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Oncologia
Daniele Banfi
pubblicato il 17-03-2016

Il futuro della diagnosi è la ricerca di Dna nel sangue



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Le cellule malate rilasciano frammenti di Dna a livello sanguigno. Rilevarli e stabilire da dove arrivano aiuterà a diagnosticare precocemente eventuali malattie

Il futuro della diagnosi è la ricerca di Dna nel sangue

Il concetto è semplice e quasi banale: in qualsiasi settore della medicina la diagnosi precoce può fare la differenza. Prima si diagnostica una malattia e più alte sono le probabilità di guarigione. Ciò è particolarmente vero per il cancro. Forse sarà lo stesso per le malattie neurodegenerative. Ma come diagnosticare il prima possibile la presenza di un’alterata funzionalità di un organo? Secondo uno studio pubblicato dalla prestigiosa rivista Pnas, opera dei ricercatori della Hebrew University of Jerusalem (Israele), ciò sarà possibile grazie all’analisi dei frammenti di Dna rilasciati a livello sanguigno.

 

 

IL DNA NEL SANGUE

Come spiegano gli autori dello studio, «la morte delle cellule è un processo biologico fondamentale sia negli individui sani che in quelli malati. Poterla rilevare e misurare può, ad esempio, aiutarci a comprendere se è in corso una malattia, il successo di una terapia anticancro o l’eventuale presenza di effetti indesiderati di una determinata cura». Ciò è possibile perché le cellule, quando muoiono, rilasciano frammenti di Dna a livello sanguigno. Poterne rilevare precocemente la presenza identificando la sede del rilascio potrebbe essere la chiave per arrivare ad una diagnosi ancor più precoce rispetto ai metodi utilizzati oggi.

 

 

ANCHE LE CELLULE SONO "TAGGATE"

Ma mentre ricercare del Dna a livello sanguigno è relativamente semplice – oggi, ad esempio, i nuovi test di diagnosi prenatale si basano su questo principio - risulta molto difficile stabilire la sede dalla quale provengono. Tutte le cellule del corpo umano - che si tratti di neuroni o di epatociti poco cambia - possiedono lo stesso identico Dna. Come fare per discriminarne la provenienza? Il segreto si chiama metilazione. Il Dna infatti, pur rimanendo invariato nella sequenza, possiede piccole modificazioni chimiche (l’aggiunta di un gruppo “metile”) che non alterano il codice genetico ma differiscono a seconda del tipo cellulare. Una sorta di “tag” che consente di riconoscere la sede di origine. Ai ricercatori israeliani va il merito di essere riusciti a sviluppare un metodo capace di individuare queste differenze tessuto-specifiche attraverso un semplice prelievo sanguigno.

 

 

LA DIAGNOSI DEL FUTURO

In particolare gli autori dello studio, analizzando il sangue di oltre 300 persone affette da diverse patologie, sono riusciti nell’intento di isolare e identificare il Dna proveniente dalle cellule la cui sede di origine era associata ad una malattia in atto. Un esempio? Nelle persone affette da diabete di tipo 1 gli scienziati hanno osservato una presenza anomala di Dna proveniente dalle cellule pancreatiche distrutte dalla reazione autoimmune che si verifica in questa malattia. Un risultato importante che in futuro – con le dovute migliorie tecniche- potrà essere utilizzato per la diagnosi precoce di molte patologie che all’inizio non presentano sintomi ben definiti. Oggi, ad esempio, già è possibile in alcuni casi con la “biopsia liquida”.

 

@danielebanfi83

Daniele Banfi
Daniele Banfi

Giornalista professionista è redattore del sito della Fondazione Umberto Veronesi dal 2011. Laureato in Biologia presso l'Università Bicocca di Milano - con specializzazione in Genetica conseguita presso l'Università Diderot di Parigi - ha un master in Comunicazione della Scienza ottenuto presso l'Università La Sapienza di Roma. In questi anni ha seguito i principali congressi mondiali di medicina (ASCO, ESMO, EASL, AASLD, CROI, ESC, ADA, EASD, EHA). Tra le tante tematiche approfondite ha raccontato l’avvento dell’immunoterapia quale nuova modalità per la cura del cancro, la nascita dei nuovi antivirali contro il virus dell’epatite C, la rivoluzione dei trattamenti per l’ictus tramite la chirurgia endovascolare e la nascita delle nuove terapie a lunga durata d’azione per HIV. Dal 2020 ha inoltre contribuito al racconto della pandemia Covid-19 approfondendo in particolare l'iter che ha portato allo sviluppo dei vaccini a mRNA. Collabora con diverse testate nazionali.


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