1,3% del PIL, di cui solo il 39% proveniente da fondi pubblici. A fotografare questo scenario è stato il convegno promosso a Roma dalla Foce (Confederazione oncologi, cardiologi ed ematologi). Emblematiche le parole di Francesco Cognetti, presidente della confederazione: «Abbiamo un’eccellenza scientifica riconosciuta, ma mancano fondi, personale e velocità nei processi autorizzativi».

LUNGHI TEMPI E RISORSE LIMITATE

Il problema non è solo economico. A pesare sono anche la carenza di personale specializzato – come data manager, bioinformatici e infermieri di ricerca – e la lentezza delle procedure autorizzative, a partire dai Comitati Etici. Cognetti ha sottolineato come «i tempi per l’avvio delle sperimentazioni siano ancora troppo lunghi», con gravi ripercussioni anche sulla sperimentazione indipendente, ormai ridotta al minimo: «In oncologia solo il 20% degli studi su nuove molecole è no profit, il restante 80% è sponsorizzato».

FARMACI INNOVATIVI: TEMPI TROPPO LUNGHI PER L’ACCESSO

Un altro nodo riguarda l’accesso ai farmaci innovativi, che in Italia può richiedere oltre 500 giorni dall’approvazione EMA a causa del passaggio nei prontuari terapeutici regionali. «È prioritario accelerare tutti i passaggi autorizzativi, soprattutto per i farmaci innovativi e orfani», ha spiegato Cognetti, che ha anche proposto l’eliminazione dei prontuari regionali: «Azzerare i tempi di accesso a livello locale è una misura necessaria. Oggi rappresentano un vero vulnus all’articolo 32 della Costituzione».

TROPPI IRCCS, POCHI DAVVERO ATTIVI

In Italia sono attivi 54 IRCCS, ma non tutti svolgono attività scientifica concreta. «Molti conducono pochissimi o nessuno studio clinico», ha denunciato Cognetti, «e la qualità della produzione scientifica, secondo i parametri bibliometrici internazionali, è insufficiente in circa la metà di essi». Da qui l’allarme: «Non è possibile continuare ad aumentare il numero degli IRCCS senza dismettere quelli meno produttivi. Così si danneggiano le strutture più virtuose, le cui performance scientifiche stanno già calando».

UN SISTEMA TROPPO FRAMMENTATO

A pesare, secondo molti relatori, è anche la scarsa coordinazione tra enti pubblici e privati. «Bisogna ridurre la ricerca duplicativa e quella che non produce risultati utilizzabili», ha affermato Giuseppe Ippolito, docente dell’International Medical University di Roma. «In un contesto di risorse limitate, vanno evitate le duplicazioni di finanziamenti e serve una maggiore integrazione tra i soggetti coinvolti».

TANTE PUBBLICAZIONI, POCA INNOVAZIONE

Sul piano della produzione scientifica, l’Italia si difende bene. Ma l’impatto sull’innovazione resta debole. «La ricerca biomedica italiana produce pubblicazioni di buona qualità, ma attrae pochi finanziamenti di venture capital», ha osservato Sergio Abrignani, professore ordinario all’Università di Milano. Le aziende farmaceutiche italiane, ha aggiunto, «sono forti nella produzione e nell’export di farmaci di vecchia generazione, ma investono poco in ricerca su farmaci biologici, anticorpi monoclonali e RNA messaggero». Secondo Abrignani, il vero limite è nel trasferimento tecnologico: «Abbiamo un problema nel passaggio dalla ricerca di base allo sviluppo preclinico e alla sperimentazione clinica precoce». Un aiuto potrebbe arrivare anche dalla filantropia, che in altri Paesi europei gioca un ruolo importante nel sostegno all’innovazione.

LA RICERCA NON DEVE LASCIARE INDIETRO I PAZIENTI

«La ricerca deve mettere a disposizione dei pazienti tutti i vantaggi possibili, in termini di sopravvivenza e qualità della vita», ha ricordato Rosanna D’Antona, presidente di Europa Donna Italia. Ma oggi questo non avviene in modo uniforme: «I farmaci innovativi non sono subito disponibili in tutti i 21 sistemi sanitari regionali. Questo crea forti diseguaglianze di accesso». Anche per questo, ha ribadito, «è urgente accelerare i processi di approvazione, soprattutto per i farmaci salvavita».

UN’ECCELLENZA DA NON DARE PER SCONTATA

L’oncologia italiana vanta oggi tassi di sopravvivenza tra i più alti d’Europa: il 59% degli uomini e il 65% delle donne sopravvive almeno cinque anni dopo la diagnosi. Ma senza interventi strutturali, questi risultati rischiano di non durare. «Abbiamo alzato l’asticella delle aspettative», ha concluso Cognetti, «ma servono scelte coraggiose per non tornare indietro».

Fai una donazione regolare

Sostieni la ricerca, sostieni la vita

Frequenza di donazione
Importo della donazione