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HIV: il taglio agli aiuti potrebbe causare 11 milioni di nuove infezioni entro il 2030

La brusca interruzione dei fondi USA rischia di annullare decenni di progressi a livello globale nella lotta all’HIV, aggravando l’emergenza sanitaria nei contesti più fragili

A partire dal gennaio 2025, l’amministrazione Trump ha inferto dei duri colpi ai programmi di ricerca sull’HIV e agli aiuti internazionali, con una brusca interruzione della maggior parte dei finanziamenti da parte del governo statunitense. Una delle ultime notizie è la cancellazione di un programma da 258 milioni di dollari che aveva svolto un ruolo fondamentale nella ricerca di un vaccino, destinati alla Duke University e allo Scripps Research Institute, preceduta dal blocco dei finanziamenti al Piano di Emergenza del Presidente per la Lotta all’AIDS (PEPFAR) e all’Agenzia Statunitense per lo Sviluppo Internazionale (USAID). Recenti studi hanno stimato che i decessi globali per HIV/AIDS e le nuove infezioni potrebbero tornare a livelli mai visti dall’inizio del secolo a causa dei tagli agli aiuti internazionali, mettendo a rischio anni di progressi. Infatti, gli Stati Uniti sono stati, sin dall’inizio degli anni 2000, i principali promotori e finanziatori della risposta globale all’HIV, in particolare con la creazione del programma PEPFAR, durante l’amministrazione Bush. Il disimpegno di Washington invia, inoltre, un messaggio di disinteresse e rischia di legittimare la riduzione degli sforzi anche da parte di altri donatori storici. Abbiamo parlato di questo preoccupante scenario con la Dott.ssa Barbara Ensoli, Direttrice del Centro nazionale per la ricerca su HIV/AIDS dell’Istituto Superiore di Sanità.

IL PREZZO DEI TAGLI

Uno studio pubblicato recentemente sulla rivista The Lancet HIV ha stimato che, entro il 2030, nei Paesi a basso e medio reddito potrebbero verificarsi da 4,4 a 10,8 milioni di nuove infezioni da HIV e da 770.000 a 2,9 milioni di decessi correlati all’HIV, sia tra gli adulti che tra i bambini. Anche nelle stime più ottimistiche, si prevede un aumento di quasi il 50% delle nuove infezioni nei prossimi cinque anni nell’Africa sub-sahariana, mentre è del tutto plausibile un incremento compreso tra il 127,3% e il 283,3%. Poiché si prevede che la fornitura della terapia antiretrovirale (ART) venga comunque mantenuta come prioritaria, l’impatto sui decessi potrebbe essere inferiore, ma è comunque plausibile che essi aumentino di circa sette volte nei Paesi che attualmente dipendono fortemente dai fondi PEPFAR (il più grande programma statunitense per la lotta all’HIV/AIDS). Di conseguenza, esiste un reale rischio che tutti i progressi ottenuti dal 2000 a oggi vengano annullati: «Le conseguenze concrete per le popolazioni più vulnerabili nei Paesi a basso reddito, se questi tagli diventassero strutturali, sarebbero molto gravi. Innanzitutto, l’interruzione delle cure potrebbe far aumentare la mortalità. Poi ci sarebbe una maggiore trasmissione del virus, soprattutto in assenza di campagne di prevenzione e distribuzione di profilattici o PrEP. Verrebbero colpiti in modo particolare i gruppi già emarginati: persone LGBT+, lavoratrici del sesso, tossicodipendenti. Ma anche gli adolescenti, in particolare in zone rurali e poveri sobborghi urbani. Basti pensare che le giovani donne sudafricane hanno più del doppio delle probabilità di contrarre l'HIV rispetto ai loro coetanei maschi. E rischieremmo anche un aumento della trasmissione verticale, da madre a figlio, che era in netta diminuzione. In sintesi, si tornerebbe indietro di decenni», avverte Ensoli.

UNA MINACCIA ALLA RISPOSTA GLOBALE CONTRO HIV

La risposta globale all’AIDS, negli scorsi decenni, ha portato a una riduzione significativa dell’incidenza dell’HIV e del numero di decessi. I miglioramenti più rilevanti sono stati registrati nell’Africa sub-sahariana, la regione maggiormente colpita dall’epidemia. Gran parte di questi progressi è attribuita ai finanziamenti internazionali destinati ai programmi nazionali all’interno della regione. Ad esempio, nel 2023, si stima che i contributi internazionali abbiano rappresentato il 41% della spesa totale per l’HIV nei Paesi a basso e medio reddito: «Gli effetti dei tagli si sono già fatti sentire, soprattutto in contesti ad alta prevalenza di HIV, come l’Africa subsahariana. In particolare, alcune organizzazioni che operano grazie ai fondi del PEPFAR in Paesi come Uganda, Mozambico e in alcune aree dell’Asia stanno segnalando riduzioni nella fornitura di farmaci antiretrovirali, tagli ai programmi di prevenzione e screening e difficoltà nel raggiungere le popolazioni più vulnerabili. Si tratta di segnali preoccupanti, soprattutto perché questi sistemi sanitari hanno poche risorse proprie. In Sudafrica si sono già avuti effetti profondi e preoccupanti sul sistema sanitario del paese, che ospita la più grande popolazione mondiale di persone che vivono con l’HIV. I tagli ai finanziamenti hanno causato il licenziamento di migliaia di operatori sanitari, la chiusura di cliniche e l’interruzione di servizi cruciali per la prevenzione e il trattamento dell’HIV. Sono diminuiti i test diagnostici e di monitoraggio, compromettendo il controllo delle infezioni, soprattutto tra donne incinte e neonati. Programmi per popolazioni vulnerabili, inclusi bambini HIV-positivi, sono stati sospesi, aumentando il rischio di trasmissione e abbandono terapeutico» racconta Ensoli.

FINANZIAMENTI: OLTRE GLI AIUTI ESTERNI

In risposta ai tagli, il governo sudafricano ha annunciato un piano di spesa di 1,4 miliardi di rand sudafricani per l'acquisto urgente di attrezzature mediche e 1,78 miliardi di rand per rafforzare il personale sanitario. Tuttavia, il ministro della Salute del paese ha ammesso che non esiste ancora un piano concreto per sostituire i fondi perduti. Senza interventi urgenti e il ripristino dei fondi, il Sudafrica rischia di affrontare una crisi sanitaria di vasta portata, con conseguenze devastanti per milioni di persone. «È necessario coinvolgere nuovi attori negli investimenti per la lotta all’HIV, come le economie emergenti (India, Brasile) o fondazioni private come la Gates Foundation, al fine di diversificare i finanziamenti e non perdere i progressi fatti finora, ma anche coinvolgere il settore privato, soprattutto nel campo farmaceutico. Si potrebbero anche esplorare strumenti finanziari innovativi, come i “social impact bonds” o fondi alimentati da micro-contributi globali. Infine, sarebbe fondamentale rafforzare i sistemi sanitari locali e l’efficienza nell’uso dei fondi già disponibili, per renderli sempre meno dipendenti dagli aiuti esterni» spiega Ensoli.

UN SALTO INDIETRO DI DECENNI

L'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) (che gli Stati Uniti hanno deciso di lasciare negli scorsi mesi, sempre sotto il governo Trump) ha espresso profonda preoccupazione per le conseguenze dei tagli ai finanziamenti statunitensi per la risposta globale all’HIV, esortando il governo degli Stati Uniti a riconsiderare la sua posizione, almeno fino a quando non saranno trovate soluzioni alternative per mantenere i servizi essenziali. «Oggi siamo a un punto in cui sconfiggere l’HIV entro il 2030, secondo gli obiettivi dell’ONU, è ancora tecnicamente possibile. Ma se verranno meno le risorse e la volontà politica, quell’obiettivo sfumerà. E con esso anche la possibilità di garantire dignità, salute e futuro a milioni di persone. Un vero colpo ai diritti umani. Rischiamo di perdere tutto ciò che abbiamo conquistato in vent’anni di progressi. E dobbiamo ricordare che i danni non saranno limitati all’Africa, ma interesseranno tutto il mondo, visto che i programmi di ricerca, cura e prevenzione si inseriscono in un contesto ormai totalmente globalizzato» conclude Ensoli.

fonti

Modelling study shows staggering impact of HIV funding cuts, Sibanda, Euphemia Lindelwe et al. The Lancet HIV, Volume 12, Issue 5, e316 – e318

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