Dal 18 al 20 settembre, a Venezia, si terrà la decima edizione della Conferenza Mondiale The Future of Science, organizzata da Fondazione Umberto Veronesi, Fondazione Silvio Tronchetti Provera e Fondazione Giorgio Cini.
Il tema di quest'anno sarà "The eradication of hunger - L'eradicazione della fame"
L’ha scoperta un americano, ma l’ha scoperta a casa nostra, tra Campania e Calabria, e reclamizzata in tutto il mondo come la via alimentare per la salute e la longevità (lo stesso scopritore è poi morto a 101 anni). Se non si chiama Dieta italiana è perché il biologo Ancel Keys, venuto in Sud Italia al seguito delle truppe alleate, estese poi i suoi studi e vide che quel modo di mangiare era simile in tutte i paesi che si affacciano sul Mediterraneo. E così la “nostra” dieta è stata chiamata Mediterranea e nel 2010 promossa Patrimonio immateriale dell’Umanità dall’Unesco.
Orgogliosi? Certo, lo siamo. Però la stiamo abbandonando. Meglio sarebbe dire “tradendo”, e la crisi economica scoppiata dal 2007 ne ha accentuato sia l’abbandono sia il suo posizionarsi per classi sociali: quella che era un regime alimentare delle popolazioni meridionali povere ora risulta abbandonata proprio da chi ha redditi più bassi. «Perché oggi pesce e frutta e verdure freschi o surgelati, che sono i caposaldi della Dieta mediterranea, costano, specie in città, più di un cibo “spazzatura” o in scatola», spiega la studiosa a capo dell’indagine che ha scoperto questo nostro allontanarci dalla Dieta mediterranea, la professoressa Maria Benedetta Donati, del Dipartimento di epidemiologia e prevenzione dell’Ircss Neuromed di Pozzilli (Isernia), nel Molise.
La ricerca, con gioco ironico sulla regione coinvolta, è stata chiamata dei “Moli-sani” e dal 2005 al 2010 ha coinvolto 25 mila volontari dai 35 anni in su.
A Venezia, alla Conferenza mondiale di The Future of Science su come sradicare la fame nel mondo, la ricercatrice porterà i suoi dati: tra quanti, meno abbienti, hanno abbandonato la Dieta salutare è stata riscontrato un aumento dell’obesità. «E l’obesità è la vera epidemia della nostra epoca, anche nei bambini. Rischiosa per infarti e ictus».
Quel che aveva colpito Keys nel nostro sud erano i numeri decisamente bassi di morti per infarto e, più in generale, di disturbi cardiovascolari e gastrointestinali. Ora una parte dello studio dei “Moli-sani” è stata riservata ai diabetici (duemila gli arruolati) e s’è visto che in chi mangia cibi sani diminuisce la mortalità.
Ma ecco Maria Benedetta Donati aprire un altro fronte, decisamente meno noto: l’effetto preventivo della Dieta mediterranea nei confronti di tumori e delle malattie cerebrali come Alzheimer e Parkinson. «Agisce soprattutto contro i tumori ormono-dipendenti», spiega la scienziata, «vale a dire della prostata nell’uomo, del seno, utero, ovaio nella donna».
Con tutti questi vantaggi è davvero un “delitto” (contro se stessi) tralasciare i menù a base di cerali integrali, legumi, frutta, verdura, olio d’oliva, pesce, frutta secca, vino con moderazione raccomandati dalla famosa Dieta. «Un elemento che spinge a sganciarsi da questo regime è anche il fatto che oggi tutti in famiglia lavorano», dice la Donati, « e non c’è più chi ha tempo di cuocere a lungo zuppe integrali, mettere a bagno i fagioli, mondare le verdure fresche e cucinare davvero per pranzo e cena». Indubbiamente anche la fettina di carne rossa, che è quasi eliminata dalla “piramide” degli alimenti raccomandati, se fatta i ferri è veloce.
Ma Dieta mediterranea è più di una lista di cibi: è un modello culturale, un tempo era abbinata a lavori faticosi, dunque esercizio fisico, era “un’orchestra” si entusiasma la professoressa Donati, di cui stiamo perdendo il “suono” e il senso. «Cominciò nel primo dopoguerra con l’arrivo e l’invasione dei blue-jeans, l’imporsi del modello culturale americano: e da allora si è sempre più espanso in ogni settore. Non è solo questione di McDonalds».