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Edoardo Stucchi
pubblicato il 03-06-2013

Ecco perché la vitamina D contribuisce alla cura della tubercolosi



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Recenti studi hanno confermato ciò che empiricamente veniva fatto nella cura della tubercolosi, spostando i malati in zone montane e soleggiate. Ma i vantaggi di questa sostanza possono essere ancora maggiori

Ecco perché la vitamina D contribuisce alla cura della tubercolosi

Recenti studi hanno confermato ciò che empiricamente veniva fatto nella cura della tubercolosi, spostando i malati in zone montane e soleggiate. Ma i vantaggi di questa sostanza possono essere ancora maggiori

La vitamina D cura, oltre all'osteoporosi, anche la tubercolosi. Lo stabilisce uno studio inglese della Queen Mary University, che ha coinvolto 95 pazienti affetti da tubercolosi e li ha sottoposti alla terapia antibiotica standard, di cui 44 trattati anche con vitamina D ad alto dosaggio e i restanti 51 con placebo per le prime 8 settimane di trattamento. Il batterio responsabile della Tbc è scomparso prima nei pazienti trattati con la vitamina D rispetto agli altri: mediamente, in 23 giorni contro 36 nel gruppo placebo. Con gli stessi risultati è stato concluso uno studio su 10.000 pazienti asiatici e durato tre anni. Anche il Journal of Clinical Endocrinology & Metabolism, organo ufficiale dell’Endocrine Society del nord-America, sostiene che il mantenimento di livelli adeguati di vitamina D potrebbe sortire benefici sulla funzione polmonare. Ma vediamo perché la scoperta assume un ruolo importante.

LA CURA DEL SOLE -  Per decenni, i malati di Tbc, prima che fossero disponibili gli antibiotici, venivano mandati in luoghi esposti al sole per sottoporsi a elioterapia, senza conoscere il perchè delle guarigioni. Ora, per la prima volta, lo studio della Queen Mary University di Londra evidenzia che la vitamina D ad alto dosaggio, somministrata in aggiunta alla terapia antibiotica, aiuta i pazienti a recuperare più rapidamente grazie a una migliore risposta  immunitaria. «Fino a pochi anni fa, infatti, si credeva che fosse l’abbinamento sole, aria pura e frizzante della montagna – spiega Giancarlo Isaia, geriatra ed esperto di malattie metaboliche dell’osso all’università di Torino delle Molinette – a produrre le guarigioni, ma oggi c’è la conferma che il sole metabolizzando la vitamina, aumenta la capacità immunitaria dell’organismo, tanto da contribuire a debellare le infezioni da Tbc».

I GIUSTI LIVELLI - Da molto tempo è noto che la vitamina D, che è sintetizzata per l’80% dall’irradiazione della pelle da parte della luce solare e per il 20% dall’alimentazione, è assai utile per la salute delle ossa e dei muscoli. Non tutti sanno, invece, che è stato recentemente evidenziato un positivo effetto della vitamina D nella prevenzione di numerose malattie degenerative, come alcuni tipi di tumore (mammella, prostata, colon), nelle malattie cardiovascolari (infarto, ictus), patologie neurologiche come la demenza ed il morbo Parkinson, nel diabete mellito ed anche in alcune malattie autoimmuni ed infettive. Le linee guida dell’OMS hanno, infatti, stabilito che l’individuo deve avere nel sangue un livello di vitamina D pari a 30 nanogrammi per millilitro di sangue, mentre nel 75% della popolazione italiana le quantità stanno molto al di sotto.

COME SOMMINISTRARLA -  La carenza di vitamina D può essere modificata, quando se ne vede la necessità, con l’assunzione della sostanza per bocca o per iniezioni fino al raggiungimento del livello ottimale. Dall’alimentazione, purtroppo, gli apporti di vitamina D sono scarsi (crostacei, cibi grassi, olio di fegato di merluzzo) e molti Paesi nord europei hanno deciso di fortificare alcuni alimenti con vitamina D. Il rischio di superare il livello base di 30 nanogrammi non esiste perché anche 50-60 nanogrammi per millilitro non sono pericolosi e una volta smessa l’assunzione, i livelli si abbassano.

 


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