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Vaccini Personalizzati Contro Il Cancro

Una delle sfide principali per questa strategia è l’ottimizzazione, per ridurre al minimo costi e tempi di attesa

Vaccini Personalizzati Contro Il Cancro

Di Erika Salvatori
Editor: Silvia Licciulli
Revisori esperti: Maria Teresa Esposito, Maddalena Donzelli
Revisore naive: Gianni Profilo

È un campo di ricerca molto promettente quello che si propone di combattere il cancro sfruttando il sistema immunitario. E’ stato dimostrato che sin dalle prime fasi della genesi del tumore le cellule immunitarie funzionano come guardiani, distruggendo precocemente le cellule mutate e potenzialmente cancerose: non a caso, nei soggetti immunocompromessi, ossia con un deficit funzionale dei meccanismi immunitari, si osserva una aumentata incidenza di formazioni tumorali. Ciononostante, anche soggetti con difese immunitarie perfettamente funzionanti si ammalano di cancro. Le cellule tumorali hanno quindi la capacità, attraverso vari meccanismi, di sfuggire al controllo del sistema immunitario e moltiplicarsi fino alla manifestazione clinica del tumore. Le modalità di “fuga” sono varie e includono la produzione di una serie di fattori soppressori della risposta immunitaria e la ridotta presenza di molecole di superficie che tradirebbero altrimenti la presenza del tumore, segnalandolo al sistema immunitario.

Disponiamo quindi di una potente arma, intrinsecamente programmata per difendere l’organismo dall’insorgenza dei tumori, ma che occasionalmente non riesce a distruggere il temibile avversario, a meno di un intervento esterno. Come possiamo dare al nostro sistema immunitario quell’impulso di cui avrebbe bisogno?

Una strada è quella di rendere le cellule tumorali nuovamente visibili alle difese immunitarie. Le cellule tumorali si moltiplicano ad un ritmo alterato ed il loro sistema di riparazione del DNA è assai meno rigoroso che nelle cellule sane. Benché errori nella replicazione del DNA avvengano anche in queste ultime, il loro apparato di riparazione funziona a pieno regime, correggendoli seduta stante. E ancora, quando questo meccanismo non riesce a scongiurare l’insorgere di una mutazione genetica potenzialmente dannosa per l’organismo, una cellula diligente preferisce “suicidarsi” piuttosto che trasmettere un DNA danneggiato o mutato alla progenie. Le cellule tumorali invece sono tutt’altro che diligenti: esse perdono i freni inibitori e i sistemi di controllo, e di conseguenza accumulano mutazioni. Il tumore è quindi il prodotto di una serie di alterazioni genetiche che consistono non solo nell’attivazione o inibizione di geni correlati alla progressione tumorale, ma anche in tante altre alterazioni in punti casuali del genoma. Ne consegue che una cellula tumorale sarà molto diversa dalla sua controparte sana. Possiamo sfruttare questa diversità per veicolare la risposta immunitaria esattamente contro il bersaglio desiderato.

La generazione di vaccini contro bersagli tumorali è potenzialmente in grado di stimolare una risposta immunitaria specifica. È utile ricordare che un vaccino consiste in un antigene (N.d.R. sostanza riconosciuta dal sistema immunitario) o una porzione di esso che viene introdotta nell’organismo e presentata alle cellule immunitarie, le quali vengono così istruite a riconoscere e attaccare velocemente qualunque “nemico” costituito per intero o in parte dalle stesse componenti del vaccino. Nel nostro caso, un bersaglio tumorale è tanto più specifico quanto più la sua presenza è limitata alle cellule tumorali. In passato sono stati messi a punto vaccini contro antigeni cosiddetti “tumore-associati”, poiché espressi in maniera anomala o in numero maggiore di copie nel tumore, ma comunque riconducibili al “self”, ossia potenzialmente espressi anche nei tessuti sani. L’attuale frontiera dei vaccini anti-cancro è invece quella dei neo-antigeni, proteine mutate generate casualmente dalla instabilità genomica del tumore e per questo “non-self”, ossia totalmente assenti nelle cellule normali.

Lo scopo dei vaccini contro i neo-antigeni è di utilizzare queste mutazioni come segnali che distinguono le cellule tumorali da quelle sane. Grazie alle moderne tecniche di sequenziamento del DNA e a complessi algoritmi bioinformatici, è possibile individuare queste alterazioni e predire quelle che attivano la risposta immunitaria in misura maggiore, che verranno utilizzate per la produzione del vaccino, sotto forma di porzioni di proteina o di DNA sintetizzati in laboratorio. Le cellule del sistema immunitario verranno così “istruite” a riconoscere e ad attaccare esclusivamente le cellule tumorali che esprimono quelle porzioni di proteina mutata sulla loro superficie.

Un limite di questa strategia è l’eterogeneità delle mutazioni, che sono diverse non solo da individuo a individuo, ma anche tra le diverse metastasi o le sub-popolazioni tumorali che coesistono nello stesso paziente. È chiaro dunque che perché questi vaccini si traducano in realtà la strada è ancora lunga e bisognerà mettere a punto protocolli strettamente personalizzati e in grado di caratterizzare con crescente precisione le mutazioni espresse con maggiore frequenza e soprattutto quelle che il sistema immunitario è effettivamente in grado di riconoscere. Selezionare i neo-antigeni più promettenti tra la moltitudine di proteine espresse dal tumore è il vero fattore limitante, da cui dipenderà il successo di questa metodologia. Includendo numerosi neo-antigeni in un unico vaccino sarà possibile coprire una parte significativa dell’intero spettro delle mutazioni presenti nella massa tumorale, facendo fronte all’enorme variabilità di cui si è accennato sopra. Studi pre-clinici condotti su modelli animali hanno dato risultati promettenti su una varietà di tumori, tra cui melanoma (Castle et al., 2012), tumore del colon (Yadav et a., 2014) e sarcoma (Gubin et al., 2014): in tutti questi casi è stata documentata una significativa riduzione della crescita tumorale dopo la somministrazione del vaccino a neo-antigeni, da solo o in combinazione con farmaci immunomodulatori. La fattibilità di questa strategia sui pazienti è stata dimostrata da alcuni studi recentemente pubblicati dalla rivista Nature (Ott et al., 2017 e Sahin et al., 2017), nei quali due tipi di vaccini antitumorali personalizzati hanno portato benefici clinici, e senza indurre effetti collaterali, a pazienti con melanoma in stadio avanzato ad alto rischio di ricaduta dopo resezione chirurgica della massa tumorale. Va però precisato che il numero di pazienti arruolati negli studi era molto piccolo (rispettivamente 10 e 13) e che i risultati andranno confermati su un campione molto più esteso per validarne la significatività statistica. Diversi studi clinici sono attualmente in corso per verificare la sicurezza ed efficacia dei vaccini a neo-antigeni su altri tipi di tumore (colon, reni, glioblastoma) e spesso in combinazione con altre terapie. Gli scienziati sono infatti dell’opinione che un approccio multimodale, che includa diverse strategie terapeutiche (radioterapia, chemioterapia, farmaci immunomodulatori) in combinazione con i vaccini, costituisca una carta vincente contro una malattia complessa come il cancro.

La medicina personalizzata mira a realizzare terapie su misura per il paziente, in modo da ridurre i danni collaterali e massimizzare le probabilità di successo. In uno scenario futuro, i pazienti oncologici potrebbero beneficiare di un vaccino personalizzato, contenente i neo-antigeni espressi dal proprio tumore e quindi con ogni probabilità più specifico di qualsiasi altro tipo di farmaco generico. Anche il costo di questo approccio terapeutico potrebbe potenzialmente diventare accessibile: sequenziare il proprio genoma costa oggi poche migliaia di euro e secondo alcune stime i costi potrebbero ridursi ad un centinaio di euro in pochi anni; con un processo di produzione ottimizzato, i tempi per ottenere il vaccino a partire dalla biopsia tumorale del paziente sono stati stimati intorno alle 4-6 settimane dal momento dell’ospedalizzazione. La prospettiva è che l’avanzamento della tecnologia consenta in futuro una ulteriore riduzione dei costi e dei tempi.

Bibliografia:

Castle et al. (2012). Exploiting the mutanome for tumor vaccination. Cancer Res. 72: 1081-91. doi: 10.1158/0008-5472

Gubin et al. (2014). Checkpoint blockade cancer immunotherapy targets tumour-specific mutant antigens. Nature 515: 577-81. doi: 10.1038/nature13988.

Kreiter S. et al. (2015). Mutant MHC class II epitopes drive therapeutic immune responses to cancer. Nature 520: 692-696. DOI:10.1038/nature14426

Yadav et al. (2014). Predicting immunogenic tumour mutations by combining mass spectrometry and exome sequencing. Nature 515: 572-6. DOI: 10.1038/nature14001.

Ott P.A. et al. (2017) An immunogenic personal neoantigen vaccine for patients with melanoma. Nature 547, 217-221. DOI: 10.1038/nature222991

Sahin, U. et al. (2017) Personalized RNA mutanome vaccines mobilize poly-specific therapeutic immunity against cancer. Nature 547, 222–226. DOI: 10.1038/nature23003

Schumacher N. and Schreiber R.D. (2015). Neoantigen in cancer immunotherapy. Science 348: 69-74. DOI: 10.1126/science.aaa4971

NOTE SULL'AUTORE:

Erika Salvatori, nata a Genzano di Roma nel 1993 ha conseguito la laurea triennale in Scienze Biologiche nel 2015 e la laurea magistrale in Biotecnologie Industriali nel 2017, entrambe presso l'Università Tor Vergata di Roma. Durante la tesi magistrale si è occupata di immuno-oncologia ed in particolare della caratterizzazione di modelli animali umanizzati per lo studio di vaccini anti-tumorali. Dopo la laurea continua ad occuparsi di immunoterapia e vaccini a base di neo-antigeni tumorali, un campo di ricerca stimolante e in piena espansione, presso l'azienda biotecnologica Takis di Pomezia (Rm). Nel tempo libero si dedica con entusiasmo alla divulgazione scientifica, collaborando con siti-web e associazioni.



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