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Alcolismo: cosa dico ai figli dei miei pazienti

Manuale di sopravvivenza per figli di alcolisti o con altre dipendenze patologiche

Alcolismo: cosa dico ai figli dei miei pazienti

di Serena Zoli

 

 

Sentirsi compresi. È sicuramente quanto accade ai “figli di alcolisti” cui è dedicato questo libro della psicologa Katia Roncoletta, la prima cosa di cui hanno bisogno tra l’altro, come scrive l’autrice stessa. Compresi per il tono suadente e accogliente della scrittura e per la grande quantità di brani da racconti veri di altri figli nella infelice situazione di avere un padre o una madre legati all’alcol. Pezzi di confessioni che aprono porte su interni familiari complicati, spesso dolorosi, spiazzanti, su verità solitamente nascoste o negate nei quali i giovani lettori ritroveranno fatti e atmosfere di casa loro.

«Non sono solo, dunque», il primo sospiro di sollievo. Questo Manuale di sopravvivenza per figli di alcolisti o con altre dipendenze patologiche, che porta il titolo "Cosa dico ai figli dei miei pazienti", comincia proprio con il consiglio di trovare una persona con cui confidarsi. Se nel giro delle conoscenze personali o familiari non si trova qualcuno di adatto, rivolgersi allora a professionisti come gli assistenti sociali del comune o al medico di famiglia. Fondamentale è “non restare chiuso nel silenzio del tuo dolore”. Già parlando si apre uno spioncino sulla speranza.

Importante è poi conoscere le “3C” per non pretendere da se stessi l’impossibile e per non caricarsi di indebiti sensi di colpa: tu, figlio/a, non puoi Causare l’alcolismo; non puoi Curarlo; non puoi neanche Controllarlo. Nel senso che nascondere bottiglie o vuote o piene, cercare di sentire l’alito del genitore o tendere da lontano tranelli telefonici per controllare se la parlata è strascicata non portano a niente. Se il genitore alcolista se ne accorge, può sentirsi “braccato” e allora studiare nuove strategie per bere in pace.

Raccomandando l’analisi di se stessi per fare un punto chiaro sui propri sentimenti e meglio concentrarsi sui propri obiettivi, Katia Roncoletta si preoccupa di spiegare come può essere “minata” la psicologia di chi è cresciuto nel cerchio malato di un alcolista. Secondo alcuni autori, un bambino e poi ragazzo può restare segnato dal Disturbo da stress post-traumatico, quello riportato spesso dai soldati in guerra, in quanto il trauma introiettato verrebbe dal vivere nella paura di chi invece ti aspetteresti essere protettivo. Altre difficoltà offerte all’autoanalisi dei figli sono la difficoltà a divertirsi, il mentire anche quando non sarebbe utile, l’ipervigilanza per un controllo di tutta la situazione intorno, problemi nelle relazioni intime, bassa autostima.

C’è infine un altro rischio: quella di prendere su di sé il ruolo del genitore, divenendo adulto prima del tempo, cosa che non lascia spazio alla spensieratezza e al divertimento. Un altro pericolo va tenuto presente per l’età adulta: le statistiche dicono che i figli di alcolisti tendono più di altri a legarsi e sposare una persona dipendente da alcol o da altre sostanze. La psicologa di questo libro sa presentare con garbo e confidenza le tendenze negative che possono vivere i ragazzi e le ragazze con genitori dipendenti, chiaramente offrendole per aiutarli a liberarsene. Ripetendo in vari modi “prenditi cura di te”, non lasciarti soverchiare dalla nebbia o dalla rabbia o dalla sottomissione per il problema del papà o della mamma. Ricordando fin dall’inizio che quel problema è una malattia, come ha dichiarato l’Organizzazione mondiale della Sanità nel 1979.

L’imperativo di sottrarsi all’influenza negativa dei genitori non incoraggia tuttavia la freddezza o l’ostilità verso di loro: se ci riuscite, invita l’autrice, tenete una porta aperta nel cuore per l’amore. A conclusione, gli indirizzi delle associazioni che si occupano degli alcolisti.

"Cosa dico ai figli dei miei pazienti. Manuale di sopravvivenza per i figli di alcolisti o con altre dipendenze patologiche"

di Katia Roncoletta

Altro Mondo Editore, pagine 118, € 14



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