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HPV: una storia da Nobel

La scoperta che ha cambiato l'orizzonte dei tumori femminili (e non solo)

HPV: una storia da Nobel

La storia della medicina costituisce spesso la chiave per comprendere non solo l’origine di alcune malattie, ma il presupposto per capire il perché di successive scelte in ambito clinico e diagnostico. Ricostruire i passaggi che hanno portato all’approccio attuale di cura nei confronti di alcune patologie è spesso inoltre un presupposto fondamentale per analizzare appieno le sfaccettature di malattie che sono spesso complesse e multifattoriali.

La storia della medicina diventa così un veicolo importante perché permette di intersecare studi di varia natura con approcci differenti nei confronti della patologia che spaziano da studi scientifici in senso stretto alla storia economica, a quella della letteratura e dell’arte. Un approccio che si avvale dell’ausilio di discipline apparentemente distanti, ma che concorrono tutte alla conoscenza profonda dell’umano e della malattia che è un insieme di disturbi che impattano su anima e psiche, sul singolo e sulla collettività.

Così è la storia del Papilloma virus di cui si celebra la giornata mondiale il 4 marzo. Per ricostruirla e capire che cos’è abbiamo intervistato Michele A. Riva, Professore di Storia della Medicina, Dipartimento di Medicina e Chirurgia, Università degli Studi di Milano-Bicocca.

IL PAPILLOMA VIRUS, UN ONCOVIRUS

«Il Papilloma virus (HPV, Human Papilloma Virus) costituisce una famiglia di oltre cento ceppi di virus, che possono causare nella maggior parte dei casi lesioni benigne, come le verruche o i condilomi, che interessano le mucose genitali e orali. Queste lesioni benigne tendono a guarire spontaneamente, ma alcuni ceppi virali possono dare origine a lesioni maligne che possono evolvere in tumori. HPV è, infatti, un oncovirus, ovvero un virus che può determinare lo sviluppo di tumori. Tra i virus di questo tipo possiamo ricordare il virus dell’epatite B e dell’epatite C, che possono causare il carcinoma epatocellulare, il virus di Epstein Barr (EBV) che può causare il linfoma di Burkitt, i virus linfotropici delle cellule T (HTLV) che possono determinare leucemie e linfomi e l’herpesvirus umano 8 (HHV-8) che è associato al sarcoma di Kaposi».

UNA STORIA DA NOBEL

«Lo studio dei meccanismi di funzionamento degli oncovirus fu oggetto degli studi che valsero il premio Nobel per la medicina all’italiano Renato Dulbecco (1914-2012) nel 1975 (anni dopo sarà Harald zur Hausen a ricevere un Nobel per i suoi studi sull'HPV, ndr). Il carcinoma della cervice uterina è totalmente riconducibile all’infezione HPV. In particolare, tra i diversi ceppi HPV, solamente le varianti 16 e 18 sono più frequentemente implicati nel carcinoma della cervice uterina, essendo responsabili rispettivamente di circa il 60% e il 10% di tutti i tumori cervicali. La modalità di trasmissione è sessuale. Il tempo che trascorre tra l’infezione e l’insorgenza del carcinoma può essere di 20-30 anni, ma è importante specificare che meno dell’1% delle donne con infezione da papilloma virus sviluppa un tumore del collo dell’utero».

LA STORIA DELLA SCOPERTA (E LE SUE CONSEGUENZE)

«Negli ultimi anni dell’Ottocento, si iniziò a ipotizzare l’origine infettiva delle verruche cutanee e la stessa modalità di trasmissione fu presa in considerazione anche immediatamente dopo per i condilomi genitali e orali. Nel 1907 il medico cagliaritano Giuseppe Ciuffo (1877-1916) ipotizzò l’origine virale di queste infezioni, ma furono necessari altri 40 anni prima che HPV fosse isolato e osservato al microscopio elettronico dal dermatologo statunitense Maurice Strauss e dal patologo Joseph Melnick nel 1949. A partire dagli anni Settanta, si iniziò a evidenziare un’associazione tra HPV-5 e alcune tipologie di tumore cutaneo. In quegli stessi anni, più precisamente nel 1975, Baruch Blumberg, biochimico statunitense, vincitore del Premio Nobel per la medicina nel 1976 per le sue ricerche riguardanti la scoperta di nuovi meccanismi sull'origine e la diffusione delle malattie infettive, aveva dimostrato la prima associazione clinica tra epatite cronica da HBV e carcinoma epatolocellulare. Nel 1976 il medico tedesco Harald zur Hausen fu il primo ad ipotizzare che HPV giocasse un ruolo importante nello sviluppo del tumore della cervice uterina. Le sue ipotesi vennero confermate dagli studi che il suo gruppo condusse tra il 1983 e il 1984 e che hanno permesso di identificare l’associazione tra HPV-16 e HPV-18 nel tumore della cervice uterina. Questa scoperta valse a zur Hausen il premio Nobel per la medicina nel 2008, premio condiviso con Françoise Barré-Sinoussi e Luc Montagnier, che sono stati premiati per la scoperta del virus HIV».

UNA SCOPERTA EPOCALE

«La scoperta dell’oncogenicità del HPV fu veramente rilevante nella storia della medicina, permise di individuare la causa di un tumore molto frequente nella popolazione femminile e ipotizzare quindi nuovi strumenti diagnostici e preventivi. In particolare, il test HPV è raccomandato in donne che hanno una citologia atipica o borderline al Pap test, essendo più efficace nel predire la possibilità di sviluppo di lesioni che potrebbero evolversi in tumori. Da un punto di vista preventivo, lo sviluppo e l’introduzione della vaccinazione per l’HPV, che è stata approvata nel 2006, determinerà nei prossimi anni una riduzione del tumore della cervice dell’utero e probabilmente andrà a rivoluzionare anche lo screening del Pap test. La commercializzazione del vaccino in Italia è stata autorizzata nel febbraio 2007, e a partire dal febbraio dell'anno successivo il vaccino viene distribuito gratuitamente alle adolescenti di età compresa tra gli 11 e i 12 anni». Dal 2017 il piano vaccinale nazionale estende la vaccinazione anche ai maschi.

L’IMPATTO DELLE INFEZIONI DA HPV NELLA MILANO OTTOCENTESCA

«Uno studio dal titolo Parish mortality registers in paleo-oncology condotto dal nostro gruppo di ricerca sulle cause di morte dei registri parrocchiali di Milano nel periodo 1816-1822 e pubblicato su Lancet Oncology nel 2018 ha evidenziato che in quell’epoca i tumori erano raramente una causa di morte nella cittadinanza. Tra i tumori riportati nei registri parrocchiali, però, la principale tipologia è rappresentata da tumori genitali femminili e, in particolare, dai tumori uterini (37% dei casi). La maggiore frequenza di questi tumori nella Milano ottocentesca è simile alla proporzione di queste neoplasie osservata oggi nei paesi in via di sviluppo, dove il tumore della cervice uterina è la neoplasia più prominente in termini di incidenza e mortalità. Un’alta prevalenza di infezioni da HPV, dovuta a condizioni igieniche difficili, potrebbe avere giocato un ruolo nella maggior prevalenza di tumore uterino nella popolazione femminile milanese dell’Ottocento».



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