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Alimentazione
Fabio Di Todaro
pubblicato il 11-05-2021

E171: cosa sapere sul biossido di titanio «bocciato» dall'Efsa



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Se accumulato in eccesso, il biossido di titanio (presente in prodotti da forno, zuppe, brodi, salse e creme salate da spalmare) potrebbe danneggiare il Dna

E171: cosa sapere sul biossido di titanio «bocciato» dall'Efsa

La notizia è di pochi giorni fa. L’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare (Efsa) ha dato parere negativo all’uso del biossido di titanio (E171) negli alimenti. Il parere, fornito a seguito di una richiesta della Commissione Europea, è stato fornito dopo aver passato in rassegna tutti gli studi tossicologici condotti a riguardo. A determinare la bocciatura dell’E171 - che per il momento potrà essere ancora impiegato dall’industria alimentare - l’impossibilità di escludere il rischio di genotossicità a seguito dell’ingestione. Un’eventualità - quella che porterebbe a danneggiare la sequenza di nucleotidi che compongono il Dna di una cellula, con una possibile evoluzione anche in senso neoplastico - determinata non dal consumo occasionale. Ma dall’accumulo conseguente a un introito regolare. Cos’è, perché si usa, in quali alimenti si ritrova, come riconoscerne la presenza: ecco tutto quel che c’è da sapere sul biossido di titanio e sui rischi (potenziali) connessi per la salute dell’uomo.

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PRESTARE ATTENZIONE? 

BIOSSIDO DI TITANIO (E171): COS'È E DOVE SI TROVA

Il biossido di titanio (riconoscibile dalla sigla E171 in etichetta) è una sostanza di origine minerale, usata come colorante alimentare. Come tutte queste molecole, ha la funzione tecnologica di rendere gli alimenti più attraenti: aggiungendo colore (se non ne hanno) o ravvivandone quello originale. Essendo inizialmente stato classificato come materiale inerte, il biossido di titanio (autorizzato come additivo alimentare nell'Unione Europea in base all'allegato II del regolamento 1333 del 2008) ha cominciato a essere molto utilizzato nei prodotti alimentari. Come additivo è impiegato per produrre caramelle, salse, prodotti a base di pesceformaggiozuppe, brodi, salse e creme salate da spalmare. Ma il biossido di titanio ha trovato nel tempo spazio anche in un'ampia gamma di prodotti farmaceutici e cosmetici: dai solari ai dentifrici, dalla cipria ai trucchi. Fino alle creme che si usano nel momento in cui si cambia il pannolino ai neonati. Nel tempo, però, alcune nuove evidenze hanno indotto le autorità regolatorie a porre l’attenzione su questo composto. Nel 2016 l’Efsa aveva fornito rassicurazioni circa il profilo di «genotossicità e cancerogenicità dopo l’assunzione per via orale». Tuttavia erano state individuate «lacune e incertezze nei dati» che, nel tempo, avrebbero richiesto una revisione dei dati. Punti di domanda erano stati confermati anche nel 2019 dall’Agenzia per la sicurezza alimentare, l'ambiente e la salute sul lavoro francese (Anses) e dall’omologa olandese (Nvwa). La prima aveva sottolineato il potenziale effetto cancerogeno nei confronti del colon-retto (emerso da uno studio su modello animale). Da Amsterdam, invece, era stato posto l’accento sulla «necessità di studiare gli effetti sul sistema immunitario nonché i potenziali effetti di tossicità riproduttiva».


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COSA DICE L’ULTIMO PARERE DELL’EFSA?

Nel frattempo, la Francia aveva già vietato l’uso del biossido di titanio  nei prodotti alimentari a partire da gennaio 2020. E da tempo, comunque, l’industria si sta adoperando per individuare alternative all’impiego del colorante E171. Una tendenza che ha portato a considerare quasi scontato l’invito alla cautela diffuso attraverso l’ultimo documento. «Tenuto conto di tutti gli studi e i dati scientifici disponibili, il biossido di titanio non può più essere considerato un additivo alimentare sicuro - afferma il tossicologo Maged Younes, a capo del gruppo di esperti sugli additivi e gli aromatizzanti alimentari dell’Efsa -. Un elemento fondamentale per giungere a tale conclusione è che non abbiamo potuto escludere rischi in termini di genotossicità connessi all’ingestione di particelle di biossido di titanio. Dopo l'ingestione, l'assorbimento di particelle è solitamente basso. Nel tempo, però, queste possono accumularsi nell'organismo umano». Da qui il richiamo alla prudenza, considerando peraltro che (rispetto alla valutazione compiuta nel 2016) l’ultima analisi ha valutato anche i rischi connessi al consumo di nanoparticelle (di dimensioni comprese tra 1 e 100 nanometri, più semplici da usare in ambito alimentare) di biossido di titanio.


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RISCHIO GENOTOSSICO: DI COSA SI TRATTA?

L’attenzione è puntata sul rischio genotossico (potenzialmente) indotto dall’accumulo di biossido di titanio nell’organismo. Di cosa si tratta? La genotossicità è la capacità di una sostanza chimica di danneggiare il Dna, il materiale genetico delle cellule. Un’azione che può avere effetti cancerogeni (se esplicata sulle cellule somatiche) o determinare conseguenze a livello riproduttivo (quando la genotossicità si manifesta a livello delle cellule germinali). Spiega Matthew Wright, tra gli autori del documento: «Le evidenze non sono ancora conclusive. Ma sulla scorta dei dati più recenti e dei metodi più solidi con cui sono stati condotti gli ultimi studi non abbiamo potuto escludere timori di genotossicità». Inevitabile la conseguenza: non è possibile indicare dosi di consumo assolutamente sicure per la salute umana. Detto ciò, occorre comunque precisare che «la valutazione riguarda soltanto i rischi legati all’uso del biossido di titanio come additivo alimentare». E non invece in settori diversi: quali il tessile, l'edilizia, la manifattura, la produzione di mezzi di trasporto.

COSA FARE, ADESSO?

I pareri dell’Efsa rappresentano una base di partenza che le autorità deputate a gestire il rischio sanitario - dalla Commissione Europea fino agli Stati membri - possono utilizzare per assumere eventualmente decisioni in materia di regolamentazione. Nessun divieto è dunque entrato in vigore con la pubblicazione del documento. Motivo per cui l’E171 potrà essere trovato ancora nei prodotti che troveranno posto sugli scaffali nei prossimi mesi. Con un elemento di conoscenza in più, però, che invita a controllarne l'uso. E, di conseguenza, l'assunzione. Un principio di precauzione doveroso, che potrà essere rafforzato o rimosso soltanto a fronte di nuove evidenze scientifiche.  

 

Fabio Di Todaro
Fabio Di Todaro

Giornalista professionista, lavora come redattore per la Fondazione Umberto Veronesi dal 2013. Laureato all’Università Statale di Milano in scienze biologiche, con indirizzo biologia della nutrizione, è in possesso di un master in giornalismo a stampa, radiotelevisivo e multimediale (Università Cattolica). Messe alle spalle alcune esperienze radiotelevisive, attualmente collabora anche con diverse testate nazionali ed è membro dell'Unione Giornalisti Italiani Scientifici (Ugis).


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