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Fabio Di Todaro
pubblicato il 29-01-2018

Sclerodermia, nuova opportunità di cura col trapianto di staminali?



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Il trapianto di staminali emopoietiche più efficace del trattamento con ciclofosfamide nelle forme gravi di sclerodermia

Sclerodermia, nuova opportunità di cura col trapianto di staminali?

I numeri della sperimentazione - 75 i pazienti arruolati, in tutto - sono ancora esigui per sfregarsi le mani. Ma la prospettiva tracciata - curare le forme più severe di sclerodermia ricorrendo al trapianto di cellule staminali autologhe - è comunque incoraggiante, dal momento che «si tratta di una malattia autoimmune difficile da trattare e debilitante per il paziente», per dirla con Anthony Fauci, direttore dell'Istituto Americano per lo studio delle allergie e delle malattie infettive che ha promosso lo studio pubblicato sul New England Journal of Medicine, da cui l'ipotesi affascinante di «considerare i trapianti di cellule staminali come un potenziale trattamento per la malattia».


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La malattia è caratterizzata da un indurimento della pelle e dei tessuti connettivi, che nelle forme più avanzate può arrivare a colpire anche gli organi interni: tra cui i polmoni e il cuore, da qui il rischio di conseguenze gravi. Le opzioni di trattamento sono al momento limitate ai farmaci antireumatici e immunosoppressori (ciclofosfamide) per aiutare a gestire i sintomi, ma nessuno di questi ha dimostrato di fornire benefici a lungo termine. Da qui l'idea venuta ai ricercatori di mettere alla prova il trapianto di cellule staminali autologhe, che è un'ipotesi considerata a livello sperimentale ormai da vent'anni per due malattie autoimmuni gravi: la sclerodermia e l'artrite reumatoide. Nei primi pazienti trapiantati - in uno su quattro - è stata osservata una stabilizzazione delle condizioni polmonari e un miglioramento delle lesioni ulcerative intrattabili. Ma nessuno di questi risultati - sono due gli studi in cui sono state finora valutate la sicurezza e l'efficacia del trapianto - ha determinato un cambiamento nella pratica clinica

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Così, al fine di valutare le prospettive aperte da questo scenario, i ricercatori hanno selezionato 75 pazienti affetti da una sclerodermia grave (già diffusa a livello polmonare o renale) e li hanno suddivisi in due gruppi: uno trattato secondo standard (con ciclofosfamide), l'altro sottoposto al trapianto. Il follow-up è stato effettuato sei anni più tardi e i risultati sono stati favorevoli al trapianto: con l'86 per cento di pazienti vivi, rispetto al 51 registrato nel gruppo di pazienti trattati con i farmaci immunosoppressori. Il miglioramento delle condizioni è stato misurato attraverso tre parametri: lo «skin score» (il grado di coinvolgimento cutaneo dalla malattia), l'attività della sclerodermia e il coinvolgimento degli organi interni. Un risultato che indica «come il trapianto comporti maggiori rischi a breve termine, ma nel tempo offra risultati più incoraggianti rispetto al trattamento farmacologico», afferma Keith Sullivan, oncologo specializzato in terapie cellulari alla Duke University e prima firma della pubblicazione. «Speriamo che questo lavoro aiuti a definire un nuovo standard di cura per questa grave malattia autoimmune, potenzialmente letale». Va comunque detto che, oltre al decesso di sette pazienti (rispetto ai 14 deceduti nel gruppo trattato con i farmaci), tra i trapiantati sono stati registrati anche effetti collaterali, come prevedibile: anemie e aumento delle infezioni (le più gravi provocate dal virus varicella zoster, responsabile della varicella e dell'herpes zoster). Condizioni considerate dagli autori dello studio comunque gestibili e di portata inferiore, rispetto ai risultati ottenuti nella gestione della malattia.


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 COME SI REALIZZA IL TRAPIANTO?

La procedura del trapianto autologo prevede la raccolta delle cellule staminali emopoietiche dal paziente, dopo la quale la persona viene trattata con chemio e radioterapia, per eliminare il midollo osseo: all'interno del quale vengono prodotte le cellule (anticorpi) responsabili della risposta autoimmune. Questa è la fase più delicata, dal momento che comporta un elevato rischio infettivo per il paziente. Soltanto dopo le cellule staminali manipolate in laboratorio al fine di eliminare il difetto responsabile della risposta autoimune vengono reinfuse, dopodiché si attende la ricostituzione del midollo osseo: da cui la ripresa della produzione di cellule del sistema immunitario «normali». 

 


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