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Alimentazione
Fabio Di Todaro
pubblicato il 20-05-2015

Se la “chimica” nel piatto è un’eccezione e non la regola



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Secondo un rapporto dell’Efsa solo l’1,5% degli alimenti presenta contaminazioni oltre i limiti di legge. A preoccupare sono pesticidi (nei vegetali), ormoni (carne) e arsenico (acqua e riso). Alcuni consigli per ridurre ulteriormente il rischio

Se la “chimica” nel piatto è un’eccezione e non la regola

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La presenza di composti chimici “estranei” nel cibo che portiamo in tavola rappresenta una delle preoccupazioni più ricorrenti tra i consumatori. Ma il problema, in realtà, rappresenta «un’eccezione piuttosto che la regola». È quanto ha messo nero su bianco l’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare (Efsa) nel primo rapporto sulla contaminazione chimica degli alimenti, redatto utilizzando i dati prodotti dai Paesi membri nel corso delle attività di controllo degli alimenti.

 

SOSTANZE A RISCHIO

Se è vero che tutti i nutrienti sono riconducibili al mondo della chimica e contribuiscono alla definizione di una dieta equilibrata, lo è altrettanto la constatazione che alle volte nel piatto finiscono composti “sgraditi”. È il caso dei pesticidi, quando si parla di frutta e verdura. O degli antibiotici e degli ormoni, negli allevamenti animali. Fino al mercurio nei pesci di più grossa taglia e all’arsenico nell’acqua. Sono le proprietà tossicologiche di questi elementi a mettere più spesso in agitazione i consumatori, anche se vanno fatti dei distinguo. Ogni molecola infatti ha un valore soglia oltre il quale - se presente negli alimenti - manifesta la propria dannosità. Ciò vuol dire che una presenza entro questi limiti non compromette il consumo di un alimento. Il rapporto, tutto sommato, fornisce un quadro rassicurante. Le contaminazioni chimiche oltre i limiti ufficiali rappresentano una minima parte (1,5%) del totale e non sono nemmeno troppo diffuse, se il 54,6% degli alimenti presi in esame è risultato esente da contaminanti.

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L’EFFETTO “MULTIPLO” DEI PESTICIDI

La parte più corposa della pubblicazione è dedicata alla rilevazione di pesticidi in alimenti di origine vegetale, il 97,4% dei quali presentava valori entro i limiti. Tra le specie più esposte alla contaminazione il frutto della passione, il basilico, il prezzemolo, le rape, la papaya, il melograno, il litchi, i piselli, i peperoni e i pomodori. Quanto alle produzioni biologiche, soltanto lo 0,8% di quelle campionate ha rivelato valori di pesticidi oltre i livelli massimi di residui. Si è trattato per lo più di inquinanti persistenti nell’ambiente e di pesticidi autorizzati dalle procedure di coltivazione organica.

Relativamente sicuri si sono dimostrati gli alimenti di origine animale e quelli destinati all’infanzia: nell’88% e nel 92% dei casi, rispettivamente, contenevano tracce di pesticidi entro i livelli massimi di residui. Più preoccupante, invece, il dato relativo ai residui multipli, riscontrati nel 27,3% del totale dei campioni portati in laboratorio. Esposti soprattutto le foglie di tè, i peperoni e i fagioli con baccello. Sugli effetti di questi “cocktail” c’è ancora poca conoscenza. Due i possibili scenari: il meno grave riguarda l’effetto additivo, il peggiore rimanda alla sinergia tra i composti. Risultato finale? Un danno superiore alla somma dei singoli. Per proteggersi, nel frattempo, sono utili alcuni accorgimenti: come avere una dieta il più possibile varia, lavare con acqua corrente frutta e verdura (se in ammollo meglio con un po' di bicarbonato), sbucciare gli alimenti di origine vegetale e, ove possibile, cuocerli (buttando poi l'acqua).

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INDAGINI SULLA CARNE

Anche dalle analisi condotte per rilevare la presenza di farmaci in animali (terrestri e marini) da allevamento sono emerse infrazioni nei limiti. Lo scandalo della carne di cavallo - utilizzata soprattutto per i ripieni al posto di quella di manzo - scoppiato nel 2013 ha fatto crescere la sensibilità su questo tema, ma i dati forniti dall’Efsa sono rassicuranti. A conferma di una tendenza che viaggia al ribasso dal 2007, soltanto mille dei campioni analizzati - pari allo 0,25% del totale - si sono rivelati non conformi alla commercializzazione. Tre le irregolarità più di frequente riscontrate: la presenza di metalli pesanti (cadmio) in eccesso nella carne bovina, ovina ed equina; di tracce di antibiotici e sostanze vietate  come il clenbuterolo, utilizzato per promuovere la crescita animale, tra i bovini. Antibiotici e anticoccidi oltre i limiti sono stati misurati nello 0,08% dei campioni prelevati da allevamenti avicoli.

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ATTENZIONE ALL’ARSENICO

L’ultima parte del dossier è riservata all’arsenico, la cui assunzione in forma inorganica - a lungo termine - risulta associata da diversi studi epidemiologici a lesioni cutanee, malattie cardiovascolari e diverse forme di cancro (polmone, pelle, vescica). Il cibo e l’acqua potabile rappresentano la principale fonte di esposizione al semimetallo. Dall’analisi è emerso come gli alimenti più esposti alla contaminazione sono l’acqua (ma quella potabile presentava eccezioni soltanto nel 2% dei campioni), i prodotti a base di frumento, il latte e i derivati. Ma soprattutto il riso, in particolare integrale,  per cui gli esperti suggeriscono di adottare due accorgimenti, al fine di ridurre gli effetti della contaminazione: il risciacquo prima della cottura, preferibilmente attraverso bollitura (e non a vapore).


@fabioditodaro

Fabio Di Todaro
Fabio Di Todaro

Giornalista professionista, lavora come redattore per la Fondazione Umberto Veronesi dal 2013. Laureato all’Università Statale di Milano in scienze biologiche, con indirizzo biologia della nutrizione, è in possesso di un master in giornalismo a stampa, radiotelevisivo e multimediale (Università Cattolica). Messe alle spalle alcune esperienze radiotelevisive, attualmente collabora anche con diverse testate nazionali ed è membro dell'Unione Giornalisti Italiani Scientifici (Ugis).


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