Chiudi
Alimentazione
Fabio Di Todaro
pubblicato il 13-07-2016

Contaminanti (quasi) assenti dai piatti degli italiani



Aggiungi ai preferiti

Registrati/accedi per aggiungere ai preferiti

Su oltre ottomila campioni di frutta, verdura e prodotti per bambini controllati dal Ministero della Salute, trovati contaminanti chimici solo in 29 casi. L’attenzione è sui residui di plastica in pesci, molluschi e crostacei

Contaminanti (quasi) assenti dai piatti degli italiani

È una delle maggiori preoccupazioni dei consumatori, quando si siedono a tavola. Ritrovare nei piatti composti chimici «estranei» alla preparazione degli alimenti è una delle maggiori cause di allarme, anche in chi non è a conoscenza delle eventuali ripercussioni per la salute.

Negli ultimi anni è cresciuta la sensibilità sul tema, come dimostrato dalla diffusa avversione nei confronti degli additivi alimentari, ritenuti responsabili dell’aumento delle allergie e dall’aumento dei consumi di alimenti di origine biologica. Ma il problema rappresenta «un’eccezione piuttosto che la regola». Potrebbe essere descritta così la realtà italiana, dove la quota di prodotti contenenti residui oltre i limiti massimi consentiti dalla legge non supera lo 0,3 per cento.

Il piacere e le paure nel piatto: gli italiani e gli Ogm

POCHI RESIDUI «SGRADITI» NEI PIATTI DEGLI ITALIANI

È questo lo scenario che emerge dal «Controllo ufficiale sui residui di prodotti fitosanitari negli alimenti», indagine effettuata annualmente dal Ministero della Salute per monitorare la presenza di composti non previsti (oltre i valori fissati dalla legge) in prodotti ortofrutticoli, olio, vino, cereali, spezie e semi. Quest’anno, per la prima volta, è stato passato in rassegna anche un campione di baby food, al fine di garantire una maggiore tutela anche delle fasce più vulnerabili di consumatori: come quella composta dai bambini. I dati confermano quelli diffusi un anno fa dall’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare (Efsa), attraverso il primo rapporto sulla contaminazione chimica degli alimenti: la sicurezza del consumatore italiano a tavola è quasi sempre garantita.

Poco meno di novemila i campioni rappresentativi dell’intera gamma passati in rassegna nel corso del 2014, tra i quali soltanto ventinove - come precisato dal Ministero della Salute - presentavano contaminazioni superiori ai limiti massimi consentiti: quasi sempre a opera di insetticidi, acaricidi e fungicidi. Una percentuale di irregolarità contenuta (0,3 per cento), inferiore a quella registrata nel 2013 (0,5 per cento) e pari a un quinto del dato che sintetizza la media delle irregolarità rilevate in Europa (1,5 per cento).

I prodotti che hanno presentato irregolarità superiori o uguali a quelle riscontrate in media nelle rispettive classi alimentari di appartenenza sono stati ciliegie, arance, pesche, mandarini, ravanelli, rape, prezzemolo, funghi, bietole da foglia, carciofi, sedano, cavolfiori, cetrioli, scarola, spinaci, lattuga, fagioli con baccello e pomodori.

FRUTTA: MEGLIO MANGIARLA
CON LA BUCCIA O SENZA?

QUALI SOSTANZE FANNO PAURA?

Pesticidi, quando si parla di frutta e verdura. Antibiotici e ormoni, se si fa riferimento ad alimenti di origine animale. Senza trascurare arsenico (nell’acqua) e mercurio (nei pesci di grossa taglia). Sono queste le sostanze che spaventano maggiormente i consumatori, anche se occorre fare dei distinguo.

Ogni molecola ha un valore soglia oltre il quale - se presente negli alimenti - manifesta la propria dannosità. Ciò vuol dire che una presenza entro questi limiti non compromette il consumo di un alimento. L’ultimo rapporto fornisce un quadro rassicurante.

Il controllo, relativo sia ai prodotti italiani o di altra provenienza destinati ad essere commercializzati nel territorio nazionale che a quelli destinati ad essere esportati in un altro Stato dell'Unione Europea o in uno Stato terzo, ha riguardato tutte le fasi della produzione: trasformazione, immagazzinamento, trasporto, commercio e somministrazione.

Escluso il superamento significativo e diffuso di alcuni valori soglia, rimane il dubbio legato alle esposizioni multiple, su cui la conoscenza - come dichiarato anche dall’Efsa - è agli albori. Piccoli superamenti messi assieme possono provocare un effetto additivo (meno grave) o sinergico (più preoccupante).

Motivo per cui, per rispettare il principio di precauzione, si possono adottare alcuni semplici accorgimenti: avere una dieta varia, lavare con acqua corrente frutta e verdura (se in ammollo meglio con un po' di bicarbonato), sbucciare gli alimenti di origine vegetale e, ove possibile, cuocerli (buttando poi l'acqua).

Leggi lo SPECIALE TOSSINFEZIONI ALIMENTARI della Fondazione Veronesi


TROPPA PLASTICA NEGLI ALIMENTI?

Un problema emergente riguarda la contaminazione di pesci, molluschi e frutti di mare con sostanze derivate dalla plastica. Questa fa il suo ingresso nella catena alimentare e raggiunge quantità significative nei predatori più grandi: tonni, pesci spada e squali (verdesca, smeriglio, spinarolo, palombo e gattuccio).

Una volta che questi vengono consumati a tavola, i frammenti in essi contenuti - si distinguono in microplastiche (da 0,1 a 5000 micrometri) e nanoplastiche (da 0,001 a 0,1 micrometri) - possono arrivare nel nostro organismo, secondo un processo che gli addetti ai lavori definiscono di «accumulo biologico».

Gli effetti, però, sono ancora ignoti: ecco perché non sono mai stati fissati dei limiti di sicurezza per i frammenti di plastica. Quel che si sa, come spiega Peter Hollman, docente di tossicologia all’Università di Wageningen (Olanda) e membro del panel scientifico sui contaminanti nella catena alimentare dell’Efsa, è che «la maggior esposizione può avvenire attraverso il consumo di crostacei e molluschi bivalvi, di cui si mangia l’apparato digerente».

Le microplastiche - che al loro interno possono stoccare anche sostanze cancerogene, come gli idrocarburi policiclici aromatici e i policlorobifenili - si accumulano principalmente nello stomaco e nell’intestino, che non vengono mangiati quando a tavola viene servito un pesce. Tracce sono state ritrovate anche nel miele, nella birra e nel sale da tavola.

Fabio Di Todaro
Fabio Di Todaro

Giornalista professionista, lavora come redattore per la Fondazione Umberto Veronesi dal 2013. Laureato all’Università Statale di Milano in scienze biologiche, con indirizzo biologia della nutrizione, è in possesso di un master in giornalismo a stampa, radiotelevisivo e multimediale (Università Cattolica). Messe alle spalle alcune esperienze radiotelevisive, attualmente collabora anche con diverse testate nazionali ed è membro dell'Unione Giornalisti Italiani Scientifici (Ugis).


Articoli correlati


In evidenza

Torna a inizio pagina