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Covid-19 e la memoria corta

L'ultima cosa da fare, con 34mila morti alle spalle, è perdere la memoria dei mesi passati

Covid-19 e la memoria corta

Bianco e nero. Ottimisti e pessimisti. Su Covid-19, però, dovrebbe solo parlare la scienza, quella che coltiva il dubbio e cerca di "venirne a capo" attraverso il metodo scientifico. Quel metodo che oggi, a giudicare dalla gazzarra mediatica quotidiana, sembra ormai un lontano ricordo. Da un lato gli inguaribili ottimisti del virus non esiste più, dall'altro quelli delle proiezioni catastrofiche appena terminato il lockdown. Eppure, proprio perché di certezze ne abbiamo molto poche, l'atteggiamento più ragionevole dovrebbe essere quello della prudenza

Sgombriamo il campo dagli equivoci: il virus non è clinicamente morto. C’è ma sta facendo molti meno danni perché gli abbiamo preso le misure, almeno in Italia. Grazie al lockdown abbiamo tagliato le gambe al virus. Meno interazioni tra le persone, meno circolazione della malattia. Le distanze e l’utilizzo delle mascherine hanno giocato e continuano a giocare un ruolo fondamentale. Delle migliaia di sequenze depositate in giro per il mondo non ci sono prove che il virus abbia modificato le proprie caratteristiche diventando più “blando”.

Il virus c'è ancora, come dimostrano i nuovi focolai, ma circola molto meno. Aver aperto progressivamente ad inizio maggio e non aver registrato una nuova impennata di casi però non significa aver vinto la battaglia contro Covid-19. La circolazione del virus infatti dipende da molti fattori -alcuni non modificabili- che conosciamo troppo poco. Prevedere una seconda ondata significa leggere nella sfera di cristallo. Per questo occorre andare "con i piedi di piombo".
 

Ad oggi una delle poche certezze che abbiamo è che la circolazione del virus dipende dalle nostre azioni. Le norme di distanziamento, l'utilizzo delle mascherine nei luoghi chiusi, l'igiene personale e la capacità di individuare e isolare i casi positivi sono tutti fattori che possiamo sfruttare per controllare la diffusione del virus. Nell'incertezza scientifica vale il principio di precauzione.

Dopo mesi di sacrifici è più che lecito voler tornare alla normalità. La pandemia, però, non è affatto finita e basterebbe guardare cosa sta accadendo in altre aree del mondo per capire che forse Covid-19 non è un lontano ricordo. Dopo tutto quello che abbiamo passato non è certo ora il momento di abbassare la guardia. Sta a noi evitare che il virus rialzi la testa. Questo non significa vivere come durante il lockdown ma evitare situazioni potenzialmente a rischio. Fare finta di nulla e comportarsi come prima della pandemia è il miglior regalo che possiamo fare al virus.

Evitare una seconda ondata è innanzitutto una questione di consapevolezza. Se mai ci sarà dobbiamo però anche ricordarci che abbiamo diversi strumenti per fare in modo che questa sia a basso impatto (nuove cure, miglior organizzazione ospedaliera, migliori servizi di tracciamento).

Ottimismo o pessimismo contano fino ad un certo punto. Contano i dati. Questo virus ha dimostrato di sorprenderci molte volte, scardinando molte conoscenze scientifiche. Ecco perché la parola d’ordine è prudenza. Essere prudenti non significa essere catastrofisti. L'ultima cosa da fare, con 34mila morti alle spalle, è perdere la memoria dei mesi passati. 



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