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Alimentazione
Fabio Di Todaro
pubblicato il 12-11-2019

La dieta buona e sostenibile? Un'utopia per 1.6 miliardi di persone



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La dieta «Eat-Lancet», proposta come modello per salvaguardare la salute e l'ambiente, non sarebbe sostenibile per buona parte dei Paesi in via di sviluppo

La dieta buona e sostenibile? Un'utopia per 1.6 miliardi di persone

Secondo gli esperti, potrebbe essere la panacea per i mali delle persone (malnutrizione, obesità) e dell'ambiente (perdita di biodiversità, emissioni di gas serra, degradazione del suolo e spreco alimentare). A gennaio la dieta «Eat-Lancet» ha conquistato le prime pagine dei giornali per le potenzialità di soddisfare le esigenze dietetiche e di sostenibilità. Tutto ciò in linea teorica, perché l'applicazione dello schema alimentare non è alla portata di tutti. Per almeno 1.6 miliardi di abitanti nei Paesi in via di sviluppo, infatti, «i vincoli di reddito e di prezzo rendono questa dieta insostenibile», è il sunto dell'analisi economica condotta da un gruppo di ricercatori della Tufts University (Boston) e dell'International Food Policy Research Institute (Washington) e pubblicata sulla rivista The Lancet Global Health


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DIETA «EAT-LANCET»: DI COSA SI TRATTA?

Per salvare noi e permettere al Pianeta di sfamare i 10 miliardi di individui attesi per il 2050, occorrerebbe raddoppiare i consumi di frutta e verdura, leguminoci e dimezzare quelli di zuccheri e carni rosse. Il documento presentato a gennaio - in calce le firme di 37 esperti di nutrizione e sostenibilità provenienti da università di tutto il mondo, oltre che dalla Fao e dall’Organizzazione Mondiale della Sanità - puntava a essere un riferimento globale per proporre una dieta universale di riferimento basata su criteri scientifici e potenzialmente in grado di ridurre il numero dei morti che si registra ogni anno a causa di malattie legate alle correnti abitudini alimentari. La dieta proposta prevede l’assunzione di 2.500 chilocalorie al giorno: dando ampio spazio ai cereali integrali (230 grammi), alla frutta e alla verdura (2-600 grammi), al latte e ai derivati (200-250 grammi) e ai legumi (75 grammi) e meno agli zuccheri (31 grammi), alla carne di pollo (29 grammi), al pesce (28 grammi), alle carni rosse e alle uova (14 grammi). Condimenti consigliati gli oli vegetali: extravergine di oliva o di colza. Chiari i riferimenti alla dieta mediterranea, considerata negli ultimi anni la scelta più efficace da adottare anche per la salvaguardia dell'ambiente.

COME QUEL CHE MANGIAMO
PUO' RENDERCI SANI O MALATI? 

UNO SCHEMA PER PROTEGGERE L'AMBIENTE

Il sistema agro-alimentare dovrebbe essere in grado di proteggere la biodiversità, fornendo al contempo cibo sufficiente a tutte le generazioni presenti e future. Al momento, invece è considerato una delle più grandi minacce per la natura e per il clima, nonostante miliardi di persone siano ancora malnutrite. Oltre a cambiare i consumi, riducendo gli sprechi del 50 per cento, i promotori della dieta «planetaria» avevano fissato dei limiti nell’utilizzo di terra e acqua e indicato una grande varietà di aree di intervento per raggiungere questi risultati: dall’educazione all’informazione, dal miglioramento dell’etichettatura all'introduzione di tasse sul cibo. Fino al sostegno economico per incentivare la produzione di alimenti sani. Misure articolate che prevederebbero il varo di un'azione articolata tra governi, industrie e società. La commissione «Eat-Lancet» ha dimostrato che, coinvolgendo i tre i pilastri del sistema agro-alimentare (produzione, dieta, perdite e sprechi), è possibile fornire cibo sano per una popolazione in crescita secondo quelle che sono le stime relative al 2050.  


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UNA DIETA NON ALLA PORTATA DI TUTTI

Nessun dubbio sul valore delle indicazioni riportate nello schema proposto. Ma è la sua sostenibilità economica a lasciare perplessi. I contenuti non sembrano infatti adottabili nella pratica da quasi un quinto della popolazione mondiale. A rimanere fuori, immaginando che la dieta possa essere sposata su larga scala a partire da domani, sarebbe gran parte della popolazione dei Paesi dell'Africa subsahariana e dell'Asia orientale. Ovvero coloro che da sempre pagano il prezzo più alto della malnutrizione e che, da qualche anno, hanno iniziato a prendere confidenza anche con risvolti prima peculiari dei Paesi occidentali: come il sovrappeso e l'obesità. Confrontando i prezzi di 744 prodotti rilevati nel 2011 e il fabbisogno nutrizionale degli abitanti di 159 nazioni, nel nuovo studio gli esperti hanno stimato che a ogni persona servirebbero quasi 3 dollari al giorno per mangiare rispettando la persona e l'ambiente. Una cifra corrispondente all'89.1 per cento del reddito pro-capite giornaliero di una famiglia delle due aree considerate. Nessun problema invece nei Paesi ad alto reddito, dove la scelta di seguire la dieta «planetaria» inciderebbe per il 6 per cento del reddito pro capite. Una quota che, secondo gli esperti, «è spesso inferiore a quanto oggi molti consumatori spendono per l'acquisto di cibo».

VERSO UNA PIU' EQUA REDISTRIBUZIONE DELLE RISORSE

Per «avvicinare» le esigenze di quelli che sembrano essere abitanti di due pianeti diversi, secondo gli autori dell'ultima ricerca, nei Paesi in via di sviluppo occorrerebbe aumentare gli stipendi, abbassare i prezzi degli alimenti di origine vegetale e incrementare la produttività del suolo. Una leggera revisione della dieta «Eat-Lancet» potrebbe inoltre renderla più accessibile. Questo perché «lo schema proposto risulta mediamente più costoso del 60 per cento rispetto a una dieta che contenga gli alimenti necessari per essere considerata comunque adeguata». A far schizzare in alto la borsa della spesa nei Paesi in via di sviluppo è il costo degli alimenti di origine animale. Per soddisfare le esigenze di tutti e incentivare «una crescita economica inclusiva che permetta alle famiglie povere di acquistare alimenti più nutrienti», bisognerebbe «spostare» una quota dei consumi di carne dai Paesi più ricchi (dove i redditi sono più alti e il costo degli alimenti di origine animale risulta inferiore) a quelli con meno possibilità. Oltre a intervenire sui prezzi, secondo gli esperti, servirebbero «investimenti mirati al miglioramento delle conoscenze nutrizionali e delle scelte che si compiono nel momento in cui si fa la spesa». 

Fabio Di Todaro
Fabio Di Todaro

Giornalista professionista, lavora come redattore per la Fondazione Umberto Veronesi dal 2013. Laureato all’Università Statale di Milano in scienze biologiche, con indirizzo biologia della nutrizione, è in possesso di un master in giornalismo a stampa, radiotelevisivo e multimediale (Università Cattolica). Messe alle spalle alcune esperienze radiotelevisive, attualmente collabora anche con diverse testate nazionali ed è membro dell'Unione Giornalisti Italiani Scientifici (Ugis).


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