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Alimentazione
Donatella Barus
pubblicato il 04-07-2011

Polenta, dalla tradizione alle biotecnologie



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Per noi è un cibo da festa, ma per i nostri bisnonni era spesso l’unico alimento. Associata a malattie devastanti come la pellagra, oggi il suo primo ingrediente, il mais, è protagonista della ricerca per il cuore e contro i tumori

Polenta, dalla tradizione alle biotecnologie
Oggi cibo da festa, in passato fu spesso l'unico alimento disponibile. Associata a malattie devastanti come la pellagra, oggi il suo primo ingrediente, il mais, è protagonista della ricerca per il cuore e contro i tumori

Anche se i «polentoni» per definizione stanno nell’Italia del nord, in realtà la polenta, pur se molto diversa da come la conosciamo, ha riempito le pancia dell’uomo nel corso della sua storia nei cinque continenti: cereali macinati e cotti con l’acqua costituivano un modo semplice per mettere insieme un pasto calorico.

IL MAIS - Ci vuole la scoperta dell’America per  portare in Italia il mais e la farina gialla che dà alla polenta l’aspetto oggi più noto, intorno alla metà del 1500. La pianta si diffonde rapidamente, anche perché è più facilmente coltivabile e ha una resa maggiore rispetto a grano, orzo e segale. Se oggi la polenta è un classico della cucina d’autunno e delle vacanze in montagna,  almeno nelle regioni settentrionali, per molto tempo ha invece rappresentato il nutrimento principale delle popolazioni rurali.

CIBO POVERO - Chi ha letto Beppe Fenoglio se lo ricorderà: «A mezzogiorno come a cena passavano quasi sempre polenta, da insaporire strofinandola a turno contro un'acciuga che pendeva per un filo dalla travata» (La Malora). Nella prima metà del ventesimo secolo la polenta sostituisce il pane sulla tavola dei contadini. Il grano, infatti, ha un prezzo molto più elevato di quello del granturco (o mais) ed è quindi preferibile venderlo, lasciando al mais il compito di scacciare la fame. Non a caso è in questi anni che si scioglie il mistero della pellagra, una malattia diffusa in tutto il mondo, dovuta alla carenza di vitamine del gruppo B, evidente in popolazioni che si nutrivano quasi esclusivamente di mais. Con il dopoguerra, il miglioramento delle condizioni di vita dei contadini italiani e l’introduzione di una dieta variata, la pellagra diventa un ricordo dei nonni e la polenta un piatto da mangiare per gusto e non solo per necessità.

DALLA PELLAGRA ALLE AFLATOSSINE - Oggi chi vuole preparare la polenta dispone di una varietà di farine, macinate a pietra, integrale o semintegrale, bramata, più grossolana, o fioretto, più fine, oltre al granturco si recuperano gusti più antichi, come la farina di grano saraceno, di castagne, di fagioli. La si porta in tavola con carni, sughi, formaggi, marmellate, non ci si preoccupa più della pellagra, ma dei parassiti e delle infezioni fungine. Il granturco, in particolare, è soggetto all’attacco di un insetto, chiamato piralide, che favorisce nella pianta lo sviluppo di aflatossine, micotossine (cioè prodotte da microscopici funghi) e note sostanze cancerogene, che possono essere presenti in molte altre coltivazioni, come la vite, l’olivo, i peperoni, in alimenti come spezie, frutta secca, e poiché il mais è spesso usato come mangime per gli animali, possono ad esempio trovarsi nel latte vaccino.

BIOTECNOLOGIE - Ora il problema è limitato grazie ai controlli effettuati sugli alimenti, ma fra le possibili soluzioni prospettate vi è anche quella delle biotecnologie: grazie a tecniche di ingegneria genetica, si è creata una qualità di granturco OGM, il mais Bt, che resiste al parassita senza bisogno di insetticidi. Il ricorso alle biotecnologie preoccupa molti consumatori ed è oggetto di un intenso dibattito a livello internazionale. Bene parlarne, ma senza paure e preconcetti, ha auspicato Umberto Veronesi: «Non dobbiamo terrorizzarci nell'avvicinarci agli alimenti più semplici come il latte o il mais. Auguriamoci piuttosto che, al di là delle faziose polemiche createsi attorno a questo tema, il dibattito serva ad attirare l'attenzione delle Istituzioni competenti perché agevoli e promuova la ricerca scientifica, soprattutto e prioritariamente nelle aree in cui essa ha dimostrato di poter migliorare la nostra vita. La genetica applicata alla produzione alimentare è una di queste».

QUELLO BLU FA BENE AL CUORE - Intanto, il mais continua ad essere nel mirino della ricerca scientifica. E’ di pochi anni fa uno studio condotto dall’Università di Milano e pubblicato sul Journal of Nutrition, che ha recuperato una varietà di mais blu e ne ha dimostrato in laboratorio i benefici per il cuore. Non si tratta di un OGM, ma di una qualità selezionata sin dall’epoca degli Inca, particolarmente ricca di antociani, antiossidanti presenti in vari tipi di frutta e verdura.

 

Donatella Barus
Donatella Barus

Giornalista professionista, dirige dal 2014 il Magazine della Fondazione Umberto Veronesi. E’ laureata in Scienze della Comunicazione, ha un Master in comunicazione. Dal 2003 al 2010 ha lavorato alla realizzazione e redazione di Sportello cancro (Corriere della Sera e Fondazione Veronesi). Ha scritto insieme a Roberto Boffi il manuale “Spegnila!” (BUR Rizzoli), dedicato a chi vuole smettere di fumare.


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