Un programma strutturato di esercizio fisico dopo le cure per tumore del colon riduce il rischio di recidiva e migliora la sopravvivenza. I risultati presentati ad ASCO

L'esercizio fisico, dopo un tumore del colon-retto, rappresenta un vero e proprio farmaco anti-recidica. A dimostrarlo sono i risultati dello studio CHALLENGE, condotto nell’ambito del Canadian Cancer Trials Group (CCTG), presentato al congresso dell'American Society of Clinical Oncology (ASCO). L'analisi ha dimostrato chiaramente che un programma strutturato di attività fisica dopo i trattamenti classici è in grado di ridurre il rischio di recidiva e migliorare la sopravvivenza nei pazienti con tumore del colon in stadio III o II ad alto rischio.
RIDURRE IL RISCHIO
Ad oggi il trattamento standard per le persone affette da un tumore del colon in stadio III o II ad alto rischio prevede l'intervento chirurgico di rimozione della malattia seguito da un trattamento di chemioterapia adiuvante. Purtroppo però, nonostante le terapie, circa il 30% dei pazienti sviluppa una recidiva. Ecco perché da tempo la ricerca è al lavoro nel tentativo di individuare nuove possibili strategie per ridurre il rischio. L'attività fisica sembrerebbe proprio una di queste e lo studio CHALLENGE ne è la prova più solida.
LO STUDIO: MENO RECIDIVE, PIÙ SOPRAVVIVENZA
La ricerca ha coinvolto 889 pazienti in sei Paesi, suddivisi in due gruppi. Un primo gruppo ha ricevuto solo materiali informativi su dieta e attività fisica. Il secondo ha partecipato per tre anni a un programma supervisionato, con incontri regolari con un consulente del movimento, esercizi prescritti e follow-up costanti. I risultati sono stati a dir poco straordinari: a cinque anni la sopravvivenza libera da malattia era dell’80% nel gruppo attivo contro il 74% del gruppo di controllo. A otto anni, la sopravvivenza globale era del 90% contro l’83%. Tradotto: chi ha seguito il programma strutturato ha avuto il 28% in meno di rischio di recidiva e il 37% in meno di rischio di morte.
MOVIMENTO COME FARMACO
«Questi dati -ha dichiarato Pamela Kunz, oncologa a Yale e membro del comitato ASCO- rappresentano una svolta. È il primo studio a dimostrare che l’esercizio, oltre che fattibile, è davvero efficace. Dovrebbe diventare parte integrante delle cure». Un’affermazione che si inserisce in un filone sempre più consolidato della medicina oncologica: l’attività fisica, quando adeguatamente prescritta, non è solo "consigliabile" ma terapeutica.
NON SOLO COLON: COSA DICONO GLI STUDI
Già oggi sappiamo che l’esercizio regolare, praticato dopo una diagnosi oncologica, può migliorare la qualità della vita, ridurre affaticamento, ansia e depressione. Ma gli effetti vanno oltre il benessere soggettivo: studi osservazionali hanno mostrato una riduzione della mortalità per tumore al seno, colon, prostata e altri. Il punto debole di questi studi è sempre stato il disegno: spesso si tratta di analisi retrospettive o autoriportate, quindi a rischio di distorsioni. Lo studio CHALLENGE, con il suo rigoroso disegno, ha superato queste criticità fornendo una prova solida di efficacia.
VERSO UN CAMBIO DI PARADIGMA
Il concetto è semplice: il corpo in movimento attiva vie metaboliche, ormonali e immunitarie che rendono l’ambiente interno meno favorevole alla progressione tumorale. Aumenta la sensibilità insulinica, migliora l’infiammazione sistemica, si rinforza il sistema immunitario. Non si tratta di “alternativa” alle cure oncologiche, ma di un’integrazione fondamentale.
PRESCRIVERE IL MOVIMENTO, NON SOLO UN CONSIGLIO
Se l’attività fisica è una terapia, va prescritta come tale. Non basta dire "faccia movimento": serve un piano, una supervisione, un professionista formato. Lo studio CHALLENGE ha previsto consulenze regolari, esercizi personalizzati, un supporto motivazionale: senza struttura, il risultato non sarebbe stato lo stesso. Alla luce di questi dati, è auspicabile che i programmi di attività fisica entrino nei percorsi post-terapia come standard di cura, almeno per i pazienti con tumore del colon. «I prossimi passi -spiega Christopher Booth, oncologo della Queen’s University di Kingston (Canada) e primo autore dello studio- saranno capire come l’attività fisica agisce a livello molecolare. Lo studio delle componenti immunitarie e infiammatorie potrebbe aprire nuove strade anche per altri tumori».

Daniele Banfi
Giornalista professionista del Magazine di Fondazione Umberto Veronesi dal 2011. Laureato in Biologia presso l'Università Bicocca di Milano - con specializzazione in Genetica conseguita presso l'Università Diderot di Parigi - ha un master in Comunicazione della Scienza ottenuto presso l'Università La Sapienza di Roma. In questi anni ha seguito i principali congressi mondiali di medicina (ASCO, ESMO, EASL, AASLD, CROI, ESC, ADA, EASD, EHA). Tra le tante tematiche approfondite ha raccontato l’avvento dell’immunoterapia quale nuova modalità per la cura del cancro, la nascita dei nuovi antivirali contro il virus dell’epatite C, la rivoluzione dei trattamenti per l’ictus tramite la chirurgia endovascolare e la nascita delle nuove terapie a lunga durata d’azione per HIV. Dal 2020 ha inoltre contribuito al racconto della pandemia Covid-19 approfondendo in particolare l'iter che ha portato allo sviluppo dei vaccini a mRNA. Collabora con diverse testate nazionali.