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Alimentazione
Serena Zoli
pubblicato il 16-09-2014

Dieta mediterranea: l’abbiamo inventata, ma la stiamo tradendo



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Una ricerca, presentata nella Conferenza Mondiale di Venezia sulla fame nel mondo, rileva che ci stiamo allontanando dal regime alimentare della tradizione che previene disturbi cardiovascolari, obesità, diabete. La crisi economica è un’aggravante. Eppure questi menù aiutano anche contro certi tumori, Alzheimer e Parkinson

Dieta mediterranea: l’abbiamo inventata, ma la stiamo tradendo

Dal 18 al 20 settembre, a Venezia, si terrà la decima edizione della Conferenza Mondiale The Future of Science, organizzata da Fondazione Umberto Veronesi, Fondazione Silvio Tronchetti Provera e Fondazione Giorgio Cini.
Il tema di quest'anno sarà "The eradication of hunger - L'eradicazione della fame"

Il programma della conferenza

I temi e i relatori

L’ha scoperta un americano, ma l’ha scoperta a casa nostra, tra Campania e Calabria, e reclamizzata in tutto il mondo come la via alimentare per la salute e la longevità (lo stesso scopritore è poi morto a 101 anni). Se non si chiama Dieta italiana è perché il biologo Ancel Keys, venuto in Sud Italia al seguito delle truppe alleate, estese poi i suoi studi e vide che quel modo di mangiare era simile in tutte i paesi che si affacciano sul Mediterraneo. E così la “nostra” dieta è stata chiamata Mediterranea e nel 2010 promossa Patrimonio immateriale dell’Umanità dall’Unesco.

Orgogliosi? Certo, lo siamo. Però la stiamo abbandonando. Meglio sarebbe dire “tradendo”, e la crisi economica scoppiata dal 2007 ne ha accentuato sia l’abbandono sia il suo posizionarsi per classi sociali: quella che era un regime alimentare delle popolazioni meridionali povere ora risulta abbandonata proprio da chi ha redditi più bassi. «Perché oggi pesce e frutta e verdure freschi o surgelati, che sono i caposaldi della Dieta mediterranea, costano, specie in città, più di un cibo “spazzatura” o in scatola», spiega la studiosa a capo dell’indagine che ha scoperto questo nostro allontanarci dalla Dieta mediterranea, la professoressa Maria Benedetta Donati, del Dipartimento di epidemiologia e prevenzione dell’Ircss Neuromed di Pozzilli (Isernia), nel Molise.

La ricerca, con gioco ironico sulla regione coinvolta, è stata chiamata dei “Moli-sani” e dal 2005 al 2010 ha coinvolto 25 mila volontari dai 35 anni in su.

A Venezia, alla Conferenza mondiale di The Future of Science su come sradicare la fame nel mondo, la ricercatrice porterà i suoi dati: tra quanti, meno abbienti, hanno abbandonato la Dieta salutare è stata riscontrato un aumento dell’obesità. «E l’obesità è la vera epidemia della nostra epoca, anche nei bambini. Rischiosa per infarti e ictus».

Quel che aveva colpito Keys nel nostro sud erano i numeri decisamente bassi di morti per infarto e, più in generale, di disturbi cardiovascolari e gastrointestinali. Ora una parte dello studio dei “Moli-sani” è stata riservata ai diabetici (duemila gli arruolati) e s’è visto che in chi mangia cibi sani diminuisce la mortalità.

Ma ecco Maria Benedetta Donati aprire un altro fronte, decisamente meno noto: l’effetto preventivo della Dieta mediterranea nei confronti di tumori e delle malattie cerebrali come Alzheimer e Parkinson. «Agisce soprattutto contro i tumori ormono-dipendenti», spiega la scienziata, «vale a dire della prostata nell’uomo, del seno, utero, ovaio nella donna».

Con tutti questi vantaggi è davvero un “delitto” (contro se stessi) tralasciare i menù a base di cerali integrali, legumi, frutta, verdura, olio d’oliva, pesce, frutta secca, vino con moderazione raccomandati dalla famosa Dieta. «Un elemento che spinge a sganciarsi da questo regime è anche il fatto che oggi tutti in famiglia lavorano», dice la Donati, « e non c’è più chi ha tempo di cuocere a lungo zuppe integrali, mettere a bagno i fagioli, mondare le verdure fresche e cucinare davvero per pranzo e cena». Indubbiamente anche la fettina di carne rossa, che è quasi eliminata dalla “piramide” degli alimenti raccomandati, se fatta i ferri è veloce.

Ma Dieta mediterranea è più di una lista di cibi: è un modello culturale, un tempo era abbinata a lavori faticosi, dunque esercizio fisico, era “un’orchestra” si entusiasma la professoressa Donati, di cui stiamo perdendo il “suono” e il senso. «Cominciò nel primo dopoguerra con l’arrivo e l’invasione dei blue-jeans, l’imporsi del modello culturale americano: e da allora si è sempre più espanso in ogni settore. Non è solo questione di McDonalds».

Serena Zoli
Serena Zoli

Giornalista professionista, per 30 anni al Corriere della Sera, autrice del libro “E liberaci dal male oscuro - Che cos’è la depressione e come se ne esce”.


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