L’importanza delle partnership profit-non profit per un nuovo modello di sviluppo a vantaggio di tutti

L’importanza delle partnership profit-non profit

di Prof. Marco Grumo, Professore Associato di Economia Aziendale presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore e Coordinatore Scientifico di “Cattolica per il Terzo settore”

 

I fatti recenti ci hanno mostrato come il nostro modello di società e di economia necessitino di un radicale cambiamento di impostazione e di concreto funzionamento. Viviamo infatti in equilibri economici e sociali sempre più fragili perché più fragili sono le persone, le famiglie, gli organismi sociali nonché gli stessi Stati: tutto ciò si verifica nell’emergenza ma anche nei trend di più lungo respiro. Solo per fare alcuni esempi: crescono gli indebitamenti degli Stati, la precarietà delle persone e del lavoro, la disparità nella distribuzione della ricchezza, ma anche la fragilità del tessuto economico e imprenditoriale; conseguentemente calano le protezioni sociali, economiche e quelle sanitarie, specie per le persone con più basso reddito e in generale più fragili. La finanza (peraltro sempre più di emergenza e derivata) e gli Stati arrivano solo fino a un certo punto. Tutto ciò ha importanti risvolti di carattere economico, sociale e anche sanitario, i quali peraltro costituiscono aspetti sempre più interdipendenti.  

Anche le organizzazioni sociali (imprese, terzo settore e pubbliche amministrazioni locali) da sole arrivano fino a certo punto. Come sottolineato da Papa Francesco nell’Enciclica “Fratelli tutti”, oggi “nessuno può affrontare la vita in modo isolato (..)”. Lo sappiamo bene, basta una malattia, un virus o la perdita del posto di lavoro e le persone entrano automaticamente e immediatamente nell’ampia e multiforme categoria delle “fragilità”.  Inoltre oggi fragilità sanitaria significa anche fragilità personale, familiare, sociale e spesso anche economica (e viceversa).
Abbiamo chiaramente bisogno di modelli, di protezioni e di comportamenti nuovi, da tutti i punti di vista.

Nessuno oggi è in grado di agire e di salvarsi da solo.

In questo contesto (nemmeno le organizzazioni più grandi e quelle più dotate finanziariamente), così come nessuno è in grado di prosperare, quando le persone e le comunità non prosperano. Se ciò vale per le grandi organizzazioni, vale a maggior ragione per le persone.

Sul piano macro-economico, molti strumenti nuovi e lungimiranti stanno pian piano consolidandosi, grazie anche a nuova consapevolezza nelle istituzioni e nelle persone: corporate social responsibility, filantropia d’impresa, agevolazioni fiscali e finanziarie, fondazioni corporate, intermediazione filantropica, cooperazione, enti del terzo settore, impresa sociale, finanza sostenibile, impact investing, imprese business sostenibili, bcorp, fondi di investimento sostenibili, green economy, micro-credito, social impact bonds, obiettivi ONU Agenda 2030, social return on Investments, solo per citarne alcuni.  Serve però costruire una “big picture” nuova e lungimirante al cui interno realizzare e moltiplicare queste nuove forme.

In particolare, la nostra società sta evidenziando da tempo bisogni sociali e sanitari altamente complessi, i quali possono essere compresi appieno e soddisfatti, solo mettendo insieme “le forze”, quella delle diverse discipline e quindi della conoscenza, di diversi soggetti nazionali e internazionali, ma anche dello Stato, degli enti pubblici territoriali, delle imprese (di qualsiasi dimensione e settore) e  del terzo settore (fondazioni, cooperazione, volontariato ecc.), il tutto però sempre attorno a ragionamenti, progetti e soggetti e di alta qualità.

La qualità dei ragionamenti, dei progetti e dei soggetti non costituiscono oggi un aspetto secondario e per questo motivo essi devono essere assolutamente ricercati e privilegiati nelle decisioni di supporto. Del resto, il progresso è sempre il frutto di collaborazioni di qualità, costruite attorno a progetti di alta qualità.

Nell’economia e nella società dell’interdipendenza e delle molteplici vulnerabilità, quale appunto le attuali, le sfide economiche, sociali e sanitarie dei prossimi anni difficilmente costituiranno un “gioco per solisti”: ciò vale per la scienza medica, per le emergenze sociali ma anche per il business. Ciò significa che le scienze dovranno lavorare di più insieme, che la scuola e l’Università dovranno cambiare, ma anche che il mondo profit, della pubblica amministrazione e del terzo settore dovranno progettare e operare in modo sempre più sinergico, ciascuno in funzione delle proprie finalità e caratteristiche, integrando in modo nuovo i propri business model e le proprie catene del valore al fine di realizzare progetti e attività di maggiore impatto economico, sociale, territoriale, sanitario e ambientale per tutti.

Gli impatti rilevanti nascono infatti solo da collaborazioni altrettanto rilevanti.

In questo contesto, chi “gioca” da solo, fa perdere tutti, incluso sè stesso. 

Il mondo business e non business oggi appaiono distanti solo a coloro che vivono di schemi interpretativi antichi e stereotipati: un tempo si studiava anche la finanza in modo totalmente separato dalla sanità, dal sociale, dalla ricerca scientifica, dall’ambiente, dallo sport; una rappresentazione della realtà ormai ampiamente superata dai fatti che mostrano invece come tali aspetti siano strettamente connessi.

Il Covid ci ha mostrato in modo molto evidente che i problemi sono interdipendenti a livello geografico, organizzativo e delle conoscenze, tanto che essi possono essere risolti solo in modo integrato, intersettoriale e interdisciplinare. Pertanto, il concetto di partnership oggi non può più costituire l’eccezione di un agire individualistico, bensì esso rappresenta l’unica regola possibile e conveniente per tutti. Questo vale in ogni settore. Chi prima e meglio saprà realizzarle, prima proteggerà e si proteggerà. Ciò vale chiaramente anche per la ricerca medico-scientifica.

Perché le imprese dovrebbero sostenere e quindi investire (specie in un momento di crisi e di ripartenza economica e sociale quale quello attuale) in una fondazione di ricerca o in altre realtà del terzo settore? Del resto, questo è il momento delle economie di spesa e del pensare anzitutto a sé stessi, direbbero molti…Questo è esattamente l’errore da non commettere, anche perché già tante volte in passato lo abbiamo commesso. Dalle crisi si esce (bene e prima) solo con gli investimenti, quelli in grado di generare circoli virtuosi per sé e per tutti: investimenti in progetti e soggetti di qualità, con ritorni di alta qualità.

Oggi non vi è benessere sociale ed economico senza investimento medico-scientifico:

investimento pubblico certamente, ma anche sostegno privato intelligente, virtuoso e reciprocamente conveniente. 
La ricerca medica infatti oggi ha una grande funzione moltiplicatrice del benessere delle persone, della società ma anche economico e delle imprese. La ricerca crea benessere individuale e collettivo e anche felicità. Non sostenerla ha un inevitabile impatto depressivo sull’intero sistema socio-economico, a livello micro, a livello macro, di breve e di medio-lungo periodo.  Inoltre le organizzazioni del terzo settore sono soggetti molto particolari: esse non agiscono per fini economici privati, ma direttamente a vantaggio del bene comune, mettendo “in gioco” valori, risorse e intelligenze alte, investendo e reinvestendo tutto per la generazione del progresso sociale.  In particolare, investire in queste realtà moltiplica il bene comune, ma anche la reputation dell’impresa, dell’imprenditore, dei prodotti nei mercati, così come la “public image” nei confronti di tutti gli stakeholder, sia interni che esterni, incrementando la fiducia e il valore dell’impresa nel breve e nel medio lungo periodo.

Investire nel terzo settore posiziona anche le imprese in termini di valore e di valori, con conseguenze positive nelle comunità e nei mercati. Si tratta di un cambio di paradigma culturale e del valore.

La società e le persone oggi non hanno bisogno solo di collaborazioni “spot”, istintive, “compassionevoli”, residuali, intermittenti o imitative, ma di collaborazioni invece sempre più progettuali e strategiche, capaci cioè di costituire investimenti “win-win” per tutti gli attori coinvolti: l’impresa, l’imprenditore, la ricerca, le persone, le comunità, il Paese. È una questione di qualità del pensiero imprenditoriale, di management e di valori.

Costruire partnership intelligenti con le fondazioni di ricerca medico-scientifica, e in generale con il terzo settore, produce numerosi vantaggi “pubblici” e “privati”: vite salvate, relazioni salvate, ritorni di reputazione, economici, fiscali, ma soprattutto in termini di progresso medico-scientifico, qualità della vita e di benessere sociale. Queste collaborazioni intelligenti e reciprocamente vantaggiose possono assumere diversi contenuti e possono essere realizzate da tutte le imprese, anche quelle più piccole: tutte infatti potranno costruire collaborazioni ad alto impatto sociale ed economico per sé e per tutti e quindi intelligenti, virtuose, progettuali e creative. Queste collaborazioni moltiplicano il valore dell’impresa; non lo deprimono poiché costituiscono un investimento e non un costo, cosa peraltro ancor più facilmente osservabile quando si allarga il tempo di misurazione della performance dell’impresa e la sua multidimensionalità. Ogni impresa cresce quando investe e non quando taglia: la logica del taglio dei costi (peraltro strettamente connessa a quella del cortotermismo culturale e strategico) infatti non ha mai prodotto grandi livelli di sviluppo e di performance nel medio-lungo termine.

Per contro, la performance, e quindi il valore dell’impresa, è sempre invece la risultante della qualità dei ragionamenti, delle relazioni e dei circoli virtuosi che essa è in grado di progettare e innescare ad intra e ad extra, con tutti i soggetti e le comunità in cui essa opera. Quando le persone e le comunità stanno bene anche le imprese prosperano; quando invece le persone e le comunità stanno male anche le imprese entrano in fase di declino. Del resto, le imprese, anche quelle più grandi, sono immerse nelle comunità e da esse traggono le risorse per crescere.

Quando queste collaborazioni avvengono tra soggetti (profit e non profit) di qualità, e attorno a progetti di qualità, esse producono molteplici “contaminazioni” positive e vantaggi per le persone, per l’impresa, la fondazione e per la società. Per l’impresa solitamente generano percezioni e sentimenti positivi nella proprietà, nei dipendenti, nei clienti, nei territori di operatività (anche all’estero), ma anche incrementi del valore del brand e del fatturato, innescando circoli virtuosi tra impresa, mercato, valore e impatto sociale. Grazie a queste collaborazioni (peraltro oggi fiscalmente agevolate per gli imprenditori, per i professionisti, per le imprese  che donano denaro, tempo e beni, ma anche per quelli che investono capitali in attività imprenditoriali ad alto valore sociale),   “vincono”  le persone e la società, le quali possono fruire così di progetti sociali e di ricerca scientifica più rilevanti, efficaci, innovativi e “di sistema”, ma  “vincono” anche le   imprese e gli  imprenditori che ricevono in cambio soddisfazione personale e valoriale, nonché visibilità, reputazione, “legittimazione istituzionale”, incremento del proprio capitale relazionale e dei propri risultati di responsabilità sociale e di sostenibilità, ma anche ritorni positivi per i propri stakeholder e in generale per il proprio business.

Tutte le imprese hanno valori, esperienze e in generale “doni”, o meglio investimenti, da fare: si tratta solo di pensarci in modo, meno residuale e “sganciato” dalla propria attività economica ordinaria, ragionando invece più sinergicamente rispetto agli obiettivi personali e dell’impresa. Investire in ricerca può costituire così un’insolita e preziosa leva di sviluppo del business, considerato anche il fatto che oggi le imprese sono sempre più chiamate dalla finanza, dal mercato e dalle norme a comunicare e a dimostrare la bontà “a 360 gradi” dei propri business model, anche in termini di responsabilità sociale, di sostenibilità e in generale di impatto sociale prodotto.

Tutte le imprese possono offrire tanto alle fondazioni di ricerca scientifica e in generale alle organizzazioni del sociale.

Erogazioni liberali in moneta agevolate, sponsorizzazioni, donazioni di tempo (ad esempio dei propri dipendenti o clienti), contatti e spazi fisici per organizzare campagne di raccolta fondi o di reclutamento di volontari; preziose competenze tecniche e aziendali; possono donare beni, patrimoni, borse di studio, farmaci, strumenti e servizi; brand, infrastrutture, occasioni di lavoro; possono mobilitare dipendenti, fornitori e clienti; possono vendere prodotti a condizioni di favore; possono promuovere campagne di donazione collettive, attività di payroll giving o di corporate volunteering; possono realizzare iniziative di cause-related marketing, devolvendo ad esempio una parte del fatturato di un prodotto a una specifica causa sanitaria o sociale. Tanti sono gli esempi rilevati e studiati in Italia e all’estero in questi ultimi anni; aziende e imprenditori di tutte le dimensioni che si sono messi “in gioco” direttamente o indirettamente, alcune anche costituendo corporate foundations grant-making per moltiplicare e istituzionalizzare queste forme di intervento ad alto impatto sociale e scientifico. Imprese e fondazioni devono solo conoscersi di più, parlarsi di più, co-progettare e poi scegliere insieme le modalità di collaborazione più adatte in base alle proprie esigenze e ai propri obiettivi strategici, partendo però sempre da soggetti e ragionamenti di qualità e da valori condivisi.

Le fondazioni di ricerca, e in generale il terzo settore, da parte loro possono offrire tanto al mondo dell’impresa (piccola e grande). Reputation, umanità, ricordo concreto e quotidiano di persone importanti della famiglia o dell’impresa, conoscenze, visibilità istituzionale e commerciale, vendite, soddisfazione dei clienti, del personale, iniziative di welfare aziendale, servizi e in generale progresso sociale e medico-scientifico positivo per tutti.

La recente riforma del terzo settore ha agevolato molto queste collaborazioni “win-win”, prevedendo importanti sconti fiscali per le imprese, gli imprenditori e i professionisti che effettuano donazioni di moneta, beni e servizi a favore delle fondazioni non profit nella forma della detrazione fiscale del 30% per le persone fisiche, o in alternativa, della deduzione fiscale nei limiti del 10% del reddito nonché della deduzione integrale delle donazioni di denaro e di beni effettuate dalle società fino al  limite 10%  del reddito imponibile dell’impresa. Interessanti sono anche le nuove agevolazioni tributarie previste per la partecipazione delle imprese e degli imprenditori al capitale di rischio delle nuove “società-imprese sociali” (utilizzabili proficuamente anche nel campo della ricerca medico-scientifica), nella forma della detrazione fiscale del 30% del conferimento effettuato dagli imprenditori-persone fisiche fino a 1 milione di euro annui e della deduzione fiscale per le società pari al 30% del capitale conferito, fino a 1,8 milioni di euro.

Le norme quindi ci sono e sono anche favorevoli; le bestpractices, le imprese e le fondazioni di qualità, pure.

 

 

 

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