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Fabio Di Todaro
pubblicato il 24-03-2017

Tubercolosi: a preoccupare sono le co-infezioni con Hiv



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Nella Giornata Mondiale dedicata alla tubercolosi, gli esperti fanno notare che i casi associati all'Hiv sono in aumento. E sono anche quelli che rispondono meno alle terapie

Tubercolosi: a preoccupare sono le co-infezioni con Hiv

Complessivamente, il numero delle infezioni è in calo. Così come quello dei decessi. Ma analizzando il trend della tubercolosi (10,4 milioni i nuovi casi diagnosticati nel 2015) si nota che negli ultimi anni entrambe le flessioni non riguardano alcune categorie di persone, come gli immigrati, i carcerati e i sieropositivi. Anzi: in questi sottogruppi di popolazione la diffusione dell’infezione è aumentata del 40 per cento negli ultimi cinque anni. Dati che, nella giornata mondiale dedicata alla tubercolosi, hanno spinto gli esperti del Centro Europeo per la Prevenzione e il Controllo delle Malattie (Ecdc) e l’ufficio regionale europeo dell’Organizzazione Mondiale della Sanità ad accendere i riflettori su questi pazienti più vulnerabili.
 

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TUBERCOLOSI E HIV

Sono simili casi, assieme a quelli resistenti alle terapie, a «mettere a rischio l’obiettivo fissato per il 2030: ovvero quello di porre fine all’epidemia di tubercolosi», afferma Zsuzsanna Jakab, direttore dell'ufficio regionale per l'Europa dell'Organizzazione mondiale della Sanità. «Peraltro un terzo di questi pazienti ignora di essere stato infettato sia dall’Hiv sia dal batterio responsabile della tubercolosi. Questo aspetto favorisce la diffusione di entrambe le malattie». Nei pazienti coinfetti, «il tasso di risposta alle terapie è inferiore all’85 per cento che misuriamo invece nel resto della popolazione», aggiunge Andrea Ammon, direttore dell’Ecdc. Peraltro la tubercolosi fa crescere sensibilmente il rischio di un decorso negativo dell’infezione da Hiv. Le stime ufficiali dicono che in Europa siano 27.000 i pazienti sieropositivi che sviluppano la tubercolosi. Di questi, però, soltanto 18.000 hanno ricevuto una diagnosi corretta e appena 5.800 hanno iniziato il trattamento con gli antiretrovirali.

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TUBERCOLOSI E STRANIERI

Meritevole d’attenzione è anche la situazione riguardante i migranti, che in Italia ogni anno corrispondono alla metà dei nuovi infetti. Nel rapporto si legge infatti che «i casi di tubercolosi calano a un ritmo più lento tra i residenti in Unione Europea di origine straniera rispetto alla popolazione locale». Come fa sapere la Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali (Simit), i cittadini stranieri più coinvolti sono quelli che provengono da Paesi ad alta endemia: dall'Africa maghrebina ed equatoriale ai Paesi dell'Est quali Romania e Moldavia. E c’è anche una sensibile differenza di età media, tra gli italiani ammalati (ultrasessantenni) e gli stranieri (20-40 anni). Il delta è semplice da spiegare. «L'emigrato proveniente da Paesi ad alta endemia ha un coefficiente di rischio molto più alto e tende ad ammalarsi prima, anche a causa di una qualità di vita di prassi inferiore», dichiara Gaetano Filice, direttore dell'unità di malattie infettive del Policlinico San Matteo di Pavia. Per questo motivo, a riguardo, gli esperti invocano «interventi mirati per la diagnosi precoce e la cura di questi pazienti». Come effettuarli, le istituzioni sanitarie lo spiegano nelle linee guida per il controllo della tubercolosi tra gli immigrati in Italia, pubblicate a febbraio del 2018. In estrema sintesi: in Italia non esiste alcun allarme tubercolosi legato agli immigrati. E comunque, quando i casi si presentano, il Servizio Sanitario Nazionale ha tutti gli strumenti per porvi rimedio. Tutt'al più a preoccupare sono i casi di tubercolosi multiresistente ai farmaci. Di quelli trattati nel 2015, infatti, soltanto la metà ha risposto ai trattamenti rispetto al 75 per cento atteso.


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LA TUBERCOLOSI NEI BAMBINI

La tubercolosi può colpire anche i bambini. Nel 2015, rispetto al totale ammontante a 10,4 milioni di diagnosi, 1,2 hanno riguardato i più piccoli. Con la scoperta dei farmaci antitubercolari, come documentato anche da una metanalisi pubblicata su The Lancet Infectious Diseases, la mortalità infantile è calata. Ma è chiaro che contrarre il patogeno nei primi cinque anni di vita espone il piccolo paziente a un rischio più alto del previsto. Anche in questo caso «la mortalità risulta più elevata nelle aree in cui è endemica anche l’Hiv - chiosa Laura Lancella, infettivologa dell’ospedale pediatrico Bambin Gesù di Roma -. Scoprire presto la tubercolosi in un bambino accresce le possibilità di cura e soprattutto permette di ricercare l’infezione tra coloro che se ne prendono cura. Sono gli adulti, infatti, a diffondere la malattia. I bambini non sono quasi mai contagiosi».



Fabio Di Todaro
Fabio Di Todaro

Giornalista professionista, lavora come redattore per la Fondazione Umberto Veronesi dal 2013. Laureato all’Università Statale di Milano in scienze biologiche, con indirizzo biologia della nutrizione, è in possesso di un master in giornalismo a stampa, radiotelevisivo e multimediale (Università Cattolica). Messe alle spalle alcune esperienze radiotelevisive, attualmente collabora anche con diverse testate nazionali ed è membro dell'Unione Giornalisti Italiani Scientifici (Ugis).


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